Dopo la tragedia
di Domenico Bartoli
Dopo la commozione, dopo il lutto e lo sdegno, gli italiani si chiedono ansiosamente alcune cose. Si pongono alcune domande precise alle quali chiedono risposta. E se risposte soddisfacenti dovessero venire da quelli che devono darle, cioè dalla magistratura, dalla polizia, dal governo, dal Parlamento, dai partiti e da chiunque, insomma, abbia un minimo di responsabilità e di peso nella vita pubblica italiana, allora potremmo dire che il sacrificio dei quattordici di Piazza Fontana, le sofferenze dei feriti, l'angoscia dei superstiti sono serviti a qualcosa: almeno a un esame di coscienza e a un nuovo orientamento degli animi e dei propositi.
Chi è stato? I sospetti, come sapete, si soffermano sui piccoli gruppi estremistici delle due opposte sponde, sia perché essi predicano e praticano la violenza nelle forme più avanzate, sia perché alle loro file appartengono per la maggior parte gli accusati delle imprese terroristiche avvenute in Italia in poco più di un anno (non meno di cinquantuno, secondo l'elenco che il ministro dell'Interno Restivo lesse alla camera poche settimane fa). Ma non sarebbe giusto credere che soltanto nelle file degli opposti estremisti possano trovarsi gli autori dell'atroce attentato. Ad ogni modo, noi non faremo come la stampa comunista che accusa la destra di avere organizzato un complotto. Non amiamo abbandonarci a questo macabro gioco di indovinelli, e di indovinelli, per di più, che hanno la soluzione bell'e pronta. Sono gli investigatori e i giudici che devono rispondere.
Perché e come siamo arrivati a questo punto? La gente comune capisce benissimo che il barbaro episodio del 12 dicembre è come la punta avanzata, l'espressione ultima di uno spirito di violenza che ha già fatto altre vittime e che può farne ancora. L'Italia, e del resto tutta l'Europa, attraversano un periodo di nevrosi, e le forme di questa nevrosi sono diverse. In alcuni casi, si arriva alla criminalità furiosa, com' è avvenuto a Piazza Fontana e nelle altre imprese terroristiche della stessa giornata. In altri casi, la nevrosi si esprime in forme meno tragiche, ma fra tutte queste manifestazioni di violenza c'è un legame preciso. Esse nascono dallo stesso ambiente psicologico, dalla stessa matrice storica. E' una ribellione contro tutto e contro tutti, è un desiderio esasperato di farsi giustizia da sé, e questo significa, il più delle volte, far torto agli altri, e soprattutto alla comunità nazionale. E' un'ondata emotiva e irrazionale che minaccia di travolgere qualunque cosa e di mettere capo a un regime di dura e spietata autorità.
Chi sono i responsabili? E qui per responsabili non si intende il terrorista singolo, il violento, l'uomo che scende nelle piazze con la bomba o con la mazza ferrata: si allude a quelli che con la loro azione politica, o con la loro inazione, hanno provocato o permesso la nascita di questa tragica fase della vita italiana. Dobbiamo dire che tutti o quasi tutti i dirigenti politici, per quello che fanno o per quello che non fanno, sono responsabili dello stato di cose che vediamo intorno a noi e che diventa di giorno in giorno più minaccioso. L'esasperazione delle lotte sociali e politiche è responsabilità delle due estreme, e un po' anche di quei gruppi autonomi che guidano i sindacati di alcune categorie borghesi (impiegati, insegnanti, eccetera) e che si mostrano non meno infiammati e intransigenti dei capi dei sindacati proletari. ma se da una parte l'incitamento alla durezza, la diffusione di parole d'ordine accese contribuiscono ad inasprire gli animi e a rendere più dura ogni rivendicazione politica o sindacale, dall'altra parte i partiti di governo, la maggioranza parlamentare, i ministri hanno dato troppe volte prova di incertezza, di incapacità a dire no e, insomma, di una fiacca condotta della cosa pubblica.
A tutte queste domande, a tutti questi dubbi, dopo la tragedia, gli italiani aspettano una chiara e ferma risposta.
Domenico Bartoli