Sarà riesumata il 28 ottobre la salma del bandito Salvatore Giuliano. Lo ha disposto la procura di Palermo che ha dato l'incarico all'anatomopatologo Livio Milone. Lo scopo è verificare se quelli sepolti siano effettivamente i resti del "re di Montelepre". Milone eseguirà sulle spoglie l'esame del Dna confrontando quello del cadavere con quello di alcuni familiari in vita di Giuliano.
Tra i discendenti ancora in vita di Giuliano c'è il nipote, Giuseppe Sciortino, figlio di una sorella, sentito nei giorni scorsi come testimone. L'indagine è stata aperta dopo la presentazione di un esposto da parte dello storico Giuseppe Casarrubea, archiviato negli anni scorsi e ora riaperto su iniziativa del procuratore aggiunto Antonio Ingroia: lo storico sostiene che vi sono parecchi elementi di contraddizione che inducono alla necessità che la magistratura accerti come stanno realmente le cose. Il cadavere potrebbe essere quello di un'altra persona e il bandito ne avrebbe approfittato per fuggire. La morte del bandito risale al luglio del 1950.
I magistrati chiedono la riesumazione del corpo: "Lì non c'è il bandito". Oggi il più antico dei misteri d'Italia è a una svolta. Dagli esiti imprevedibili ATTILIO BOLZONI PALERMO 15 ottobre 2010 - Se qualcuno ha fatto carte false per seppellire un altro cadavere lo scopriremo molto presto. Perché in Sicilia, che è terra di misteri, stanno per tirare fuori i suoi resti dalla bara. Ossa, denti e la polvere di un uomo che forse non è quello che ci avevano detto tanto tempo fa. A sessant'anni dalla sua morte si scoperchia la tomba di Salvatore Giuliano. Oggi i medici legali del Policlinico di Palermo riceveranno l'incarico ufficiale per la riesumazione e, fra qualche giorno, in una cappella del piccolo cimitero di Montelepre sarà disvelato l'ultimo segreto del bandito che uccideva i contadini e sognava la Sicilia come una stella - la quarantanovesima - della bandiera americana. È lui o non è lui? È davvero del siciliano più famoso del dopoguerra quel corpo martoriato dalle pallottole che, all'alba del 5 luglio 1950, era steso in mezzo al suo sangue in un cortile di Castelvetrano? È il leggendario e sanguinario Turiddu quello che hanno infilato in una cassa di legno o uno dei tanti sosia che il capobanda, scaltro e crudele, usava alla bisogna? Per trovare la verità sulla morte vera o presunta del "colonnello" dell'Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia, pupo nelle mani di mafiosi e di agitatori politici, la prossima settimana apriranno la sua bara e preleveranno un campione di Dna per confrontarlo con quello dei suoi discendenti. Uno, Pino Sciortino, il nipote, abita ancora a Montelepre dove ha un albergo-museo - il Giuliano's Castle - in onore del celebre zio. Tre o quattro altri parenti, li hanno già rintracciati negli Usa. È un pezzo di storia che riemerge dall'aldilà, un enigma che da qualche mese è diventato ancora materia d'indagine giudiziaria. "Abbiamo preso questa decisione per non lasciare dubbi su quel cadavere, abbiamo ricevuto una denuncia circostanziata, per il momento s'indaga intorno all'ipotesi di morto ignoto ucciso con premeditazione", spiega il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che il 5 maggio scorso ha trovato sulla sua scrivania un rapporto della Questura di Palermo con un esposto firmato dallo storico Giuseppe Casarrubea - figlio di uno dei tanti sindacalisti assassinati dalla banda Giuliano - e dal ricercatore Mario J. Cereghino. Era un invito "a intraprendere un'attività conoscitiva per accertare la vera identità della persona uccisa nel cortile dell'avvocato Di Maria (Castelvetrano) rispondente al nome di Salvatore Giuliano, autore di omicidi commessi in Sicilia nel periodo che va dal 2 settembre 1943 e fino al 5 luglio 1950". La richiesta dei due studiosi è partita dopo dieci anni di ricerche, soprattutto su un paio di filmati e una dozzina di fotografie che ritraevano il bandito con i suoi sgherri. Immagini a confronto, quelle con Giuliano vivo e quelle altre con Giuliano morto, che hanno cominciato a far venire i primi sospetti agli storici e non solo a loro. Le foto più significative - cinque, il bandito fotografato all'obitorio e il bandito fotografato nel cortile di Castelvetrano - sono finite per altre vie nei laboratori del professore Alberto Bellocco, docente di medicina legale all'Università Cattolica di Roma, che dopo averle esaminate ha dato il suo parere: "Ho seri dubbi che le foto possano essere attribuite allo stesso cadavere". Così è nata l'inchiesta giudiziaria (coincidenza, il fascicolo è stato ufficialmente aperto il 5 luglio del 2010, proprio nel sessantesimo anniversario) sul cadavere del bandito di Montelepre e così i magistrati sono arrivati alla conclusione che bisognava aprire quella tomba. Dopo avere ascoltato Casarrubea e Cereghino, interrogato testimoni e periti e "fonti" che gli inquirenti non vogliono ancora scoprire, il procuratore aggiunto Ingroia - insieme ai sostituti Francesco Del Bene, Marcello Viola, Lia Sava e Paolo Guido, che sono tutti i pm che hanno competenza territoriale per le vicende di mafia fra il Trapanese, dove c'è Castelvetrano, e la parte occidentale della provincia di Palermo, dove c'è Montelepre - ha incaricato il capo della polizia scientifica Piero Angeloni di "comparare" foto ed emettere un verdetto. Impresa difficile, immagini di qualità scadente, un'indagine che richiederà tempi molto lunghi. In attesa del risultato finale i magistrati di Palermo hanno preferito andare subito al cimitero e provare a capire cosa è accaduto più di mezzo secolo fa tra Castelvetrano e Montelepre, valli e colline di una Sicilia che in quegli anni ha vissuto furori indipendentisti e conquiste mafiose, che ha sofferto fame e pianto morti. Il primo commento di Casarrubea alla notizia della riesumazione del cadavere di Giuliano: "La procura si sta muovendo nella direzione giusta, nonostante il tempo trascorso finalmente ne sapremo di più su un giallo che è all'origine della storia della nostra Repubblica. L'esame del Dna ci dirà chi è sepolto in quella tomba". Chi ci sarà là dentro? Ci saranno gli avanzi dell'uomo che lottava per "una Sicilia ai siciliani" e sparava a Portella della Ginestra, che assaltava caserme e camere del lavoro, o ci sarà "il sosia di Altofonte", quel ragazzo che gli somigliava tanto da sembrare un suo gemello e che già era descritto con dovizia di particolari nelle cronache degli Anni Cinquanta? Una messa in scena, la sua vita e una messa in scena anche la sua morte. Dal mito di un Robin Hood nostrano "che ruba ai ricchi per dare ai poveri" a burattino al servizio dei potenti boss di Monreale, da confidente e alleato dei pezzi grossi dell'Arma e del ministero dell'Interno a vittima dei patti più indicibili fra Stato e mafia e servizi americani, i primi, solo i primi di una lunga trama. Gli incontri con Ciro Verdiani, l'Ispettore generale della pubblica Sicurezza in Sicilia che alla vigilia di un Natale incontra il bandito nel suo regno - fra le colline di Sagana - portandogli in dono un panettone e una bottiglia di Marsala. Le lettere del capitano Antonio Perenze a Gaspare Pisciotta ("Caro amico mio..."), il cugino traditore di Giuliano che poi muore avvelenato all'Ucciardone. Gli intrighi con il colonnello Ugo Luca del Cfrb, il Comando Forze Repressione Banditismo. Tratta con tutti e tutti trattano con lui. Ma dopo le elezioni politiche del '48, Salvatore Giuliano, è un uomo scomodo per i suoi complici, comincia sentirsi abbandonato dallo Stato e comincia a negoziare, pensa a una fuga, a lasciare la Sicilia per sempre. Manda segnali. Il 19 agosto del 1949 la sua banda uccide sette carabinieri a Bellolampo, è l'avvertimento a polizia e Arma, non si fida più di loro. E minaccia di vuotare il sacco sulla strage di Portella, undici morti e ventisette feriti il primo di maggio del 1947. Il processo di Portella - siamo nel giugno del 1950 - è alle porte e il ministro degli Interni Mario Scelba trema. Neanche quattro settimane dopo trovano il cadavere del bandito (il suo?) nel cortile di Castelvetrano. È una finzione, i carabinieri di Luca raccontano di un conflitto a fuoco dove Salvatore Giuliano cade. Il giornalista de L'EuropeoTommaso Besozzi smaschera le menzognere ricostruzioni della sbirraglia e attacca il suo articolo con parole che resteranno nella memoria di tre generazioni di reporter italiani: "Di sicuro c'è solo che è morto". Dopo sessant'anni, oggi, non abbiamo certezza neanche di quello. Chi ci sarà lì dentro? Se qualcuno ha fatto carte false per seppellire un altro cadavere, Salvatore Giuliano, nato a Montelepre il 16 novembre del 1922, chissà dove avrà consumato la sua esistenza di "indesiderato". Qualcuno dice che l'hanno portato sull'isola greca di Samos. Qualcun altro ricorda che l'hanno visto imbarcarsi a Selinunte, quattro giorni prima del 5 luglio 1950, su un peschereccio che faceva rotta per la Tunisia. Dall'Africa sarebbe poi volato verso la sua amatissima America. Ma un ultimo testimone racconta - e probabilmente questa confessione è già agli atti dell'inchiesta giudiziaria - che anche Padre Pio fosse convinto che "un povero figlio di mamma" era morto al posto del bandito. E che lui, Salvatore Giuliano, in una mattina di quella lontana estate fosse arrivato a San Giovanni Rotondo travestito da frate cappuccino |
28 luglio 2010 Anna Petrozzi Riaperte a Palermo le indagini sulla morte del re di Montelepre, vicenda chiave per molti misteri del passato. E’ stato grazie ad un esposto dello storico Giuseppe Casarrubea che la Procura di Palermo ha aperto un fascicolo Il corpo del famigerato bandito era stato ritrovato all’interno del cortile dell’abitazione dell’avvocato Gregorio De Maria (deceduto di recente all’età di 98 anni), a Castelvetrano, il 5 luglio 1950 e la versione fornita al tempo sulla dinamica della sparatoria con i carabinieri che lo aveva ucciso non è mai stata considerata convincente. |
Salvatore Giuliano: di sicuro c’è solo che (forse) è morto 26 giugno 2010 Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino Ricorre, il prossimo cinque luglio, il 60° anniversario della “morte” di Salvatore Giuliano. Molti si preparano alla commemorazione dell’evento anche se dovrebbero avere il pudore di tacere, visto che ad essere ricordato è un criminale incallito con quattrocento fascicoli e procedimenti penali aperti sul suo conto. Le accuse: stragi, insurrezione armata contro i poteri dello Stato, assalto contro i lavoratori in festa e le sedi della sinistra politica e sindacale, uccisione di carabinieri e civili, molti del suo stesso paese, Montelepre. Il bandito è trovato morto all’alba del 5 luglio 1950 nel cortile dell’avvocato De Maria, a Castelvetrano. Ma oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, forti dubbi nascono sulla “morte” di questo bandito politico che inaugura con Portella della Ginestra, la lunga catena dello stragismo italiano. * A certificarne la morte è il giornalista Tommaso Besozzi. Fa molta strada prima di arrivare come un militare in avanscoperta, sulla scena del combattimento. E, quando arriva, più che certezze raccoglie dubbi. Li descrive tutti in un articolo destinato a fare la storia del giornalismo italiano: “Un segreto nella fine di Giuliano. Di sicuro c’è solo che è morto”, uscito sul n. 29 de “L’Europeo” del 1950. * * * * * * * Sono temi, questi, ampiamente trattati nel volume “Lupara Nera” (Bompiani, 2009). * Non sono da meno le carte desecretate a Londra e a Washington sul capitano Antonio Perenze e sul colonnello Ugo Luca, entrambi dell’Arma. Del primo, gli americani scrivono che nell’agosto ‘46 lavora a contatto con l’X-2 di Roma e che, su mandato del capitano del Cic Philip J. Corso, si incontra con Kappler detenuto a Forte Boccea. I Servizi Usa ottengono da Kappler e da Karl Hass gli elenchi degli agenti nazifascisti attivi in Italia fino alla fine della guerra e che ora servono per combattere il “bolscevismo”. Da qui la centralità della figura di Perenze in tutto l’affaire Giuliano. Su Luca il materiale abbonda. Lo spionaggio americano ci rivela che è sempre stato “vicino” al regime fascista e a Mussolini in persona e che in tale veste compie delicate missioni in Turchia, Spagna e in Medio Oriente fin dall’inizio degli anni Trenta. Anche l’Fbi si occupa di Luca. Nel 1959 segnala che intrattiene rapporti a Napoli con il superboss mafioso Lucky Luciano. * * * Dopo le elezioni politiche del ’48, Giuliano si sente abbandonato dallo Stato col quale, da ex terrorista nazifascista, ha iniziato a trattare per trovare una via di fuga in Italia o all’Estero. Ma non succede nulla. Tutti fingono di non sentire. E a “Turiddu” saltano i nervi. Alza il tiro e il risultato è la strage di Bellolampo, il 19 agosto 1949, sullo stradale Palermo-Montelepre. Muoiono otto carabinieri. E’ un chiaro messaggio per il colonnello Luca. Quando l’ispettore generale di Ps in Sicilia, Ciro Verdiani, accorre sul luogo dell’eccidio, con lui c’è anche il futuro capo del Comando forze repressione banditismo (Cfrb). * Luca, quindi, è in Sicilia prima ancora di essere investito dei suoi poteri. Forse sta ambientandosi prima di assumere l’incarico di capo del Cfrb, il 27 agosto 1949. Con Bellolampo, Giuliano lancia un messaggio preciso ai vertici occulti dell’Upa e, indirettamente, al ministro dell’Interno Mario Scelba. Non è casuale, visto che le carte inglesi desecretate nel 2005 e da noi pubblicate in “Lupara Nera”, ci raccontano che gli uomini di Scelba si incontrano segretamente a Roma con i capi del fascismo clandestino (Augusto Turati in testa) e con i vertici della Polizia e dei Servizi italiani, sotto l’ombrello protettivo del capitano Philip J. Corso dell’Intelligence Usa. * * * * * * * * |
Quell’ultima notte di Turiddu 3 luglio 2010 Giuseppe Casarrubea Mario J. Cereghino L’entità del fenomeno Giuliano si può sintetizzare in pochi, scarni numeri: 34 caserme assaltate; 100 carabinieri uccisi; 411 delitti accertati, tra i quali diverse stragi di civili e numerosi omicidi di gente inerme; armi, munizioni e vettovagliamenti militari sufficienti ad armare 2000 uomini. Un milione al giorno il costo delle attività del Comando forze repressione banditismo (Cfrb), al quale va aggiunto il vitto e il salario di ufficiali e militi. Due miliardi di vecchie lire il costo complessivo della lotta contro il fuorilegge; 589 banditi arrestati in sette anni. * * * Ma in quell’articolo del 13 luglio, intitolato non a caso “Nessuno ha mai visto il bandito Giuliano”, Besozzi avanza pesanti dubbi sull’identità stessa del capobanda monteleprino. L’occasione gli è data dal rapimento, ad opera della banda, di Giuseppe Geraci, un facoltoso uomo d’affari palermitano sequestrato per chiederne il riscatto. In quasi venti giorni di prigionia Geraci non vede mai in faccia il famoso Robin Hood siciliano e interpellato dal giornalista afferma: “E che ne sai tu se Giuliano era più vicino a me quando stavo a Roma? Chi l’ha mai visto Giuliano? Chi sarebbe in grado di distinguerlo da un altro picciotto qualunque?”. L’articolo è molto chiaro. Due mesi dopo Portella i Carabinieri hanno nel loro schedario ufficiale soltanto una foto del bandito risalente a sei anni prima, quando Giuliano aveva diciott’anni. Besozzi incalza: “Come lui ce ne sono altri diecimila in Sicilia, capigliatura nera e impomatata, due occhi scintillanti, un viso dalla pelle abbronzata e dall’espressione comune”. E conclude: “Insomma chi l’ha mai visto?”. * Ma quell’unica immagine è il risultato di uno sforzo di intelligence, mentre le forze dell’ordine non hanno di fatto schedari dei principali ricercati dalla legge. Di uno o più sosia, o di controfigure di Salvatore Giuliano da utilizzare al momento opportuno per fingerne la morte, parlano negli anni ’80 Pasquale ‘Pino’ Sciortino, il cognato di Giuliano, e il giornalista Sandro Attanasio, come abbiamo detto nel post del 27 giugno 2010 intitolato: “Salvatore Giuliano: di sicuro c’è solo che (forse) è morto”. Una ipotesi, questa, non isolata. Nel numero de “L’Europeo” dell’11 dicembre 1960, intitolato “L’ho ucciso io, urlò Pisciotta. La verità sulla drammatica notte in casa De Maria”, Trionfera scrive: “Mentre i carabinieri preparavano una trappola in cui farlo cadere, lui [Salvatore Giuliano] meditava adeguate contropartite nei confronti del Comando forze repressione banditismo (Cfrb). Come riferirono alcuni confidenti, egli stava macchinando un’azione complicatissima. Aveva incaricato i suoi collaboratori di cercare un giovanotto che avesse pressappoco la sua età e la sua corporatura. Una controfigura, insomma, alla quale Turiddu avrebbe riservato una sorte crudele”. Tale mossa avrebbe avuto come effetto immediato l’interruzione delle ricerche del bandito, permettendogli di dileguarsi. * * Con questi morti il bilancio dei carabinieri uccisi dal capobanda, dal 1943, sale a cento. Ma non è tutto. Un altro gruppo di banditi si apposta a Passo di Rigano e al passaggio della macchina di Verdiani spara all’impazzata lanciando bombe a mano. L’ispettore ne esce vivo per miracolo. Secondo Trionfera, che ne parla nello stesso articolo sopra citato, il bandito, a questo punto, si sente forte e ritiene di potere aprire una trattativa definitiva per chiudere a suo vantaggio la battaglia che sta conducendo, a modo suo, contro lo Stato. Giuliano quindi torna a incontrarsi con Verdiani e al contempo cerca di agganciare il colonnello Luca, dal 27 agosto ’49 capo del Cfrb. * * Ultima, macroscopica discrepanza rispetto alla versione di Rizza sta nella data dell’incontro. Secondo Meldolesi avviene, infatti, il 10 dicembre ‘49. Ovvero più di tre settimane dopo quella indicata da Rizza. Come spiegare questa divergenza? * Certo è che Cosa nostra non rimane alla finestra a guardare lo spettacolo. A questo periodo risale un fitto carteggio tra Verdiani, Giuliano, Pisciotta, Perenze, Miceli, capimafia questi ultimi di Monreale, datata tra febbraio e giugno ’50. Ma non solo: “Bisognava poi aggiungere l’elenco dei viaggi effettuati da Palermo a Roma e viceversa dall’inseparabile coppia Ignazio Miceli- Domenico Albano, tra l’agosto del ’49 e il 5 luglio del ’50. [...] E’ abbastanza evidente che nei mesi che precedono la morte di Giuliano si svolge una frenetica azione sotterranea che ha i suoi referenti nelle principali cosche mafiose della Sicilia occidentale e, attraverso di queste, in certi ambienti romani controllati dal Ministero dell’Interno di cui Verdiani è la punta più vistosa” (Casarrubea, Salvatore Giuliano, Milano, FrancoAngeli, 2001, p. 150). Nel luglio 1951, durante una deposizione resa al processo di Viterbo, Verdiani aggiunge dettagli ancora più inquietanti: “Nella seconda decade di maggio ’50, io informai del rapporto avuto con Giuliano la Direzione generale di Ps. Mi si disse di non occuparmi pù della faccenda Giuliano per essere sopravvenuta una nuova organizzazione”. In definitiva le trattative occulte iniziano dopo la strage di Bellolampo e, alla vigilia di Castelvetrano entra in scena una nuova misteriosa identità che prende il sopravvento su tutto e tutti, anche sulle funzioni del Cfrb, con la mediazione di Cosa Nostra. Di quale organizzazione si tratta? * Questa fu la misura dello scambio e lo Stato dovette scendere a patti, come più volte aveva fatto fin dal 1943. Che le cose siano poi andate in questa direzione, ossia che la trattativa sia andata a buon fine, è ciò che la magistratura dovrebbe finalmente appurare. |
|