S. STEFANO LA MADDALENA |
U N A B A S E C O N T R O L’E U R O P A
In un unico dossier la storia dettagliata della base militare di Santo Stefano, sull'isola de La Maddalena, in Sardegna, che ospita i sommergibili nucleari americani. |
Il 25 ottobre 2003 un sottomarino statunitense a propulsione nucleare si incaglia in una secca nell'arcipelago della Maddalena, tra la Sardegna e la Corsica. L'incidente viene reso noto alle popolazioni soltanto dopo molti giorni. Nel frattempo, il comando Usa provvede a silurare il comandante dell'Hartford (sommergibile della classe Los Angeles) e un commodoro responsabile delle operazioni della flotta. Le autorità italiane e quelle statunitensi non rendono nota alcuna rilevazione sul tasso di radioattività in mare, soltanto il governo francese si attiva e fa sapere che sulle rive della Corsica il pericolo non è aumentato. Ma il problema dell'Hartford riporta alla ribalta una vecchia vicenda: la cittadina di La Maddalena, di fronte alla base di Santo Stefano che ospita i sommergibili nucleari americani, non ha alcun piano di evacuazione per i suoi diecimila abitanti. |
Nella costa a levante dell’isola di S. Stefano, nell’arcipelago di La Maddalena, in un’area demaniale di Ha 12,0992 in uso alla Marina Militare Italiana, esiste un’ opera militare “costituita da infrastrutture operative – tecniche – logistiche – addestrative necessarie per il supporto aeronavale” [Relazione al Progetto del Decreto di imposizione di Servitù].
Le infrastrutture operative consistono in un Deposito munizioni incavernato, denominato “Guardia del Moro”,
che insiste in parte in area demaniale e in parte nel sottosuolo in area di proprietà privata.
IN PRINCIPIO UN PUNTO D’APPRODO
Il Deposito di Guardia del Moro ospita, in una delle sue banchine di servizio (quellapiù a nord), il “Punto di approdo per una Nave appoggio della U.S. Navy per sommergibili di attacco (nessuno basato a terra). Equipaggio della nave 922”. Detto Punto d’approdo è il risultato di una modifica apportata l’11 agosto 1972, con Accordo segreto alla lista delle Infrastrutture Bilaterali di cui allo “Accordo fra la Repubblica Italiana e gli Stati Uniti d’America, relativo ad infrastrutture bilaterali”, stipulato in data 20 ottobre 1954.
Quest’ultimo Accordo anch’esso segreto, altrimenti chiamato “Bilateral Infrastructure Agreement” (B.I.A.), discende a sua volta da un sistema, a scatole cinesi, di Accordi militari ancora non del tutto conosciuti, di cui si ha notizia indiretta dalla pubblicità che a livello di notizia e di soli titoli hanno avuto negli USA, e che impegnano l’Italia sia multilateralmente che bilateralmente con l’alleato d’oltreoceano. Si tratterebbe, in particolare, del “Mutual Security Act” del 1951, da cui sarebbe disceso l’Accordo bilaterale di “Mutua Sicurezza” tra Italia ed USA del 7 gennaio 1952, di cui quello del 1954 sopra citato sarebbe un Accordo d’esecuzione, ulteriormente specificato con modifiche dall’Accordo del 1972 sul punto d’approdo di S. Stefano.
Una Memoria intitolata “La presenza USA nell’isola di S. Stefano”, redatta dall’Ufficio Stampa dell’Ambasciata statunitense in Italia e distribuita nel 1990, afferma che proprio con l’Accordo del 1954 “il Governo italiano ha autorizzato il Governo degli Stati Uniti d’America ad usare e/o a far funzionare un certo numero di installazioni concordate unitamente in accordi supplementari”.
La stessa Memoria informa che in esecuzione dell’Accordo sono stati firmati 6 “Promemoria di intesa”, il quinto dei quali, relativo allo “Elenco delle installazioni concordate in linea di massima”, prevedeva per La Maddalena: “Deposito carburanti e facilitazioni portuali”.
L’11 agosto 1972, con la modifica della tipologia dell’installazione prevista di massima, segna l’avvio della presenza statunitense con la dislocazione della prima nave appoggio presso il Molo NATO di S. Stefano, così chiamato in riferimento al fatto che l’operazione di infrastrutturazione del sistema di Deposito Munizioni era stata finanziata con i Fondi Comuni della NATO.
Il punto d’approdo nasce a supporto del Gruppo Sommergibili della VI Flotta statunitense nel Mediterraneo, formato da sommergibili d’attacco della classe Los Angeles (ed inizialmente anche qualcuno della classe Sturgeon) a propulsione nucleare e ad armamento in parte anche atomico.
La mission originaria del Group consiste in operazioni di contrasto dei sommergibili sovietici presenti nel Mediterraneo, e quindi svolge il compito comunemente detto di hunter killer.
Si tratta di un’incessante pattugliamento sottomarino e di logoranti operazioni di agguato e di scoperta dei sommergibili avversari.
A bordo della Nave-Appoggio, contemporaneamente, si stabilisce il Comando del Submarine Refit and Training Group (Gruppo di raddobbo e di addestramento per sommergibili) con sigla COMSUBREFITRAGRU, quale agente esecutivo del Comando dell’Ottavo Gruppo Sommergibili della 69° task force della VI Flotta, e come tale: “provvede alle operazioni di assistenza alle navi sotto il suo controllo operativo, verificando la capacità operativa e l’efficienza dei mezzi stessi, prendendo provvedimenti atti a correggere le deficienze”.
In particolare le unità subacquee operative sono raggruppate nel X Squadron.
La fase di primo impianto si conclude con la successiva istituzione (gennaio 1973) dell’U.S. Navy Support Office (NAVSUPPO, oppure anche N.S.O.), che nasce con una ricca articolazione di servizi: gabinetto dentistico, commissariato, ufficio lavori civili, circolo sottufficiali e marinai, circolo ufficiali, laboratorio hobbies, cinema, scuola (dall’asilo al grado 8), empori, strutture ricreative e sportive.
LE PRIME MUTAZIONI
Un’ulteriore evoluzione si registra il 20 aprile 1978, con la seconda modifica agli Accordi del 1954, e quindi con un’integrazione all’Accordo del 1972.
Sempre dalla Memoria dell’Ambasciata sappiamo che la tipologia dell’apprestamento logistico di S. Stefano-La Maddalena viene rinominata come: “Nave appoggio sommergibili e sommergibili di attacco (non ormeggiati a terra) in sosta per manutenzione, nonché installazioni per il supporto logistico della flotta ed altri elementi di sostegno logistico”.
La novità sancisce di fatto lasituazione di crescita infrastrutturale nel frattempo verificatasi fuori regola, e stabilisce il numero del personale USA in 1060 unità, di cui 150 nei servizi logistici con possibilità di alloggio a terra.
Nasce così quell’immonda baraccopoli che oggi si vuole ristrutturare, e che nel tempo è cresciuta senza controllo sino ad impegnare un volume di 18.000 metri cubi di vecchi containers enigmaticamente chiamati ‘scatole Con-Ex’, di prefabbricati e di bettoline, la cui “riqualificazione” permette di nascondere la vera qualità. dell’operazione di cui si dirà in seguito.
Dal 1978 in poi si rilevano numerose informazioni di modificazioni organizzative e/o funzionali ed operative della U.S. Navy di S. Stefano-La Maddalena senza, però, indicazione alcuna di ulteriori specifici Accordi bilaterali. Nell’ottobre 1983 si registra, infatti, l’istituzione delComando della 22° Squadriglia Sommergibili, sempre dell’8° Group (in sigla COMSUBRON 22) in sostituzione dell’originario Submarine Refit, e non si ha notizia di alcuno strumento diaccordo tra USA ed Italia in tal senso. Oltre a svolgere il compito di supporto logistico, di addestramento delle unità assegnate e di controllo operativo delle forze navali americane operantinell’area di La Maddalena, questo Squadron “funge anche da strumento visibile della politica estera Americana”. La 22° Squadriglia, inoltre, dice di se stessa che “comprende la nave appoggio sommergibili di base a S. Stefano e diversi sommergibili d’attacco dislocati nel Mediterraneo”.
Quasi contemporaneamente a quest’ultima novità, e non a caso, si avvia una radicale modificazione della funzione dell’ottavo Group-Som della US Navy nel Mediterraneo con il dispiegamento, anche a bordo dei sommergibili d’attacco, dei Cruise nella versione imbarcata, popolarmente chiamati Tomahwak. Buona parte del 1984 trascorre sull’onda di un teso interlocutorio a più livelli su questa novità, peraltro decisamente negata dalle autorità governative statunitensi ed italiane. La dotazione di Cruise a bordo dei sommergibili operativi nel Mediterraneo e di base nella acque dell’Arcipelago maddalenino viene, invece confermata dai documenti del Congresso degli USA, dai lavori dell’Assemblea Atlantica e dalla letteratura internazionale di informazione specializzata in questioni militari.
NUOVA BASE PER NUOVI COMPITI
Con questo rinnovato mix d’armamento lo Squadron di S. Stefano acquisisce la nuova capacità di partecipare a quella che gli analisti militari chiamano “proiezione di potenza contro terra”.
Si tratta di una profonda innovazione operativa, che riqualifica la sua funzione rispetto al motivo operativo originario.
I sommergibili statunitensi assumono l’onere di una doppia missione: oltre quella tradizionale antisom anche quella contro terra. La originaria guerra subacquea viene integrata con la guerra contro ciò che sta in superficie, città e popolazioni. Si registra, così, un significativo salto di qualità che oggettivamente trascina anche il paese ospite passivo nella corresponsabilità di scelte belliche operate dal governo della forza armata ospitata La prima funzione venne svolta sino a quando gli antagonisti sommergibili sovietici non abbandonarono il Mediterraneo nel 1990, a seguito del disfacimento dell’U.R.S.S. Da quel momento il Groupsom eight iniziò a svolgere
solo la seconda funzione “contro terra”, che aveva iniziato a svolgere già dalla fine gennaio del 1986, partecipando alla task-force attivata unilateralmente dal Pentagono contro la Libia. Lo stesso Group, in partenza da S. Stefano, intervenne – sempre unilateralmente - nella campagna Desert storm del gennaio 1991 e replicò nella prima fase dell’attuale campagna di Enduring Freedom.
Nell’ottobre 1993 si registra, inoltre, un’importante evoluzione del sistema di supporto (anche questa novità senza riferimento conosciuto di Accordo apposito), con la istituzione del NAVAL SUPPORT ACTIVITY (NAVSUPACT, oppure anche N.S.A.) al posto del vecchio Offiice, che porta ad un più elevato grado ordinamentale la struttura ed i servizi che rende al complesso della base statunitense nell’arcipelago. Grosso modo le funzioni rimangono le stesse, ma si amplia
il raggio d’azione. Oltre i sommergibili nucleari d’attacco, questo nuovo Support, alle dipendenze del Comando in Capo Navale d’Europa, assiste con la nave Tender anche altre unità navali di superficie della U.S. Navy che attraccano sempre più frequentemente al molo NATO di S. Stefano. Nel suo sito internet ufficiale il Naval Support Activity-La Maddalena dice di se che “posto a nord-est della Sardegna, permette alla Marina di monitorare tutto il traffico marittimo nella parte nord del Mediterraneo” e che il “Mediterraneo è sempre stato considerato una delle chiavi strategiche per l’Europa, il nord Africa e la parte est dell’Europa centrale”.
ASSOLUTA UNILATERALITA’
Questa nuova configurazione operativa esalta la fisionomia più problematica della presenza statunitense di S. Stefano: la unilateralità decisionale ed operativa. La originaria funzione antisom poteva avere, comunque, un significato di cointeresse nel controllo del comune avversario sovietico; la nuova funzione, per come è stata sinora svolta e per come si può prevedere che continuerà ad essere svolta, risulta, invece, completamente avulsa da qualsiasi contesto di compartecipazione d’interesse bilaterale e/o d’interesse di alleanze più vaste, tanto più quanto più si va affermando l’idea di una Difesa Europea.
Si tratta di una singolare particolarità di questa Base, che viene evidenziata sino al clamore dalla circostanza della partenza dall’aeroporto di Ederle a Vicenza dei parà statunitensi in missione di guerra in Iraq. La 173° brigata aviotrasportata statunitense, partita dalla base NATO italiana, il 26 marzo 2003 ha operato un’azione bellica nell’Iraq settentrionale in aperta violazione dei deliberati del Parlamento e del Consiglio Supremo di Difesa italiani. Lo Squadron Submarin
22^, di stanza nella base statunitense in territorio italiano di S. Stefano-La Maddalena, era partito la settimana prima con l’assistenza della sua nave appoggio, ed aveva scaricato su Bagdad e dintorni tutta la propria dotazione di cruise tomahwak sugli “obiettivi di opportunità” assegnatigli.
L’uso scorretto della Base maddalenina non determinò a suo tempo reazione alcuna a nessun livello istituzionale, politico o mediatico.
Questa particolare e singolare caratteristica istituzionale della base nucleare della U.S. Navy di La Maddalena, ormai unico residuo in tutta Europa, è il cuore vero della questione posta dal progetto di “Migliorie Infrastrutturali a S. Stefano. Attività di Supporto Navale La Maddalena”. Tutti gli altri elementi (sicurezza ecologico sanitaria, rapporti istituzionali, occupazione, regole urbanistiche, compatibilità con Parco etc.) sono un ricco e prezioso intreccio
di punti problematici, ognuno con la propria dignità e tutti particolarmente impegnativi.
Il complesso della questione, con trenta anni di vita della Base e le numerose evoluzioni ordinamentali, strutturali, funzionali ed organizzative che essa ha subito, è divenuto un intrico che si dipana solo se viene letto nella chiave istituzionale e funzionale del ruolo in cui questa presenza militare statunitense viene impegnata nel quadro strategico-operativo gestito dal Pentagono.
Con l’assetto sopra descritto si conclude un ciclo di radicale mutazione della presenza militare statunitense in Sardegna, con la nuova nave appoggio apprestata per le nuove esigenze, con i sommergibili a loro volta attrezzati della nuova dotazione di Cruise, con navi da guerra di superficie e con il nuovo Naval Support. Non più solo un Punto d’Approdo per nave appoggio e sommergibili, ma una Base Navale, che però ha a terra il suo tallone d’Achille, una situazione non consolidata e non qualificata. A S. Stefano una bidonville e a La Maddalena ben 17 punti sparsi di servizi, oltre qualcos’altro a Palau ed immediati dintorni.
IL MEMORANDUM DEL 1995 E LA BASE DI S. STEFANO
I progetti che in quest’ultimo periodo sono all’attenzione dell’opinione pubblica e sono oggetto di interventi nelle istituzioni e di iniziativa politica,
e che sono l’oggetto diretto di questa Memoria, hanno l’esplicito compito di completamento dell’operazione di istituzione di una nuova Base militare statunitense a La Maddalena/ S. Stefano.
Anche per questa imponente riconversione sono stati ricercati i soliti riferimenti di appositi Accordi bilaterali intercorsi tra Italia ed U.S.A. per riconoscere i tratti significativi dello status di questa Base enigmatica, che rimane una sfida alla trasparenza ed una provocazione istituzionale: un vero e proprio mostro giuridico.
Informazioni di stampa non verificate parlano di due Memorandum, del 1997 e del 1999, di aggiornamento dell’Accordo del 1954, di cui non si conoscono i contenuti. Si conosce, invece, il testo integrale del “Memorandum d’intesa tra il Ministero della Difesa della Repubblica Italiana e il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti relativo alle installazioni/infrastrutture concessi in uso alle forze statunitensi in Italia”, stipulato a Roma
il 2 febbraio 1995. L’unico pubblicato su iniziativa del Presidente D’Alema, in occasione dei fatti del dopo Cermis. Di particolare interesse, per il nostro caso, risulta essere il suo cosiddetto 7 Annesso A, dal titolo “Modello di Accordo Tecnico sulle procedure di applicazione tra il Ministero della Difesa Italiano ed il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America relativo all’uso di installazioni e/o infrastrutture”.
Si tratta di uno schema che l’art. 3 del Memorandum prevede che “verrà utilizzato per la stesura di tutti gli Accordi Tecnici relativi ad ogni installazione concessa in uso alle FF.AA. statunitensi in Italia. Tali Accordi Tecnici – prosegue lo stesso articolo – stabiliranno le procedure di applicazione del l’Accordo del 1954 e di altri pertinenti accordi multilaterali e bilaterali tra i due governi relativamente a ciascuna installazione e/o infrastruttura in uso alle Forze Armate Statunitensi”. In questi testi si celebra l’esaltazione dell’intrico che avvolge volutamente tutto il complesso gioco degli Accordi, degli Accordi sugli Accordi precedenti, delle integrazioni e modificazioni successive, dei Memorandum, delle Intese e delle ulteriori variazioni.
Non a caso il citato art. 3 si conclude con la previsione che “le varianti ai singoli Accordi Tecnici saranno approvate dalle Autorità Militari di entrambe le Parti e potranno essere discusse dalla Commissione Militare Congiunta”. Un ennesimo organismo bilaterale istituito da ultimo dal Memorandum in questione, che perpetua l’esclusione di qualsiasi organo politico o amministrativo non militare.
L’attenta analisi di quest’ultimo accordo bilaterale, e soprattutto del suo Annesso A, ha voluto rinvenire in questi testi le tracce dell’attuale situazione della Base di La Maddalena- S.Stefano e della sua programmata evoluzione, e rilevare, altresì, la loro pretesa conformità agli Accordi internazionali sottoscritti dall’Italia, affermata dal Ministro alla Difesa, Martino.
In linea di massima, rispetto ad alcuni elementi chiave dell’articolato, non pare chel’installazione e le infrastrutture di S. Stefano rientrino nella situazione normata dal Memorandum e dal suo Annesso. Non risulta, infatti, che sia stato ancora redatto l’Accordo Tecnico per l’installazione e le infrastrutture di S.Stefano che ancora si nega che sia una Base, formalmente pretendendo che si tratti di un Punto d’Approdo, e chiamando ancora “sito” la stessa installazione di S. Stefano. Tanto meno può essere ricondotta allo schema dell’Annesso del Memorandum l’installazione e le infrastrutture utilizzate dalla U.S. Navy a La Maddalena, in particolare la N.S.A. e il suo Comando, che sono ubicati in un’area e in fabbricati presi in locazione da una ditta privata.
Il segno più esplicito che la complessiva situazione non corrisponde al quadro delle regole definite col Memorandum in questione, lo si ricava ancor più banalmente dalla verifica del dettato del punto VII dell’Annesso, che testualmente recita: Bandiere. La Bandiera della NATO, insieme alla Bandiera italiana e statunitense è issata sul complesso infrastrutturale. La rispettiva Bandiera nazionale può essere issata sui fabbricati adibiti ad uso esclusivo italiano o statunitense”.
Nessuna Bandiera della NATO è attualmente issata in nessuna installazione e/o infrastruttura o singolo edificio dell’arcipelago maddalenino, mentre sventola da qualche parte quella a stelle e strisce.
Rimane, quindi, da capire e da conoscere a quali “Accordi Internazionali sottoscritti dall’Italia” sia conforme il progetto d’installazione della nuova Base di S. Stefano per 52.000 metri cubi di infrastrutture, oggetto della prossima convocazione del Presidente Masala presso il Consiglio dei Ministri, a seguito del parere non unanime del Co.Mi.Pa.. La nota con cui il Ministro della Difesa Martino annunciava, lo scorso 30 settembre, la sua definitiva decisione di autorizzare i lavoro previsti
a S. Stefano è un ennesimo grave esempio di scorrettezza istituzionale. In tale atto pubblico si affermano circostanze che la stessa autorità impedisce a chiunque di verificare. Nel caso in specie, gli Accordi Internazionali richiamati non sono conosciuti o vengono dichiarati inconoscibili, e forse sono inesistenti, o dicono altro.
PROGETTO COMMISSIONE MISTA 080-02/0625, MCON P-995, MIGLIORIE
INFRASTRUTTURALI, S. STEFANO ATTIVITA’ DI SUPPORTO NAVALE (N.S.A.) LA MADDALENA
Si conosce, invece, il Progetto statunitense di intervento a S. Stefano, perché è stato sottoposto, con una procedura tutta da verificare, al parere
del Comitato Misto Paritetico Regionale sulle Servitù Militari (Co.Mi.Pa.) ex lege 898/76. Si tratta di un elaborato sommario
ma molto esplicito e chiaro nei dati informativi e molto scoperto nel tentativo di camuffare la reale portata dell’operazione. Proprio l’ingenuo tentativo di nascondere il suo dato più qualificante esalta l’evidenza del goal desiderato: la installazione di una nuova Base a terra, nella costa
a levante di S. Stefano, prospiciente il molo NATO utilizzato come Punto d’Attracco dalla U.S. Navy.
In una prima versione, presentata in occasione della riunione del Co. Mi. Pa. dell’11 novembre del 2002 sull’argomento, si definiva “Base”
il complesso della presenza statunitense nell’isola. Era la prima volta in assoluto che si ha in un documento ufficiale il riconoscimento
di una situazione sino a quel momento recisamente negata, e ciò succede quando si propongono le soluzioni per potenziare la prontezza operativa della Base. La successiva versione del Progetto, presentato e respinto in occasione della seconda riunione del Co. Mi. Pa., l’8 luglio 2003,
ha epurato il documento di qualsiasi riferimento alla Base, che ritorna ad essere “area”, o “sito” od altro.
Per mantenere la definizione secondo cui quello di S. Stefano doveva intendersi
esclusivamente quale Punto d’Approdo, è stata impiantata un’operazione di camuffamento che ha indotto anche il Sindaco di La Maddalena, come il Ministro Giovanardi, a negare l’evidenza dell’ampliamento ed almeno del raddoppio della Base, e di ripetere che si tratta di migliorie senza
ampliamento, mentre si trattava e si tratta di una installazione ex novo di una Base con nuove infrastrutture per 52.000 metri cubi di cemento armato.
L’esame del documento progettuale deve avviarsi proprio dal titolo,
in cui si legge di una Commissione Mista Italia-USA indicata come titolare del Progetto.
E’ un organismo predisposto dall’Accordo B.I.A. del 1954 (art. 7) per sovrintendere alla programmazione delle costruzioni che le Forze Armate statunitensi prevedono nelle loro molte presenze in Italia. Gli uffici hanno sede a Napoli. Di contro, il verbale della riunione del Co.Mi.Pa. Stato-Regione della Sardegna del giorno 08 luglio chiarisce, per bocca del T.C. Gennaro Noviello, membro della Sezione italiana della Commissione Mista, che il Progetto in esame deve intendersi quale proposta della sola Sezione statunitense della Commissione Mista.
Le pretese migliorie infrastrutturali, di cui nello stesso titolo, altro non sono che un maldestro camuffamento della realtà, che invece denuncia l’edificazione ex novo di un complesso edilizio per 52.000 mc, con manufatti in cemento armato.
Si tratta cioè di una vera e propria NUOVA BASE MILITARE STATUNITENSE, in aggiunta alla vecchia concessione nel 1972 del PUNTO D’APPRODO PER NAVE APPOGGIO PER SOMMERGIBILI D’ATTACCO (NESSUNO BASATO A TERRA) EQUIPAGGIO DELLA NAVE 922, secondo il titolo dell’Accordo segreto del 1972, a sua volta di modifica dell’Accordo segreto del 1954.
Per una più attenta lettura del Progetto si ritiene utile seguire il tracciato di quel documento, con i titoli originali per capitolo, presentando in corsivo la descrizione in sintesi o la trascrizione del testo ufficiale, ed in stampatello il commento- guida.
1) SCOPO DEI LAVORI
Più adeguate condizioni abitative e lavorative del personale di stanza e di passaggio.
Superamento dell’obsolescenza e deterioramento delle strutture, mantenendo invariate le funzioni e l’attività. Miglioramento dell’aspetto esteriore dell’esistente con infrastrutture “costruite in armonia con i canoni estetici indicati dalle leggi urbanistiche della Regione Sardegna”.
In teoria, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei luoghi di lavoro appare condivisibile, sempre e comunque. In questo caso, pragmaticamente si potrebbe aderire alla proposta almeno salvaguardando il principio della reciprocità. Migliorare le condizioni di vita anche dei cittadini maddalenini e sardi esposti, al rischio nucleare ed alle scorie derivate, con cui sono costretti a convivere, e, al minimo, dotare il territorio
di un sistema adeguato di monitoraggio in continuo e di allarme, quindi di un piano di emergenza e di evacuazione mirato alla qualità e quantità del rischio. Un piano vero, verificato e soprattutto conosciuto nelle modalità, nelle procedure, nelle attrezzature e nei mezzi previsti. Sperimentato con esercitazioni di mobilitazione e di evacuazione da eseguirsi come prove di efficienza e di efficacia. Un tale “Piano di sviluppo”, per utilizzare l’espressione con cui il Progetto USA si autodefinisce, anche per il benessere dei cittadini del territorio ospitante renderebbe meno scoperto il disinteresse per la sicurezza delle popolazioni ospitanti.
L’armonia dei nuovi manufatti ai canoni estetici della legislazione urbanistica regionale, appare invece una vera e propria provocazione.
Un complesso edilizio di 52.000 metri cubi non lo si valuta, infatti, in riferimento a canoni estetici inesistenti nel corpo di norme urbanistiche, ma
si analizza in base alle disposizioni esistenti che stabiliscono le condizioni di estensione, di volumetrie, di distanze, di altezze e di quant’altro.
Per ciò che, comunque, attiene al dato estetico della proposta, le due immagini di rendering del progetto presentate a colori al Co.Mi.Pa. testimoniano la previsione di collocare in riva al mare edifici-scatoloni, in perfetto stile parallelepipedo/squadrato, che nessun canone estetico proporrebbe come accettabile in nessun contesto, tanto meno in un tratto delle coste più belle del mondo. Intanto si denuncia il tentativo truffaldino
di affermare un’inesistente armonia estetica per sottrarsi all’armonia urbanistica.
2) ESIGENZE CHE SI INTENDONO SODDISFARE
Ristrutturare/riorganizzare le strutture di supporto navale, procedendo alla demolizione dell’esistente ed alla costruzione delle nuove. Con ciò si ottimizzerà l’utilizzo delle infrastrutture, si miglioreranno le relazioni funzionali, si separeranno le strutture operative e quelle di supporto del personale. Tutte le costruzioni saranno adeguate agli attuali criteri anti-terrorismo.
Siamo al cuore del problema “urbanistico”. Le strutture da demolire non sono manufatti eretti secondo la normativa urbanistica vigente nel momento della loro installazione, ma strutture mobili prefabbricate installate abusivamente, senza neppure il parere del Co.Mi.Pa (eccetto, a suo tempo, quello positivo per l’adeguamento di un market e quello negativo su dei generatori).
La normativa urbanistica non riconosce a tale situazione la condizione di volumetria preesistente, che il Progetto pretende invece di calcolare per definire un incremento limitato del 25% della situazione attuale, che dal punto di vista urbanistico sarebbe comunque intollerabile.
Nel caso in esame non si può assolutamente parlare di ristrutturazione, giacché siamo in presenza di un Progetto di costruzione ex novo di un complesso edilizio.
Ad esempio, si può indicare la palazzina di servizi portuali da costruire per 15.556 mc, a fronte dell’esistente di 11.644 mc calcolato per la bettolina
ed il prefabbricato in cui attualmente vengono svolte le stesse funzioni. Lo stesso progetto, nel presentare le condizioni degradate in cui si svolgono alcune funzioni, afferma che esse sono ubicate in contenitori metallici (tipo containers da spedizione marittima) chiamati, stranamente,
“Scatole con ex”.
L’unico fabbricato regolare, computabile come volumetria preesistente, è quello della ex caserma della Marina Militare italiana, che però non è mai stato sinora compreso nella disponibilità della U.S. NAVY.
La Base prevista è un brutto ed immenso complesso edilizio, che con la scusa del militare (vedremo in seguito che si tratta di una scusa non legittima e molto pasticciata) si vuole sottrarre alle normali valutazioni urbanistiche perché irricevibile.
3) DESCRIZIONE DELLE OPERE
Vengono descritte partitamene le singole opere da costruire, con un’illustrazione sommaria delle funzioni e per ciascuna opera una tabella a tre colonne per indicare l’esistente, ilfuturo e la variazione rispetto la volumetria, la superficie delle aree di stoccaggio esterno, la funzionalità ed il rischio sicurezza per il personale. Un’altra tabella a due colonne presenta le attività/funzione previste in ciascuna opera per il futuro e nella condizione esistente. A parte i dati relativi al rapporto volumetrie preesistenti e quelle future di cui s’è gia detto, tutti gli altri elementi delle tabelle rappresentano una condizione attuale di degrado funzionale e strutturale e ne prevedono una futura adeguata. La voce rischio è sempre bassa per l’attualità e sempre altra nelle previsioni per il futuro. Un ricco corredo fotografico suffraga l’evidente stato di degrado di quel complesso operativo che contraddice l’immagine di qualità che si accredita alle strutture statunitensi, specie quelle ad uso militare.
L’onestà intellettuale pretende di dare testimonianza diretta, da parte di chi ha visitato più volte quel sito, a conferma di una realtà che le immagini del corredo fotografico rappresentano con crudo realismo. E’ stato ricordato il parere favorevole a suo tempo espresso all’unanimità dal Co.Mi.Pa. per la sostituzione del capannone adibito a market, una volta verificato l’insostenibilità della situazione, con un altro nuovo prefabbricato. In quell’occasione non si pose il problema di sostituire una infrastruttura mobile con un edificio in muratura, che altrimenti non sarebbe stato accettato.
Scontata una certa benevolenza per il centro Benessere, con i suoi spazi attrezzati interni ed esterni, ed alla mensa con area ricreativa, rimane la ferma opposizione alla trasformazione delle strutture mobili in cemento armato con un raddoppio dei volumi, che rende inaccettabile anche questa struttura.
Rispetto alle altre opere, ad iniziare dal magazzino di stoccaggio per materiali speciali e/o soggetti a discarica controllata, le obiezioni sono alte e determinate.
La descrizione di quest’opera è significativamente reticente proprio a proposito dei materiali speciali. Il verbale del Co.Mi.Pa, già citato, a pag. 15 registra una domanda specifica su questo argomento, con un inquietante riferimento al riconoscimento in una foto del simbolo del nucleare. La risposta del rappresentante dello Stato Maggiore e dell’Ammiraglio Comandante di MARISARDEGNA appare incredibile. Per quest’ultimo materiali speciali sono da intendersi, genericamente, batterie, vernici, oli usati ecc. Per il primo invece anche le macchine da scrivere ed i computers. Entrambi hanno dimenticato di indicare anche il più noto e pericoloso dei materiali speciali ed a discarica controllata: le scorie nucleari, se non altro per negare che in quella base se ne tratti o se ne vuole trattare.
La caserma cambia radicalmente funzione, passando da alloggio del personale permanente della base a una funzione cosiddetta di “branda calda”, cioè per i marinai in servizio nei sommergibili che sostano a S. Stefano. 24 stanze per 2 posti letto ciascuna, con relativo magazzino e reception, per ben 4.892 mc.
Il magazzino generale di 7.000 mc. non viene ulteriormente specificato nelle sue funzioni e nei materiali al cui stoccaggio dovrebbe essere adibito.
La banchina di ormeggio per il Naviglio di Unità Leggere appare l’opera meno significativa, se non per il fatto che i dati che si riferiscono ad essa permettono agli USA il trucco di abbattere dell’80% le presunte cubature. Per rimanere alle banchine, si nota che la precedente elaborazione del Progetto presentava una cartina della banchina su cui approda dal 1972 la nave appoggio, incui si prevedeva l’attracco di altre navi da guerra di superficie, oltre la nave appoggio ed i sommergibili.
I due generatori diesel aggiuntivi, ultima opera prevista, sono la prova più evidente del potenziamento della capacità operativa della nuova Base. La vecchia base, infatti, è nata 31 anni or sono senza alcun generatore a terra. Successivamente gli statunitensi ne hanno installati due e poi altri sino ad un numero di 6, quando la base aveva il doppio compito di contrastare nel Mediterraneo la flotta subacquea dell’impero sovietico e contemporaneamente di attaccare a terra i bersagli delle guerre unilaterali degli USA. Ora che il primo compito è stato dismesso da quattordici anni e rimane solo il secondo, si potenzia il parco generatori per la più pronta operatività, efficienza ed efficacia dello squadrone d’attacco a capacita nucleare. Tutto ciò mentre si afferma di non voler modificare la funzione e l’attività della Base Un paragrafo relativo alle caratteristiche comuni delle opere, ripete la previsione di armonia estetica ed addirittura afferma che “lo stile costruttivo darà vita a delle strutture in muratura non invadenti, dal design accurato e contemporaneo”. La risposta viene ancora una volta affidata alla eloquenza dei due rendering citati.
4) RIPERCUSSIONI DEI LAVORI SUL COMPLESSO DELL’INSTALLAZIONE
Si specifica che il Progetto riguarda esclusivamente l’area di S. Stefano e non ha ripercussioni sul restante complesso dell’articolata presenza
delle altre infrastrutture della N.S.A. della Maddalena. Si vedrà in seguito che il Pentagono pensa ad altra installazione a La Maddalena,
almeno doppia di quella progettata per S. Stefano.
5) COSTO PREVENTIVATO
US$ 32,700,00 ad intero carico del governo USA.
6) CONDIZIONI AMBIENTALI
E’ il capitolo del Progetto più criptico, con cui si tende a dare assoluta assicurazione sull’impatto ambientale. Nessuno, infatti, conosce il documento “Standard Governativi Ambientali Finali per l’Italia”, altrimenti indicato con la sigla FGS, a cui il progetto si atterrebbe. Da un’apposita nota si apprende che il documento citato sarebbe una “analisi comparativa tra il documento del Dipartimento della Difesa,USA, denominato ‘OEBGD’ (Overseas Environmental Baseline Guidance Document – Documento di Base per le Problematiche Ambientali all’Estero), la normativa italiana in campo ambientale ed appropriati accordi internazionali. Il documento FGS fornisce per ciascuna area di interesse/riserva ambientale, la normativa
di riferimento, selezionando i requisiti più restrittivi tra quelli contenuti nei documenti di cui anzi”.
L’esperienza di oltre trent’anni di mancato controllo ecologico-sanitario in riferimento alla base nucleare statunitense, ci fornisce gli elementi di non credibilità degli “appropriati accordi internazionali” che sarebbero stati prodotti. Potrebbe essere illuminante conoscere la parte del documento FGS relativo all’area maddalenina per giudicare l’affidabilità dei propositi.
7) PROCEDURE PARTICOLARI
La Sezione USA della Commissione Mista Costruzioni dichiara di aver autocertificato unilateralmente la correlazione delle opere del proprio Progetto con la Difesa Militare. Altrettanto unilateralmente la Sezione USA ha ritenuto pertanto di utilizzare la deroga prevista per le opere interessanti la Difesa Nazionale dal cap. IV della Direttiva SMD Infra PL 11/78, che sottrae tali opere all’iter determinato dal sistema autorizzativo della normativa urbanistica.
E’ il cuore dell’aspetto giuridico e di legittimità di tutta l’operazione, che s’è svolta in un crescendo di irregolarità formali per nascondere la mostruosità sostanziale del Progetto, sia dal punto di vista urbanistico ma soprattutto istituzionale.
L’interesse delle opere per la Difesa Nazionale deve essere proclamata formalmente dall’autorità italiana, e solo i programmi di installazioni che hanno già avuto tale dichiarazione possono essere portati al parere del Co.Mi.Pa. e sottoposti alle procedure della Legge 898/76, utilizzando la deroga che sottrae tali installazioni alle procedure ordinarie previste per le opere
demaniali dal D.P.R. 348/77
LA DECISIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA
Il Progetto sopra descritto è stato rigettato dal Co.Mi.Pa. Stato/Regione con il parere non unanime dei suoi componenti regionali e addirittura del rappresentante del Ministero dell’Economia. Secondo quanto dispone la legge, a questo punto è dovuto intervenire il Ministro della Difesa
con la sua decisione di autorizzare comunque l’istallazione.
La decisione assunta dall’On.le Martino è stata chiaramente scritta con un intento di elementare tatticismo diplomatico. “Pur nell’attenta considerazione delle motivazioni poste a base dei pareri contrari espressi dai rappresentanti della Regione Sardegna, questo Ministero rappresenta che i lavori in questione sono urgenti, indispensabili ed indifferibili, in particolare per gli aspetti riguardanti la sicurezza del personale della Base,
e sono conformi agli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia”.
Anche le ragioni del Ministro devono essere tenute in attenta considerazione, per cui si propone una precisa valutazione delle due motivazioni da Lui espresse:
1 – SICUREZZA DEL PERSONALE DELLA BASE.
Nonostante il tentativo maldestro della Sezione USA di nascondere la funzione delle attività che i militari statunitensi svolgono a S. Stefano
ed aLa Maddalena, arrivando ad autocensurare la parola Base, il Ministro italiano, per la prima volta nella storia trentennale di questa incostituzionale presenza militare straniera, ammette da parte italiana che di Base si tratta.
La U.S. Navy lo aveva ammesso nella precedente stesura del Progetto ed accuratamente epurato nella seconda versione.
La sicurezza delle persone è cosa per principio irrinunciabile, e quindi desiderabile anche per gli operatori di una Base militare straniera
seppure abusiva.
La grave situazioni di degrado strutturale in cui versa attualmente “il sito” statunitense di S. Stefano, e le conseguenti condizioni di pesante insufficienza della sicurezza in cui si trova, derivano proprio dalla condizione di abuso in cui questa baraccopoli ha dovuto forzatamente vivere, proprio perché avviata esviluppata contro legge.
Per evitare di chiamarla BASE, nel 1972 Andreotti-Medici-Tanassi convenirono di chiamarla “PUNTO D’APPRODO PER NAVE APPOGGIO/OFFICINA”. Ma nel tempo, con operazioni di volgare abusivismo, gli statunitensi ritennero necessario avere a terra servizi tecnologici e di benessere con la scandalosa complicità dei governi italiani, e, sempre per non potere o volere chiamarla BASE, si risolse di ricorrere a prefabbricati, baracche, containers, bettoline ed altri manufatti precari.
Oggi quel “sito” (come con pudore lo chiama il Progetto) è paragonabile ad una vecchia bidonville, e può essere dato per certo che l’attuale condizione di degrado è stato voluto e programmato dalle autorità militari statunitensi ed italiane. Si è voluto determinare una situazione talmente insostenibile, soprattutto sul versante della sicurezza e della salute del personale nel posto di lavoro, da rendere obbligatorio ed indifferibile la costruzione in muratura di una vera e propria BASE A TERRA, rifiutando ancora di chiamarla Base (se non per errore).
Sulla pelle dei lavoratori, i problemi di sicurezza e di salute sono stati volutamente esasperati per avere l’alibi di poter praticare surrettiziamente, e in stato di oggettiva necessità, l’installazione della nuova BASE A TERRA.
. Il rischio che l’insicurezza possa divenire dramma non è però meno probabile per i maddalenini che per il personale militare statunitense.
Da 30 anni i maddalenini aspettano un qualsiasi decreto o atto del Governo italiano che avvii un credibile sistema di sicurezza, di monitoraggio in continuo e di allarme. Attendono, altresì, un piano efficace di emergenza e di evacuazione, che dia anche a loro la sicurezza necessaria nella situazione in cui sono costretti a vivere, avendo in casa il nucleare più rischioso e meno remunerativo: il nucleare militare. Oggi si afferma che la Prefettura di Sassari starebbe per rendere noto – con 30 anni di ritardo - un piano di emergenza nucleare riferito direttamente alla presenza nucleare statunitense a La Maddalena. Finalmente la comunità scientifica lo potrà conoscere e valutare, ma soprattutto lo potrà conoscere e provare la popolazione interessata.
2 – CONFORMITA’ AGLI ACCORDI INTERNAZIONALI SOTTOSCRITTI DALL’ITALIA
Come noto l’accordo del 1972 è segreto. Se ne conosce solo l’oggetto, ovvero il titolo, e lo si conosce indirettamente per tutta una serie di effetti esterni e pubblici che necessariamente dispiega. La segretezza sinora è stata mantenuta soprattutto per poter affermare sul loro contenuto tutto ed il contrario di tutto, senza soffrire la possibilità di verifica ed il controllo di conformità di nessuno.
Che il Progetto in questione sia stato elaborato in conformità agli accordi internazionalisottoscritti dall’Italia ed autorizzato in quanto riconosciuto conforme, è affermazione assoluta e non verificabile del Ministro Martino nella sua nota del 30 settembre scorso.
Se si trattasse di Accordi manifesti, pubblici e positivamente introdotti nell’ordinamento italiano, come tutti i trattati ed accordi militari e/o diplomatici, anche bilaterali sottoscritti con altre Nazioni, tutti li potrebbero conoscere e potrebbero valutarne la conformità pretesa dal Ministro. Purtroppo però nel decreto autorizzativo del Ministro della Difesa, in cui si trova citata anche la legge che gli da’ la potestà di decisione a seguito del parere negativo del Co.Mi.Pa., non si rinviene alcuna citazione dei soliti elementi di riconoscimento della pubblicazione degli accordi affermati.
Il richiamo, quindi, agli accordi sottoscritti appare molto equivoco, e probabilmente si tratta di un’ambiguità voluta, giacché in questa materia la forma dell’autorizzazione viene particolarmente curata e nessuna espressione è casualmente lasciata all’approssimazione e alla genericità.
L’uso al plurale del termine accordi autorizza ad intendere che non si tratta solo dell’accordo segreto del 1972, ma anche di altri accordi che non possono essere anteriori. Quali altri accordi sono intercorsi tra l’Italia e gli Stati Uniti interessanti la Base di S. Stefano, giacché non se ne conoscono altri? E cosa essi prevedono e permettono? Sono stati sottoscritti da autorità
politiche o militari?
Se il Progetto sinora esaminato viene assunto quale prodotto conforme a tali accordi, si capisce perché devono rimanere segreti e sottratti all’iter parlamentare e di ratifica presidenziale costituzionalmente previsti. Si tratta infatti di una mostruosità giuridica ed istituzionale che va tenuta nascosta, e che va fatta passare per le vie traverse, con bugie, affermazioni non controllabili, atti amministrativi volutamente irregolari
da non correggere.
Da 30 anni i maddalenini, i sardi e gli italiani attendono il documento di conformità che definisca la compatibilità della collocazione della Base nucleare militare statunitense, all’interno della più vasta Base militare italiana di stoccaggio di munizioni di S. Stefano. I Ministri italiani della Difesa hanno sempre impedito che l’A.I.E.A. potesse giudicare la situazione di fatto presente a S. Stefano e potesse fornire il proprio parere di conformità e compatibilità. Negli ultimi vent’anni, con il ritmo quinquennale del rinnovo, per legge, della servitù militare di S. Stefano i rappresentanti regionali del Co.Mi.Pa. Stato/Regione hanno sempre espresso parere contrario richiedendo il documento di compatibilità tra la base nucleare statunitense ed il deposito munizioni che la ospita. I ricorsi sempre presentati dai vari Presidenti della Regione non sono mai stati accolti a livello di Consiglio dei Ministri, e mai è stata accolta la richiesta della certificazione da parte dell’autorità più adeguata a fornirla, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (A.I.E.A.).
"OBIETTIVI DI CONSOLIDAMENTO”
Il Progetto di “Migliorie Infrastrutturali” a S. Stefano sopra descritto, e che sta percorrendo il suo iter travagliato di autorizzazioni, non esaurisce la pianificazione della nuova presenza militare statunitense nell’arcipelago. Il Dipartimento della Difesa statunitense ha, infatti, presentato a partire dal marzo scorso un proprio “programma concettuale” intitolato “Obiettivi di consolidamento”. Meno precisato e con una “tipologia” istituzionale molto diversa dall’installazione di S. Stefano, quest’ultimo programma partecipa a definire ancor più completamente il quadro d’insieme della nuova presenza statunitense in Sardegna.
1- LA NUOVA BASE DI SUPPORTO LOGISTICO DI LA MADDALENA:
FUNZIONI ED ENTITA’
Gli obiettivi del progetto sono stavolta ubicati nel territorio dell’isola capoluogo e sono evidenziati da un documento illustrativo ancora di massima. Un documento predisposto dalla Naval Support Activity di La Maddalena che definisce subito l’obiettivo principale, e presenta esplicitamente i dati numerici, anche se li esprime furbescamente in mq.
Il Progetto di La Maddalena prevede, in sintesi, di accorpare in un’unica località le strutture logistiche e di supporto che attualmente sono distribuite in 17 siti diversi a La Maddalena, S. Stefano ed a Palau e dintorni. L’accorpamento servirebbe a superare le notevoli carenze in fatto di predisposizioni anti terrorismo e di controllo di Polizia, e quindi a migliorare la qualità della vita e la qualità del servizio.
Ancora una volta ci si trova di fronte ad un messaggio ambiguo che mischia la legittima esigenza di migliorare la qualità della vita con lo sviluppo della qualità del “servizio”, che viene riferita senza precisi aggettivi. Per “servizio”, nel caso di un comando militare e del suo supporto logistico ed organizzativo, non può intendersi che servizio militare.
Sia la qualità del servizio dell’installazione presente attualmente a S. Stefano, sia quella della nuova installazione colà progettata, sia, inoltre, la qualità dell’installazione di La Maddalena, si riferiscono tutte alla funzione primaria che devono svolgere per sviluppare la potenza operativa dello Squadron 22 a propulsione ed armamento nucleare.
Appare singolare l’insistenza con cui anche i materiali illustrativi di questa ulteriore installazione cercano sempre di mimetizzare la scontata funzione propria di una base militare, con il richiamo pressoché esclusivo alla qualità della vita, al benessere e alla sicurezza degli operatori e del personale tutto. Non meno singolare appare l’adesione di molti interlocutori istituzionali italiani, politici ed amministrativi, a tale messaggio, anche a costo di negare l’evidenza della quantità e della qualità dell’operazione.
In quest’ultimo progetto la parola magica è “consolidamento”, la verità è ancora una volta l’abnorme ampliamento che prevede. L’U.S. N.S.A. propone la propria necessità di coprire nell’isola capoluogo un totale di 33.430 mq con sue nuove strutture previste, a fronte degli 11.350 mq attualmente a loro disposizione. L’estensione che si prevede di impegnare risulta, quindi, tripla rispetto a quella che asseriscono essere
attualmente in loro uso.
Due prospetti diversi rappresentano due diverse ipotesi per compattare i servizi da consolidare. Il primo prevede di inserire le nuove strutture per 33.430 mq (3,4 ettari) di coperto in un sito unico di 14 ettari.
L’altro prevede, invece, un’articolazione su due siti in cui inserire le stesse strutture in due aree separate per un totale di 15 ettari.
La valutazione sull’entità volumetrica del nuovo complesso edilizio, in assenza di qualsiasi indicazione da parte del proponente, si può dedurla - al minimo – considerando edifici con il solo piano terra di almeno 3 metri di altezza, per un totale di ben 100.000 metri cubi. Si tratta di una cifra sottostimata, giacché se si tiene conto che in altro documento si parla di tipologia costruttiva di bassa densità con strutture di uno o due piani, si potrebbe arrivare a 150.000 mc se si ipotizza che la metà delle strutture avrà il piano rialzato.
L’elaborato della proposta (sette cartelle tipo lucidi da lavagna elettrica) appare predisposto nel momento in cui il progetto di S. Stefano diceva pane al pane, e chiamava Base il complesso di quell’installazione. In più punti, infatti, si legge il giusto termine di Base per definire un complesso militare articolato in sede del Comando della Base, in fabbricato per la polizia ed i vigili del fuoco, in uffici di supporto alla Comunità ed al personale, in strutture d’assistenza medica, in uffici per il Genio navale, in magazzini, in foresterie ed in spaccio e circoli.
Rispetto alla situazione attuale che vede gli stessi servizi distribuiti in 17 siti separati e dispersi nel territorio, il Progetto di consolidamento non può definire altrimenti il complesso accorpato che si propone. La sua cartella n° 3, nel diagramma di raffronto tra Requisiti della Base di supporto & spazi in uso, rileva la novità importante della istituzione di un reparto di Polizia e di Vigili del fuoco sinora inesistente.
Non meraviglia la nuova predisposizione di un reparto di antincendio, mentre andrebbe approfondita la novità circa il reparto di Polizia che si acclara dalla previsione di una nuova caserma non presente tra le strutture e quindi tra i servizi attualmente esistenti. Il problema si pone con segno di novità nonostante si abbia conoscenza di attività di ronda da sempre in svolgimento a La Maddalena ed a Palau da parte statunitense e di notizie di interventi esuberanti ed autonomi del Comando statunitense in occasione di circostanze di competenza degli organi italiani di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza.
Nella nuova situazione di complesso accorpato di strutture e servizi si ripropongono, ancor più esasperati, i problemi di sovranità e giurisdizione che sono stati sempre considerati già nell’attuale situazione almeno per ciò che riguarda la sede del Comando Militare della N.S.A., piuttosto che per la scuola, i servizi medici e quant’altro.
Attualmente tutti i servizi, comprese le residenze, stanno disperse nel territorio e tutte in locali presi in locazione da ditte private. In particolare la sede della N.S.A. è collocata nel centro urbano, a pochi metri dalla sede del Comando della Marina Italiana, in un’area ed in fabbricati locati in cui si svolgono le funzioni militari assegnate a quel tipo di Ente dall’organizzazione della U.S. Navy. Lo status di questa situazione risulta un mix indecifrabile tra regole NATO e regole non conosciute, in cui convivono le immatricolazioni e le targhe automobilistiche AFI della NATO e l’esposizione della bandiera statunitense, da qualche anno abbinata a quella italiana in assenza di quella della NATO, un’inconoscibile sistema doganale ed un conosciutissimo regime illegale dei cittadini extra-comunitari di origine statunitense che, contro la legge Martelli prima, contro la legge Turco-Napolitano dopo e l’attuale Bossi-Fini, permette loro di utilizzare ilpermesso di soggiorno anche per lavoro dipendente.
In questa situazione, la nuova richiesta indiretta di istituire un loro reparto di Polizia nell’area che il Dipartimento della Difesa statunitense richiede per consolidare la sua presenza nell’isola, pone degli interrogativi inquietanti circa le funzioni che dovrà svolgere tale organismo tipico della sovranità giurisdizionale, in un’area non di proprietà demaniale degli USA, ma presa in locazione e con esposizione della bandiera a stelle e strisce.
Non si riconosce in questa situazione che si verrebbe a creare, più di quanto non lo si riconosca nella situazione attuale, la corrispondenza tra la creazione di un reparto di Polizia con il quadro normativo della NATO, incamerato nell’ordinamento italiano, dettato dalla Convenzione di Londra (giugno1951) sullo statuto delle Forze Armate dei paesi del Trattato, dal Protocollo di Parigi (agosto 1952) sullo statuto dei quartieri generali militari ed infine dal Memorandum Italia- USA del 1995.
2 – LA VIA URBANISTICA ALLA NUOVA BASE DELLA MADDALENA
Nonostante i tanti sostanziali punti di contatto, le due installazioni in questione di S.
Stefano e di La Maddalena hanno un importante elemento di differenziazione proprio nell’area di sedime dove prevedono di insediarsi. L’una sta in un’area demaniale in uso alla Marina Militare Italiana, l’altra in un’area privata. Da ciò discende la diversa procedura che gli statunitensi stanno seguendo per ciascuno dei Progetti, impegnando quest’ultimo nell’ordinario iter di rilascio delle licenze edilizie.
Un importante documento del Dipartimento Navale – NSA di La Maddalena ci fa conoscere la pressione che l’Amministrazione maddalenina sta subendo per favorire la soddisfazione dell’esigenza rappresentata dagli USA. Con una nota ufficiale il Pentagono pretende di intervenire come avente diritto nel processo formativo del Piano Urbanistico Comunale (P.U.C.) di La Maddalena in via di definizione. Come qualsiasi cittadino, l’Amministrazione statunitense ha ritenuto di aver la titolarità di presentare le proprie osservazioni al PUC maddalenino che il Consiglio Comunale ha esitato in prima battuta ed esposto per legge alla fase di pubblicazione prima della deliberazione finale.
La nota statunitense del 24 giugno 2003, diretta all’Amministrazione comunale di La Maddalena, da atto dei contatti pregressi sull’argomento fin dal marzo e pone esplicitamente la “volontà di realizzare una Base di supporto logistico”. La nota specifica che l’operazione si realizzerà con lo strumento contrattuale cosiddetto di “Costruzione per locazione”, per cui si aggiudicherà l’appalto alla ditta vincitrice della gara per la realizzazione delle strutture secondo le indicazioni che verranno dettagliate nella licitazione. In pratica la N.S.A. chiede la costruzione ex novo del complesso edilizio che le occorre con l’impegno a locarlo.
Il suo intervento sull’iter di formazione dello strumento urbanistico viene operato, quindi, per favorire le condizioni che permettano ad una ditta privata di ottenere le deroghe necessarie in riferimento ai bisogni della U.S.Navy. L’Amministrazione maddalenina invece di rigettare come irricevibile le osservazioni dell’Ente militare statunitense, decide di non accoglierle all’interno del definitivo deliberato sul Piano ma di accantonarlo tra le varianti al Piano stesso da definire successivamente.
UNA BASE CONTRO L’EUROPA
L’evoluzione della presenza militare statunitense in questi trenta anni trascorsi nelle acque
dell’arcipelago maddalenino, sia dal punto di vista funzionale che dal punto di vista strutturale,
evidenzia la particolarità e forse la singolarità di questa Base nucleare.
In questa sua eccezionalità vanno pure letti i progetti delle installazioni esaminati, che
marcheranno l’immediato futuro della sua funzione nell’attuale contesto di politica internazionale
e di difesa militare, e in quello prossimo venturo che si delinea.
L’intera presenza americana va articolandosi intorno all’originario Punto di attracco con la
nave ed i sommergibili nucleari, cui si aggiunge la nuova base a terra a S. Stefano ed a La
Maddalena la prossima nuova base, sempre a terra. Piuttosto che di tre Basi si può parlare a questo
punto di una grande Base articolata in tre moduli che fanno tra loro sistema.
La qualità della novità ed il segno di un consolidamento definitivo del complesso, che
supera dopo trenta anni le condizioni di precarietà e dispersione infrastrutturale, la sua
stabilizzazione con strutture permanenti, segnalano una volontà del Dipartimento della Difesa
statunitense di utilizzare per molto tempo ancora questa sua posizione privilegiata nel
Mediterraneo.
In questa prospettiva di tempi medio-lunghi, s’impone una nuova e più
attenta valutazione del particolare status istituzionale, giuridico e politico che connota e marcherà
sempre più la funzione e l’attività di questa Base. Per gli elementi che sono stati evidenziati
dall’analisi esposta, appare evidente la sua esasperata unilateralità, che non l’assimila a
nessun’altra base statunitense in Italia, ed oggi anche in Europa.
E’ un dato di fatto che mentre cresce la preoccupazione statunitense per lo sviluppo
dell’ipotesi di una Difesa Europea, l’Amministrazione Bush predispone il salto di qualità per la
sua unica incontestata presenza militare in Europa e nel Mediterraneo che gode di uno status
unico, che non rientra negli schemi del sistema NATO pur largamente inteso, ed è ancora più
libera e flessibile rispetto al quadro degli accordi bilaterali Italia /USA, conosciuti almeno per
titolo.
Di conseguenza appare realistico il sospetto che l’autorizzazione da parte del Ministro
Martino al progetto di S, Stefano, pur a fronte di tante palesi irregolarità di procedure, ma
soprattutto nonostante la particolare evidenza dei propositi politici che sottendono la richiesta di
migliorie e di consolidamento, ha il segno dell’adesione proprio al proposito politico statunitense.
La posizione che Berlusconi ha da ultimo espresso in più occasioni sul tema della Difesa
Europea ancorata alla NATO e senza autonomia reale nei confronti degli USA, non permette di
sperare nella possibilità di revisione della decisione di Martino.
La nuova Base di S. Stefano /La Maddalena è quindi una spina nel fianco del futuro
sistema europeo di difesa
LE RAGIONI DELLA SARDEGNA
Sulla Base nucleare statunitense e sulla sua coabitazione con il Deposito Munizioni della NATO il Consiglio regionale ha sempre espresso unitariamente la propria posizione di contrarietà.
Altrettanto determinato è il suo atteggiamento di rifiuto di qualsiasi, seppur minimo, incremento di presenza militare nel territorio dell’isola,
già oltremodo oberata di vincoli militari.
Si tratta di un orientamento riproposto sempre unanimemente anche di recente, che ha impegnato il Presidente della Regione a chiedere la revisione della decisione del Ministro della Difesa in sede di Consiglio dei Ministri. Lo stesso orientamento impegna, altresì, il Presidente ad esprimere un netto dissenso al progetto USA, in occasione della riunione del Consiglio dei Ministri cui dovrà partecipare secondo legge.
Sarà questa l’occasione privilegiata per riproporre organicamente la questione della Base USA, superando la tentazione di utilizzare la circostanza per rilanciare l’annosa vertenza regionale sulle servitù e le esercitazioni militari in Sardegna. Sarà utile evitare, altresì, di portare sul tavolo delle trattative anche la sola questione complessa dell’isola maddalenina e la sua crisi di rapporti con la Marina Militare Italiana, che ha quasi consumato il suo disimpegno da quel territorio.
Affrontare nella sostanza la questione della Base nucleare statunitense, dei progetti per il suo futuro e ricercare le soluzioni di “armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale”dell’area subregionale Gallura costiera ed interna ed il programma di quest’installazione, è la ragione unica e vera della convocazione presso il Consiglio dei Ministri secondo la Legge sulle installazioni e le servitù militari.
Lo spessore qualitativo e quantitativo delle problematiche che sostanziano la questione della Base USA di La Maddalena/S. Stefano non tollera il suo annacquamento in contesti di contrattazione più larghi, dove le mediazioni politiche trovano soluzioni ambigue, ed in cui le contropartite servono alle parti per non affrontare la questione centrale ed i suoi specifici problemi.
Dall’analisi sinora svolta si impongono oggettivamente i nodi critici che l’occasione di confronto Regione-Governo deve affrontare su iniziativa della Presidenza della RegioneSardegna, che ha chiesto il riesame della decisione ministeriale sulla Base nucleare statunitense
1 - Il primo punto di rivendicazione si ritiene debba essere quello relativo al SEGRETO MILITARE. L’articolo 3, comma 3, della Legge sulle servitù offre la possibilità di superarlo, dando facoltà al Presidente della Regione di chiedere all’autorità competente di autorizzare la comunicazione delle notizie necessarie anche se secretate. Il Co.Mi.Pa. deve poter riconsiderare la questione sottoposta al suo parere obbligatorio nella pienezza della conoscenza del contesto giuridico della Base statunitense. L’affermazione del Ministro circa la conformità del progetto avanzato dal Dipartimento della Difesa statunitense agli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia, va riportata in quel Comitato perché possa rideliberare con la consapevolezza dei termini della proclamata conformità.
2 - In secondo luogo, la proposta di RICONVOCAZIONE del Co.Mi.Pa. appare necessaria per riportare a correttezza le procedure di legge
che impegna il Comitato a deliberare sulle installazioni che interessano la Difesa Nazionale. E’ infatti necessario superare la grave
irregolarità che ha portato la Sezione Statunitense della Commissione Mista Lavori Italia /USA a farsi proponente unilaterale di un’opera di “interesse militare” statunitense. L’Amministrazione italiana della Difesa dovrà eventualmente riproporre alla deliberazione del Comitato Regione-
Governo un’opera che viene da essa dichiarata di interesse della Difesa Nazionale.
3 – La Regione deve richiedere, ancora una volta in quella sede, la CERTIFICAZIONE SCIENTIFICA DI COMPATIBILITA’ alle regole dell’Agenzia Internazionale sull’Energia Atomica (A.I.E.A.) tra la Base nucleare statunitense ed il Deposito Munizioni di Guardia del Moro, che la ospita nella propria ridottissima area demaniale di S. Stefano. La certificazione deve essere richiesta, secondo quanto da sempre richiesto dai rappresentanti della Regione nel Comitato alla stessa A.I.E.A., rifiutando qualsiasi tentativo di autocertificazione.
4 – Va riproposto il riconoscimento del diritto di qualsiasi lavoratore a condizioni di salute e sicurezza in qualsiasi luogo di lavoro e di vita, ed il
Presidente della Regione deve avanzare la richiesta del DIRITTO DI RECIPROCITA’ a favore anche della salute e della sicurezza delle popolazioni e del territorio che ospitano una presenza nucleare. A questo proposito appare obbligato richiedere: A) la revisione e potenziamento dell’
attuale sistema di monitoraggio, di controllo in continuo e di allarme;
B) La predisposizione e la pubblicazione di un completo Piano di Emergenza esterno e del conseguente Piano di evacuazione senza omissis, specificatamente adatto alle condizioni di vita in un’isola.
5 – La Sardegna ha tutti i titoli per riproporre, soprattutto in quella sede ed in quella data circostanza, la propria VOCAZIONE EUROPEA.
e porre la questione politica sul mantenimento di una simile Base nel proprio territorio.