Quello che segue è lo studio commissionato dal ministero per le Attività produttive sei mesi prima dell'inizio della guerra in Iraq (marzo 2003) al professor Giuseppe Cassano, docente di statistica economica all'università di Teramo. Un dossier nel quale si confermava che non dovevamo lasciarci scappare l'occasione in caso di guerra di basarci a Nassiriya, "se non vogliamo perdere - scriveva Cassano - un affare di 300 miliardi di dollari".
Non è un documento segreto (anche se, ovviamente, ne era stato fatto un uso interno) e vi si dimostra la "convenienza" per l'Italia di partecipare alle operazioni in Iraq . Il meccanismo che viene evidenziato si può leggere a pagina 14 del documento dove si dice: "L'Iraq ha stabilito una serie di accordi commerciali con tre Paesi del Consiglio di Sicurezza, evidentemente come una sorta di assicurazione contro più severi provvedimenti da parte delle Nazioni Unite…". Il ragionamento, più o meno, è il seguente: l'assicurazione potrebbe non funzionare perché gli Stati Uniti potrebbero (come poi fecero) "garantire" il mantenimento degli accordi commerciali in essere anche nel "dopo Saddam". Quindi, partecipare alla guerra, vuol dire avere garantiti gli accordi sul petrolio… "Forse anche l'Italia - prosegue il documento - potrebbe giocare la stessa carta circa i giacimenti di Halfaya e Nassiriya…".
L'inchiesta di RaiNews24 condotta da Sigfrido Ranucci è partita dal documento e ha trovato una serie di conferme dai protagonisti. In sostanza, l'Italia è andata a Nassiriya non solo e non tanto per motivi umanitari, ma soprattutto per difendere i propri diritti sui giacimenti petroliferi sui quali l'Eni aveva una trattativa in corso insieme alla spagnola Repsol. Molti diranno che la cosa era già chiara e sottintesa. L'inchiesta, però, pone anche una domanda cui non è mai stata data risposta: perché il governo non ha mai ammesso la cosa in tante risposte date alla stampa e in Parlamento sui motivi della nostra partecipazione al conflitto iracheno?