ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME

DELLA STRAGE ALLA STAZIONE

DI BOLOGNA DEL

2 AGOSTO 1980

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Via Indipendenza, 2 - 40121 Bologna

Tel. 051 - 227055

PREMESSA

Questa pubblicazione riporta integralmente la sentenza emessa il 29 Luglio 1985 dalla 5^ Corte D'Assise di Roma contro Pazienza Francesco, Musumeci Pietro, Belmonte Giuseppe ed altri condannati rispettivamente a 8 anni e 6 mesi, 9 anni
e 7 anni e 8 mesi per aver depistato le indagini sulla strage di Bologna e per altri reati.

Con sentenza in data 14 Marzo 1986 la Corte d'Assise di Appello di Roma ha assolto gli imputati di cui sopra dalla associazione a delinquere "perché il fatto non sussiste" (*) e di conseguenza le pene sono state ridotte rispettivamente
a 3 anni e 2 mesi, a 3 anni 11 mesi e 15 giorni e a 3 anni e 5 mesi.

L'Associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 Agosto 1980 ha ritenuto doveroso
fornire all'opinione pubblica una informazione diretta, precisa e ufficiale quale può essere quella degli atti giudiziari.

La lettura della sentenza n. 45/85, di seguito riportata, sarà utile ad una valutazione obiettiva dei fatti.
 
 

Bologna, 18.3.1986
Associazione Familiari Vittime

Strage Bologna

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(*) Dal quotidiano "la Repubblica" del 15.3.1986
 

Redatta scheda per casellario
addì ........................
N. 45/85 del Registro

inserz. sentenze

5^ CORTE D'ASSISE DI ROMA

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

l'anno millenovecento ottantacinque il giorno ventinove del mese
di luglio in Roma
LA 5^ CORTE DI ASSISE DI ROMA
composta dai Signori:
 
1. DOTT.  FRANCESCO AMATO Presidente
2. DOTT. MAURIZIO PACIONI Giudice
3. SIG. AMEDEO PALMA Giudice popolare
4. SIG. ROBERTO PENNENTE "
5. SIG. ERMENEGILDO VALERIANI "
6. SIG. GIULIANA CARLI "
7. SIG. ENRICO FERRAZZOLI "
8. SIG. ERCOLINA FORNARI "

Con l'intervento del Pubblico Ministero rappresentato dal Signor DOTT. LORETO D'AMBROSIO

e con l'assistenza del Segretario DI GIOVANNANTONIO PIETRO

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa

C O N T R O

1) PAZIENZA FRANCESCO, nato a Monteparano (Taranto) il 17.3.1946 e residente a La Spezia, via Don Minzoni n. 88.

Libero latitante


2) MUSUMECI PIETRO, nato a Catania il 18.5.1920 e residente a Marino, via dei Laghi Km. 8.600; in atto detenuto presso il Carcere Militare di Forte Boccea.

Detenuto presente
3) BELMONTE GIUSEPPE, nato a Napoli il 18.3.1929 e residente a Marino, via dei Laghi Km. 8.600; in atto detenuto presso la Casa Circondariale di Regina Coeli - ROMA.
Detenuto presente
4) D'ELISEO SECONDO, nato a Nola (Napoli) il 17.12.1934 e residente a Roma, via del Tufo n. 10, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di Roma - Regina Coeli.
Detenuto presente
5) ARTINGHELLI VALENTINO, nato a Penne (Pescara) il 19.8.1941 e residente in Roma via R. Fabretti n. 3, in stato di custodia cautelare nel proprio domicilio.
Detenuto presente
6) AVICO ADRIANA, nata a Asmara il 21.4.1942 e residente in Roma, via Bentivoglio n. 36, in libertà provvisoria.
Libera presente

 
 

IMPUTATI

A) PAZIENZA: del delitto di cui agli artt. 110, 261, 61 n. 9 C.P. per avere in concorso con Santovito Giuseppe, deceduto, nella sua qualità di direttore del Servizio Informazioni Sicurezza Militare - SISMI - ed il Pazienza nella qualità di collaboratre del servizio medesimo, rivelato il contenuto di due elaborati informativi destinati alla conoscenza esclusiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Difesa (contenenti notizie che - nell'interesse politico interno ed internazionale dello Stato - dovevano rimanere segrete), successivamente pubblicati nel settimanale "Panorama" n. 752 del 5.9.1980 con il titolo "La grande ragnatela" (rectius, sul settimanale "Panorama" n. 752 del 15.9.1980 come precisato in udienza);

in Roma, in epoca, precedente e prossima al 15.9.1980.

B) PAZIENZA, MUSUMECI, BELMONTE, D'ELISEO, ARTINGHELLI, AVICO: del delitto di cui agli artt. 416, 61 n. 9 C.P. per essersi associati, in concorso anche con il gen. Giuseppe Santovito (già direttore del SISMI, deceduto), allo scopo di commettere più delitti (segnatamente delitti di peculato, interesse privato in atti di ufficio, favoreggiamento personale ed altre ipotesi di reato in corso di accertamento); con l'aggravante d'aver commesso i fatti con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione di appartenenti al SISMI (per Musumeci, Belmonte, D'Eliseo, Artinghelli);

in Roma, sino al luglio 1981.

C) PAZIENZA, MUSUMECI, D'ELISEO, ARTINGHELLI: del delitto di cui agli artt, 314, 110 C.P. per avere, in concorso tra loro e con il defunto gen. Giuseppe Santovito - ed avendo il Musumeci, l'Artinghelli, il D'Eliseo la disponibilità di gestione degli aerei posti a disposizione del SISMI tramite la società di navigazione aerea CAI per le obiettive esigenze di servizio -, distratto gli aerei stessi a profitto del Pazienza, cui consentivano (e, insieme a questo ad un numero imprecisato di altre persone, tra cui tali Mazzetta Maurizio, Magri Placido, Lustrissimi Sebastiano e Balducci Domenico - pregiudicato, ricercato, deceduto per omicidio) di effettuare un numero assai elevato di voli per destinazioni nazionali ed internazionali, non inferiore comunque a centocinquanta passaggi (Francia, Spagna, Grecia, Germania, Svizzera, Libano e Stati Arabi; numerose località italiane);

in Roma, sino al luglio 1981.
 
 

D) PAZIENZA e MUSUMECI: del delitto di cui agli artt. 314 e 110 C.P. perché — in concorso tra di loro — si appropriavano della somma di lire 95 milioni (o superiore), di cui il Musumeci aveva avuto la disponibilità in relazione alla sua qualità di direttore dell'Ufficio controllo e sicurezza del SISMI, e che erano stati stanziati al fine di acquistare da Santoro Francesco documenti riservati relativi alla gestione del Banco di Roma;

in Roma, sino all'ottobre 1981.

E) MUSUMECI, D'ELISEO, ARTINGHELLI, PAZIENZA: del delitto di cui agli artt. 110, 378 C.P. perché, in concorso tra loro, aiutavano Balducci Domenico, contro il quale era stato emesso mandato di cattura dall'Autorità giudiziaria di Palermo, ad eludere le ricerche dell'Autorità, consentendogli di espatriare a bordo di aerei a disposizione del SISMI e fornendo al medesimo assistenza per i suoi movimenti all'estero mediante facilitazioni presso l'Ufficio di frontiera dell'aeroporto internazionale di Fiumicino;

in Roma, sino al luglio 1981.

F) MUSUMECI, D'ELISEO, ARTINGHELLI. BELMONTE e PAZIENZA: del delitto di cui agli artt. 110, 324 C.P. perché — in concorso tra di loro e con il defunto direttore del SISMI Santovito — prendevano un interesse privato negli atti della propria amministrazióne, svolgendo indagini di natura riservata sulle attività di Billy Carter (a tale scopo utilizzando materiale tecnico, di proprietà del Servizio) in relazione a suoi rapporti con autorità libiche, nonché accertamenti sul t.col. Di Napoli (al fine di dimostrare un suo coinvoigimento in attività spionistiche) e sul col. Notarnicola (in relazione a suoi presunti rapporti illeciti con agenti libici) ed in generale svolgendo attività conoscitiva e d'informazione non nell'interesse dell'ente di appartenenza;

in Roma, sino al luglio 1981.

G) MUSUMECI e BELMONTE: del delitto di cui agli artt. 61 n. 2 e 9 C.P. e artt. 10 e 12 della L. 14.10.1974 n. 49, artt. 2 e 23 della L. 18.4.1975 n. 110, per avere — con abuso di poteri e con violazione dei doveri inerenti alla loro qualità di funzionari dell'Ufficio di controllo e sicurezza del SISMI — illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico un mitra MAB con numero di matricola abraso (e pertanto arma clandestina) nonché due caricatori, di cui uno da 40 colpi vuoto ed altro carico da venti cartucce; un fucile automatico da caccia cal. 12 con canna segata e numero di matricola abraso (e pertanto costituente arma clandestina), contenente nel serbatoio n. 4 cartucce; n. 6 cartucce cal. 12 in involucro separato; n. 8 contenitori (costituiti da lattine per conserve alimentari) contenenti quantità variabili da 6 a 7 ettogrammi di sostanza esplosiva del tipo gelatinato e pulverolento, già innescati con capsule detonanti in alluminio del tipo n. 8 nonché con micce a lenta combustione;

in zona impreeisata, sulla tratta ferroviaria Taranto-Ancona-Bologna, 13 gennaio 1981. "Agendo in concorso tra loro e con persone allo stato non identificate" (contestazione effettuata nell'udienza del 12.6.1985).

H) MUSUMECI e BELMONTE: del delitto di cui agli artt. 110 e 367 C.P. perché, in concorso tra loro e con informative dirette al SISMI, affermavano falsamente essere avvenuto il reato di detenzione e porto di esplosivo; finalizzato al programma eversivo di costituire una ipotesi di "ricatto al Governo", simulando le relative tracce mediante il deposito di una valigia sul treno Taranto-Milano e mediante altresì la formazione di falsi documenti;

in Roma e lungo la tratta Taranto-Bologna, sino al 13.1.1981. "Agendo in concorso tra loro e con persone allo stato non identificate" (contestazione effettuata nell'udienza del 12.6.1985).

I) MUSUMECI e BELMONTE: del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 7, 314 C.P. per essersi — in concorso tra di loro e coni il defunto generale Santovito - appropriati una somma di denaro di circa lire un miliardo duecento milioni e comunque non inferiore ad un miliardo di lire, di cui avevano la disponibilità per ragione del rispettivo loro ufficio di dirigenti del Servizio informazioni militari (SISMI);

in Roma, sino al giungo 1981.

PARTI CIVILI:

Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministro della Difesa pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato.

IN FATTO E IN DIRITTO

A seguito di istruttoria con rito sommario, Pazienza Francesco, Musumeci Pietro, Belmonte Giuseppe, D'Eliseo Secondo, Artinghelli Valentino ed Avico Adriana, imputati dei reati rubricati, furono tratti in giudizio, con decreto datato 30 novembre 1984, davanti al Tribunale di Roma. Il Giudice adito, con sentenza del 20 febbraio 1985; si spogliò del processo perché il delitto di rivelazione di segreti di Stato (capo A) radicava la competenza per tutti i reati connessi presso la Corte di Assise di Roma.

Di conseguenza, i menzionati imputati venivano tratti al giudizio di questa Corte per rispondere dei reati formulati in epigrafe.

Si costituivano parte civile la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Difesa.

Pazienza era dichiarato contumace.

Si interrogavano gli altri imputati.
 
 

Si assumevano prove testimoniali; si sentivano varie persone ai sensi dell'art. 450 bis C.P.P.; si acquisivano documentazioni.
Si dava lettura di rapporti, documenti e altri atti.

P.C., P.M. e difensori concludevano come in verbale.

Ciò posto, si osserva.

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Per una migliore comprensione degli episodi di causa non deve essere trascurato il giudizio che il "Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato" ha espresso, nell'esercizio dei suoi compiti, sulla condotta di appartenenti al Servizio segreto militare: Vi sono stati fatti di gravissima degenerazione e deviazione (1).

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(1) Cfr. relazione datata 4.10.1984, in fasc. 4, ff. 639 sgg.

La motivazione di tale giudizio — ovviamente non finalizzata all'accertamento di violazioni della legge penale ma a una valutazione prevalentemente politica — rimarca efficacemente la realtà di un apparato deviato e deviante costituitesi all'interno del Sismi ed operante in contrasto con i principi istituzionali del Servizio.

È bene riportare i punti salienti della relazione.
 
 
"... Il caso Cirillo" (sequestro, detenzione, trattativa, rilascio) copre un arco temporale di 89 giorni, d al 27 aprile al 24 luglio 1981. Sei mesi dopo, nel gennaio 1982, furono arrestati i presunti autori del sequestro e l'organizzatore dell'operazione, Giovanni Senzani.

Dal punto di vista giudiziario il caso non è ancora chiuso e costituisce oggetto di indagine da parte di diverse autorità giudiziarie. Il Comitato, da parte sua, ha portato il suo esame sul comportamento degli organi di informazione e sicurezza per verificare se esso sia stato, nella vicenda, lineare e al di sopra di ogni sospetto; oppure se abbia dato luogo a deviazioni. Nella precedente legislatura ha dedicato interamente al caso le sedute del 24 marzo, del 5 aprile e del 27 aprile 1982, con la partecipazione del Presidente del Consiglio Spadolini. II 30 marzo furono ascoltati il Ministro della giustizia, il Ministro degli intemi, i direttori del SISMI e del SISDE, il segretario generale del CESIS, mentre il Ministro della difesa fu ascoltato nella seduta del 6 aprile.

Nello stesso periodo il Presidente del Consiglio Spadolini riferì più volte (23 marzo, 2 aprile e 5 luglio 1982) alla Camera dei deputati sulla materia, ma non fu possibile squarciare completamente le nubi che avvolgevano il caso.

Quando i due livelli istituzionali preposti ai Servizi, quello politico (che ne ha la responsabilità diretta) e quello parlamentare (che ne ha la vigilanza e il controllo) non riescono a ricostruire in tutti gli aspetti ed i particolari un'operazióne nella quale sono implicati i Servizi si determina una empasse la cui gravita non ha bisogno di essere sottolineata...;

... è bene innanzitutto avere presente i seguenti elementi:

— durante il sequestro Cirillo, Presidente del Consiglio era l'onorevole Forlani, che aveva delegato i Servizi al sottosegretario Mazzola; Ministro dell'interno era l'onorevole Rognoni; alla Difesa era l'onorevole Lagorio; alla Giustizia l'onorevole Sarti;

— nello stesso periodo segretario generale del CESIS era il prefetto Pelosi, direttore del SISMI il generale Santovito, direttore del SISDE il generale Grassini, capo della polizia il prefetto Coronas, direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena il dottor Sisti.

In seguito alla vicenda della Loggia P2 il Presidente Forlani sospese di fatto tutti e tre i capi dei Servizi. Il prefetto Pelosi, il generale Grassini e il generale Santovito furono "messi in ferie" il 29 maggio 1981, nel pieno del sequestro Cirillo che aveva avuto inizio il 27 aprile e si sarebbe concluso il 24 luglio.

In giugno ci fu la crisi del governo Forlani. Il senatore Spadolini fu incaricato, il 28 giugno, di costituire il nuovo governo, ed ottenne la fiducia l'11 luglio.

Il nuovo Presidente del Consiglio non diede delega per i Servizi ed il 18 luglio nominò il prefetto De Francesco direttore del SISDE. Il 5 agosto il generale Lugaresi sostituì alla direzione del SISMI il generale Santovito che, per un breve periodo, in luglio, era tornato alla testa del Servizio militare...

Già il giorno successivo al sequestro, e cioè il 28 aprile, il Sisde chiese alla Direzione degli Istituti di pena e ottenne autorizzazione a prendere contatto con Raffaele Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno dove il capo camorrista era detenuto. Di questa iniziativa esiste traccia al SISDE, con la annotazione che di essa erano stati preventivamente informati la magistratura inquirente ed i vertici ministeriali.

Ricevute le necessarie autorizzazioni, il SISDE entrò ad Ascoli Piceno il 29 aprile, con una "squadra" composta da due suoi alti fun-ionari (Criscuolo e Salzano), dal sindaco di Giugliano, Granata, già segretario di Cirillo, e dal luogotenente di Cutolo, Vincenzo Casillo.

Cutolo venne avvicinato ad Ascoli dal SISDE altre due volte, il 2 ed il 5 maggio, sempre con la stessa squadra, arricchita, il 5 maggio, da un altro boss cutoliano, Iacolare. I colloqui con Cutolo furono lunghi, cinque-sei ore.

A questo punto entrò in campo il SISMI. Il 9 maggio ebbe luogo un incontro nell'ufficio del dottor Sisti, in seguito al quale il SISDE, rappresentato dall'allora vice direttore Parisi, lasciò il campo al SISMI, rappresentato dal generale Musumeci. Subito dopo vi è una prima visita ad Ascoli il 10 maggio.

Questo episodio costituisce uno dei punti centrali della vicenda.

Occorre sia chiaro che in discussione non è, in alcun modo, il fatto che i Servizi si siano attivati...

... Se i Servizi non si fossero attivati in questo senso, essi sarebbero venuti meno al loro dovere.

In discussione non è neanche l'attivazione dei due Servizi, il SISDE e il SISMI, non esistendo allora, come non esiste oggi, una netta linea divisoria a separare i campi di attività di ciascuno, anche se la materia della sicurezza intema è di. specifica competenza del SISDE...

Occorre invece chiedersi perché il SISDE abbia ceduto tutta l'operazione al SISMI facendosi da parte e se per caso, da parte del SISMI, non si sia verifìcata una sorta di estromissione del SISDE da un'operazione che quest'ultimo aveva già avviato e per quali motivi.

Il Presidente del Consiglio Spadolini riferì nel 1982 al Comitato parlamentare e alla Camera che i tentativi del SISDE per agganciare Cutolo erano sostanzialmente falliti e che il SISMI subentrò perché fece capire di avere qualche carta in più da giocare.

Questa .argomentazione in qualche modo veniva a. scontrarsi con il principio che il SISDE ha il diritto-dovere di occuparsi di questioni inteme e con la circostanza che il SISMI quando subentrò non introdusse alcuna carta nuova ma adoperò in tutte le fasi successive le stesse personec he aveva utilizzato il SISDE, cioè Casillo e Granata.

Il Presidente Spadolini giudicò "anomala" l'iniziativa del SISMI. In un primo tempo il Governo pensò anzi che si fosse trattato di una iniziativa personale del generale Musumeci, ma il generale Santovito, rientrato provvisoriamente in servizio prima della sua definitiva sostituzione, se ne assunse la responsabilità.

Occorre perciò approfondire le ragioni per le quali il SISMI è voluto'entrare nella partita.

Una prima interpretazione è che il SISMI avrebbe visto subito la pista Senzani. Ma se questa è la ragione, non si vede perché si dovesse addirittura sostituire al SISDE. Un'altra spiegazione fornita è che l'intermediazione di Adalberto Titta (ora scomparso), amico dell'avvocato Cangemi, legale di Cutolo, potesse rivelarsi più efficace. Ma resta sempre da spiegare perché si dovesse mascherare l'operazione con tanta cura e tanto accanimento, fino a falsificare i registri delle carceri, a nascondere l'identità di coloro che partecipavano ai colloqui e a negare una corretta informazione ai responsabili politici e allo stesso Presidente del Consiglio chiamato a riferire alla Camera e al Comitato. Tutto questo quando il Ministero di grazia e giustizia aveva concesso fino ad allora tutte le autorizzazioni necessarie.

Ecco perché prende corpo l'altra spiegazione, e cioè che il SISMI abbia voluto rimanere solo nel controllo dell'operazione per poterla deviare dall'obiettivo iniziale, che era quello di ritrovare il covo in cui era tenuto prigioniero Cirillo e di arrestare gli autori del sequestro mediante pressioni esercitate nell'ambiente camorristico, e poter realizzare invece un obiettivo più complesso e inconfessabile, quello di ottenere la liberazione di Cirillo mediante una trattativa in cui il riscatto da pagarsi alle brigate rosse costituiva solo una parte della partita, e la concessione di contropartite di altro tipo ai clan camorristici di Cutolo, elevati a rango di intermediari tra lo Stato e le formazioni terroristiche, era altrettanto .necessaria.

La realizzazione di un'operazione di questo tipo costituiva una gravissima degenerazione e deviazione dai compiti istituzionali dei Servizi. Il SISMI l'ha organizzata e portata a termine e per questo doveva rimanere solo sul campo. Perciò anche il fatto che sia riuscito ad ottenere il consenso del SISDE ad operare da solo diventa secondario di fronte alla circostanza che abbia voluto agire anche in modo invisibile. E questo perché a condurre l'operazione non furono, nel SISMI, i responsabili degli uffici operativi che avevano titolo per farlo, ma il generale Musumeci che nel Servizio copriva allora l'incarico di "capo dell'ufficio controllo e sicurezza", cioè un incarico non operativo, ma di vigilanza sulla regolarità, delle attività del Servizio. Perciò tutta l'operazione reca il segno della anomalia anche sotto il profilo delle competenze interne del SISMI.

Dal giorno in cui il Sismi prese in mano l'operazione, le riunioni nel carcere di Ascoli Piceno per i contatti con Cutolo entrarono in una nuova fase.

La squadra del SISMI era composta da un colonnello (in un primo tempo individuato nel colonnello Cornacchia, in un secondo tempo nel colonnello Belmonte), da un ufficiale dell'aeronautica, Adalberto Titta, definito "collaboratore saltuario del SISMI", introdotto nell'operazione in quanto amico di uno degli avvocati di Cutolo, e dai soliti Casillo e Granata.

Ma il vero salto di qualità fu fatto con l'individuazione e l'attivazione del canale di raccordo tra la camorra e le brigate rosse. Fra il 6 e il 9 maggio giunsero nel carcere di Ascoli Piceno da varie carceri tre detenuti: Sante Notarnicola, Emanuele Attimonelli e Luigi Bosso, in parte "comuni " politicizzatisi in carcere, in parte con origini NAP, in parte con origine camorrista.

È stato in proposito rilevato che i provvedimenti di trasferimento dei primi due riposavano in circostanze oggettive anteriori al sequestro. Anche ad ammettere all'origine queste circostanze sta di fatto però che costoro vennero alloggiati in una sottosezione di Cutolo, fatto questo che favoriva i contatti, e soprattutto poi, nello spazio di tre giorni, furono tutti e tre inviati a Palmi, dove allora era incarcerato lo stato maggiore delle brigate rosse, stabilendo un canale, tanto è vero che esso venne utilizzato dal SISMI facendo entrare parecchie volte nel supercarcere di Palmi Casillo e Granata, facendoli, figurare come funzionari dei Servizi.

Lo stesso giornor in cui Cirillo viene rilasciato in cambio del pagamento a Senzani di un riscatto dichiarato di circa un miliardo e quattrocento milioni, ma che ora viene stimato dalla Magistratura assai più alto, viene rimesso in libertà, per mancanza di indizi, anche il detenuto politicizzato Luigi Bosso.

È dunque possibile cominciare a rispondere al perché il SISMI si inserì con queste modalità in un'operazione SISDE e la dirottò.

Se si ammette che la liberazione di Cirillo costituiva di per sé un fatto rilevante in una certa struttura del potere e in un certo sistema di amicizie, si stabilisce anche l'"interesse" ricavabiie dal conseguimento di un risultato favorevole. E dal momento che al vertice del SISMI si era costituita una "struttura parallela"... si capisce perfettamente come la possibilità di assicurare la liberazione di Cirillo per. sfruttarla ai loro fini possa essere stata colta in tutta .la sua potenzialità...

Stando così le cose la presenza attiva di una controparte non è strettamente necessaria.

In mano a questa "struttura parallela" del SISMI la liberazione di Cirillo era di per se stessa un risultato che poteva essere "giocato" pesantemente nei confronti del partito in cui Cariilo militava (o della sua corrente di appartenenza o del sistema dì potere dì cui faceva parte), senza che si debba necessariamente pensare ad una preventiva richiesta di intervento, ad un favore chiesto o imposto ai Servizi. La "struttura parallela" puntava comunque a trarre partito dalla liberazione di Cirillo anche senza averla contrattata prima.

Persone legate a Cirillo anche per motivi politici si sono rese attive e inserite in questo contesto di deviazioni.

Un'operazione di ricerca della prigione di un rapito e di individuazione dei rapitori, anche esercitando pressioni sulla camorra, divenne un'operazione in cui l'elemento caratterizzante era dato dal pagamento di un foltissimo riscatto ad un gruppo terroristico che se ne sarebbe servito per portare ancora più avanti l'aggressione allo Stato, dall'offerta della camorra alle brigate rosse di condurre in porto alcune azioni di "annientamento" nei confronti di magistrati e di poliziotti e da contropartite "premiali" per i mediatori camorristi.

Le tracce che sono state lasciate trovano riscontro nelle diverse inchieste della Magistratura cui spetta di accertare, nell'ambito della individuazione delle responsabilità, anche il momento in cui l'offerta del SISMI, una volta rimasto da solo al controllo dell'operazione, si incontrò con la domanda del gruppo di quelle persone legate a Cirillo anche per motivi politici che si era posto come obiettivo di ottenere la liberazione dell'assessore Cirillo. Rimane aperto il riscontro esatto delle persone che vi presero parte.

Può anche essere che certi livelli di responsabilità possano essere stati esagerati o distorti. Tutte e tre le parti coinvolte nell'operazione (BR, camorra e SISMI deviato) avevano interesse ad aumentare il peso della controparte democristiana. Uno degli obiettivi delle BR era infatti quello, attraverso il contatto degli amici di Cirillo, di far "perdere la faccia" alla DC. Il SISMI dal canto suo aveva interesse ad accreditarsi presso Cutolo come se fosse stato incaricato da una parte "alta" della DC. E Cutolo, per le sue contropartite, dipendeva dalla "qualità" di chi si faceva garante dell'operazione. In un modo o nell'altro la sostanza dei fatti non si modifica. Cirillo deve la sua liberazione ad un'operazione complessa, fondata sull'iniziativa di spezzoni del SISMI che si è incontrata con l'aspirazione a salvarlo del gruppo sopracitato a lui legato.

La struttura deviata del SISMI è stata messa in evidenza anche nel rapporto dell'Ispettorato generale del Ministero di grazia e giustizia, che ha espressamente parlato di un "collegamento Servizi, camorra e P2, che si è protratto anche in seguito".

Al Comitato spetta innanzitutto di verifìcare come sia potuto accadere che un'operazione di questa importanza e di questo spessore sia completamente sfuggita di mano a chi istituzionalmente aveva la responsabilità dei Servizi.

Non risulta da alcuna parte che l'operazione sia stata ordinata, o anche solo approvata, dal Presidente del Consiglio, onorevole Forlani, o dal sottosegretario onorevole Mazzola, o dai Ministri che direttamente rispondevano dei Servizi. Presso il CESIS non esiste traccia scritta delle operazioni in corso. E non esiste traccia in nessuna altra parte che gli organi istituzionali siano stati informati "preventivamente" dell'allontanamento del SISDE operato dal SISMI. Il ministro Lagorio ha dichiarato di averlo saputo solo in seguito. Si è cercato di giustificare l'intervento del generale Musumeci sostenendo che questi sarebbe stato utilizzato solo perché amico di Ugo Sisti, ciò che rendeva più facile ottenere i permessi di ingresso nelle carceri. Ma va affermato con forza che questi fatti costituiscono una aggravante, non una attenuante.

La segretezza con cui debbono operare i Servizi (e che il Comitato parlamentare intende tutelare nel modo più ampio e completo) non può in alcun modo riguardare, in primo luogo, il "controllore" politico che è responsabile delle attività dei Servizi e, per altro verso, il Comitato parlamentare, per i compiti che la legge stabilisce.

Ora, non solo questi due livelli sono stati tenuti sostanzialmente all'oscuro di quanto stava avvenendo, ma all'intemo stesso dei Servizi si è verificata la totale cancellazione della "memoria storica" dell'operazione.

Questo è del tutto inammissibile, perché se è vero che i Servizi non debbono "lasciare traccia" del loro operato, ciò vale per l'esterno, non all'interno dell'organizzazione e nei confronti di chi ha la responsabilità delle loro azioni. Questa cancellazione della memoria fece sì che quando il Presidente del Consiglio Spadolini, nella sua veste di responsabile dei Servizi, fu chiamato, a distanza di pochi mesi dai fatti, tre volte in Parlamento e tre volte nel Comitato parlamentare, a riferire sull'operato dei Servizi nell'affare Cirillo, non fu in grado di fornire una versione sicura e conclusiva dei fatti accaduti, ma dovette impegnarsi in laboriosi e ripetuti aggiornamenti, man mano che riusciva ad acquisire brandelli di verità.

Si è tentato di far credere che non vi è consuetudine, nei Servizi, di registrare le operazioni che non vanno a buon fine. Questa spiegazione è stata anche fornita in Parlamento. Ma è una spiegazione che non ha alcuna base. Risulta invece che i Servizi tengono "memorie" di tutte le loro operazioni.

Dell'operazione Cirillo non v'è memoria perché non è stata un'operazione "ufficiale", fatta dal SISMI come tale, ma da quello spezzone parallelo e segreto che si era costituito all'interno del Servizio che aveva collegamenti con altre parti e altri uomini dell'amministrazione statale.

L'ufficio del SISMI che avrebbe dovuto condurre una operazione del tipo di quella fatta per Cirillo venne "saltato" e tenuto all'oscuro. Il generale Musumeci, che dirigeva allora un settore particolare del SISMI, non aveva alcun titolo per interessarsi di Cirillo. È per questo che si sono cancellate le tracce all'interno del SISMI e all'esterno, come per le visite nelle carceri.

Come è potuto accadere questo? Solo per il "tradimento" di chi aveva le più alte responsabilità del Servizio.

Sempre, in un Servizio, debbono essere attivi meccanismi di vigilanza per impedire le deviazioni. Ma il generale Musumeci era proprio quello che doveva provvedere a questo, e il direttore del Servizio era complice.

L'operazione quindi è del SISMI solo per approssimazione. In realtà è di uno spezzone del SISMI che ha operato, in questo modo improprio e segreto, nel periodo del sequestro Cirillo fin quando il Servizio non è stato normalizzato.

Comunque i meccanismi che debbono impedire che nei Servizi si cancellino le operazioni che essi compiono, vanno rinforzati perché è su questa discrezionalità che si innestano le deviazioni e si costituiscono quei poteri liberi da ogni controllo e da ogni limite che tanto spesso abbiamo visto sovrapporsi alle istituzioni legittime e alle legittime rappresentanze, fino a farsi pericolosi e minacciosi.

C'è poi un altro problema, che nel caso Cirillo ha avuto particolare rilevanza: quello dei "i mezzi" rispetto ai "fini".

Si sa benissimo che i Servizi operano spesso ai margini della legge; si sa che essi possono entrare in rapporto con persone non sempre accettabili o raccomandabili.

Nessuno pensa di censurare i Servizi per l'utilizzazione di persone di dubbia rispettabilità. E se il circuito carcerario è la principale fonte di alimentazione e di direzione del terrorismo politico e di quello mafioso, precluderlo indiscriminatamente ai Servizi in base a regole formali sarebbe solo dannoso.

Tutto questo deve sempre accadere per finalità legittime e cioè "nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico è delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento".

Nella vicenda Cirillo è emerso il caso di personaggi assai discutibili cui si consente di assumere di fatto funzioni di alta dirigenza dei Servizi, lasciati liberi di operare in essi senza nemmeno quei vincoli e quelle regole che i funzionari dei Servizi debbono rispettare, aiutati per anni ad esercitare un potere reso più arbitrario e pericoloso dalla particolare condizione di privilegio di cui godono i Servìzi.

II caso di Francesco Pazienza è esemplare. Dal generale Santovito, direttore del SISMI, ebbe un vero e proprio "salvacondotto", la licenza di trattare molte delle faccende "sporche" di cui si interessava il Servizio.

Oggi si dice che il generale Santovito più che dirigere Pazienza ne fosse diretto. Durante la sua. frequentazione del SISMI e del generale Santovito, Pazienza è stato largamente pagato con i fondi del Servizio, ma di queste operazioni non si ha più traccia. Ha potuto anche fare oltre 130 viaggi con gli aerei del SISMI, in Italia e all'estero, più volte in compagnia di persone inseguite da mandati di cattura spiccati da magistrati per gravi reati e ricercate dalle forze dell'ordine. Ciò che è certo è che Pazienza, anche in forza delle sue relazioni politiche, divenne il punto di congiunzione e di riferimento di tutto l'intreccio affaristico-mafioso che nella vicenda Cirillo si è incontrato col terrorismo in modo partìcolarmente manifesto...".

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Utilizzando i parametri dell'inchiesta giudiziaria, la Corte perviene alla medesima conclusione del Comitato parlamentare:

vi sono stati fatti di gravissima degenerazione e deviazione. Essi configurano le ipotesi delittuose che saranno appresso indicate.

REATO DI CUI AL CAPO B. ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE AGGRAVATA

Uno dei protagonisti della vicenda che assume dimensioni di inaudita pericolosità sociale fu senz'altro Francesco Pazienza, che fin dal 1979 (2) stabilì proficui collegamenti con il gen. Santovito, direttore del servizio

segreto militare, tessè una rete associativa e stabilì con vari funzionari

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(2) Cfr. dichiarazioni di Pazienza 28.12.81. XIV, f. 62. Santovito 20.10.83; 9.11.83, XII, ff. 229,230. Artingelli 9.12.83, XII, f. 156; interr. 17.6.85, p. 6. Giovannone Stefano, 24.11.84, XII, f. 74. Giovanni Nisticò, 5.12.83, XII, f. 115, udienza 1.7.85 e Pasquale Notarnicola, 2.7.85, p. 26: Pazienza comparve "ai primi del '79"; ecc.

del Servizio un rapporto organico che si estese sull'importante apparato statale.

Sulle anomali relazioni intercorrenti tra gli imputati vi sono abbondanti elementi di prova: dalle testimonianze di Sebastiano Lustrissimi, Antonio Sallustio, Maurizio Visigalli (3) circa le frequentazioni di Pazienza e Musumeci alle ammissioni di quest'ultimo sulla "possibilità" offertagli da Santovito, con l'interessamento di Pazienza, e quindi da Calvi di divenire "capo della sicurezza" del "gruppo ambrosiano" (4); dalle dichiarazioni di Francesca Battaglini e di Maria Luisa Albrizzi (5) sui rapporti "molto stretti fra Santovito, Pazienza e Musumeci" alla deposizione del col. Giovanni Serappo (6), che constatò come Pazienza e Musumeci avessero libero accesso nell'ufficio del direttore e come il primo fosse non solo con il cap. Artinghelli ma con il gen. Musumeci in confidenza tale da consentirgli di "togliersi la giacca, usare i telefoni, farsi richiamare"; dalle testimonianze del prefetto Federico Umberto D'Amato e del col. Giovanni Cadura (7), ai quali Santovito presentò Pazienza come "uomo di sua assoluta fiducia", come suo "braccio destro", a quella di Andrea Barberi sul comportamento quanto meno paritario nei contatti con il gen. Santovito tenuto da Pazienza (8), a quella del gen. Pasquale Notarnicola che ha definito i rapporti tra il "consulente estemo" e l'"ufficio" di Musumeci "continui e molto stretti" tanto che "francamente" riteneva vi fossero "affari in comune" (9); dalle dichiarazioni del maresciallo Francesco Sanapo sull'intesa tra Musumeci e Belmonte e sulla dedizione

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(3) Lustrissimi 16.1.84, II, f. 327; udienza 8.7.85; Sallustio 2.12.83, XII.ff. 92 sgg., 8.7.85. Visigalli 28.10.84 V, f. 134. 26.6.85. Cfr. anche Giovannone Stefano 24.11.83, XII, ff. 74 sgg. ecc.

(4) Musumeci 5.12.85, XII, f. 121; IV f. 801; udienza 12.7.85 p. 34.

(5) Battaglini 2.8.84, III, f. 488. Albrizzi 17.1.84, II, f. 334; udienza 10.7.85.

(6) Serappo 7.1.84, II, f. 266; XI, f. 49, 276; 15.11.84; udienza 26.6.85.

(7) D'Amato 4.12.83, XII, f. 109; udienza 8.7.85. Cadura 30.12.83,II, f. 255, udienza 1.7.85.

(8) Barberi 22.11.83, XII, f. 49; udienza 25.6.85. A riscontro, si legga lo scritto di Pazienza "Gentile Eccellenza" (manoscritto nel "quaderno a spirale" in faldone III). Cfr. inoltre Magrì, 10.12.83, XII, f. 169, udienza 25.6.85 p. 25. Pazienza telefonò al direttore del Sismi urlando e gli ingiunse di prendere immediatamente appuntamento con Bisaglia al Ministero; "Lui dal gen. Santovito riusciva ad ottenere tutto". Avico, udienza 12.6.85: dovendo precisare con Pazienza l'orario di un appuntamento, telefonò al numero datogli dall'amico come suo recapito telefonico. Era l'utenza segreta del direttore del Servizio, che prese la chiamata. Artinghelli, 21.10.84, XII, f. 159, udienza 17.6.85 p. 5: Santovito aveva una linea telefonica Sip di cui esso Artinghelli ignorava il numero. Pazienza lasciava come suo recapito quello dell'ufficio del direttore; ecc.

(9) Notarnicola 3.5.84, II, f. 421, udienza 2.7.85 p. 34: "... vedevo questo signore (Pazienza) che arrivava spesso con bagagli, con valigie, arrivava, depositiva, faceva; tante volte, ripeto. Siccome nessuna attività informativa di quésto signore era mai arrivata ai reparti, io ritenevo che svolgesse degli affari... ".

di quest'ultimo al suo superiore gerarchico (10), alla testimonianza del col. Demetrio Cogliandro (11), il quale percepì l'"abnorme situazione creatasi ai vertici del Sismi" e l'esistenza di un "gruppo di potere del quale facevano parte sicuramente Santovito, Musumeci, Pazienza e D'Eliseo", a quella del gen. Lugaresi che ha riferito sulla forte voce in capitolo che Pazienza e Musumeci avevano nella direzione del Servizio e nello svolgimento di alcune attività, e sul singolare ruolo svolto dal secondo che, quale capo del reparto destinato a garantire contro ogni pericolo di inquinamento gli addetti al Servizio, invece di adempiere alle sue funzioni, aveva messo a disposizione dell'avventuriero (12) il proprio ufficio, sì da agevolarne le personali operazioni in altri settori, facilitandolo nei contatti "e coprendolo con una carta di credito che solo il Sismi poteva dare" (13).

Il giro di conoscenze di Pazienza con personalità della vita politica, amministrativa, economica, editoriale, finanziaria italiana; con personaggi del Vaticano, con elementi della malavita era quanto mai ampio, come ampia era la gamma degli interessi da lui coltivati. Basta sfogliare il bloc-notes Ascofin delle telefonate dirette al giovane "consulente" per averne conferma (documento in busta f.173,1; test. Massimo Penna, XII, f. 67 e udienza 8.7.85).

Maria Luisa Albrizzi (II, ff. 333, 334 e udienza 10.7.85) ha riferito tra l'altro che l'imputato le confidò di essere "consigliori" di J. Gambino (idem Buongiorno, XII, f. 84; udienza 26.6.85; cfr. anche Lustrissimi 17.1.84, II, f. 335; Santovito, XII, f. 22). Fu lei a presentarlo a monsignor Marcinkus che, inizialmente sulle sue, quando l'interlocutore ebbe a dire "al mio paese fanno votare anche le croci" replicò "al mio paese fanno votare croci e morti" e modificò il suo atteggiamento. Pure a Francesca Battaglini (9.1.84, II, f. 306) Pazienza disse che era grande amico di massoni e mafiosi, facendole il nome di Gambino. Cfr. Flavio Carboni XII, f. 15 e udienza 8.7.85; Marina de Laurentis, XII, f. 36 e udienza 8.7.85; ecc.

Anche quanto dichiarato dal dottor Francesco Pompò, all'epoca dirigente del I Distretto di Polizia della Questura di Roma in ordine al "modus operandi" di Santovito e di Pazienza è significativo.

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(10) Sanapo 24.10.84, IV, f. 812 ecc.; udienza 3.7.85.

(11) Cogliandro 30.10.84, V, ff. 183, 184; udienza 3.7.85.

(12) "Condottiero di ventura, alla stregua di Colleoni", così in definitiva Pazienza: cfr. Santoro 13.12.83, XII, f. 184.

(13) Lugaresi, 2.7.85 p. 83-86.
 
 

Verso la fine del 1980 — inizi del 1981 il direttore del servizio segreto militare — che si era rivolto al funzionario di Polizia allo scopo di bloccare l'esecuzione dello sfratto per morosità di Pazienza da un appartamento sito nei pressi di Campo de' Fiori (gli fu detto che ivi si trovava un ufficio di copertura del Servizio con linee telefoniche "protette") — lo informò che il suo collaboratore gli avrebbe fornito indicazioni su varie trame delinquenziali. Pazienza, quindi, gli diede alcune notizie su un traffico di armi e su episodi di terrorismo in cui erano implicate organizzazioni straniere. Pompò e Pazienza, in collaborazione, redassero i relativi appnti, poi trasmessi "fuori protocollo" dal dirigente del I Distretto al Questore, che a sua volta informò l'Ucigos (14).

Mentre siffatto singolare operato è spiegabile soltanto dall'interesse dello "staff" di Santovito di non apparire quale assuntore delle notizie, e ciò per la ragione che si dirà in seguito (15), va osservato che uno di detti appunti, e precisamente quello che inizia con le parole "Centrale trafficanti armi e droga: sede Berlino Ovest...", diversamente impaginato ma identico nel contenuto e recante in più la data 18.1.81 (16), è stato rinvenuto tra gli atti dell'ufficio del gen. Musumeci che, come è noto, avrebbe dovuto occuparsi del controllo e della sicurezza del personale e delle infrastrutture.

L'ex direttore del Sismi non ha negato di essersi servito di Pazienza come "collaboratore esterno" e di aver avuto numerosi contatti con lui (17).

Gli è che, nella patologica situazione di degrado in cui versava il Sismi e nell'ambito delle attività che venivano svolte da un determinato gruppo di persone "senza alcune ufficializzazione" e senza registrazione delle operazioni compiute (18), il "faccendiere" operava non tanto come "consulente per la strategia a medio e lungo termine" (19) o "braccio destro" del direttore, bensì come suo ispiratore e determinatore.

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(14) Pompò 3.11.84. VI, ff. 181 - 189; 5.11.84, VIII, ff. 4 - 6: "Ho redatto un appunto più vasto, basato sulle notizie datemi da Santovito o da Pazienza"; "una parte dei dati mi è stata fornita da Santovito"; udienza 12.7.85: le notizie gli furono fomite da Pazienza su autorizzazione di Santovito.

(15) Vedansi le pagine 69, 70.

(16) Documenti in VII, ff. 69 sgg. e III, f. 634.

(17) Santovito 2.12.83,I, ff. 48 sgg.

(18) Cfr. risposta del Sismi in rapporto 5.5.84 Reparto Oper. CC. Roma, II, f. 422.

(19) Così Pazienza ebbe a dire a Barberi: verb. citati e udienza 25.6.85 p. 112.
 
 

Non è di trascurabile valore, per comprendere lo strapotere di Pazienza nel Sismi e nei confronti del capo, quanto testimoniato da Maria Luisa Albrizzi a proposito della confidenza fattale dal "businessman" di aver aiutato il gen. Santovito, che stava "per essere "sputtanato" per un certo traffico (da lui appoggiato) di pietre preziose", attivandosi per evitare che la notizia fosse pubblicata. "Da ciò era derivata la gratitudine e l'assoluta fiducia del Santovito" (20) e, si potrebbe aggiungere, il permanente timore che Pazienza lo potesse bruciare nello scandalo con manipolazioni giomalistiche di cui era esperto (e non rileva in fondo se la notizia sul traffico illecito fosse veritiera o meno).

Questa potrebbe essere una delle ragioni che costrinsero il gen. Santovito a spalancare le porte del Sismi — con la complicità del dirigente dell'"ufficio controllo e sicurezza" — all'avventuriero, che pure lo aveva informato di "conoscere grossi uomini della malavita sia internazionale sia italiana" e in particolare Gambino e Genovese (21).

Con le "memorie" trasmesse all'Autorità giudiziaria, Pazienza ha sostanzialmente ammesso l'esistenza di un "struttura parallela" e ha menzionato le persone che facevano parte della sua direzione (22).

Premette però la Corte che, nella rigorosa verifica del materiale acquisito, questa sorta di affermazione confessoria con l'indicazione dei componenti dirigenti il gruppo associato sarà presa in considerazione ai fini del decidere nella misura in cui il suo intrinseco significato avrà estrinseche conferme ovvero come riscontro alle emergenze probatorie di causa.

Dunque, Pazienza ha dichiarato che era stata costituita "al di dentro del Sismi " una struttura denominata Superesse, la quale aveva un proprio direttorio (23).

"Il Superesse o meglio le decisioni del Superesse venivano prese

da un collegio di quattro persone e dovevano essere sottoposte per

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(20) Albrizzi, 17.1.84, II, f. 334; udienza 10.7.85.

(21) Santovito 16.11.83, XII, f. 22.

(22) La tesi difensiva, secondo cui l'imputato si sarebbe " inventato" il Superesse "per una elementare esigenza difensiva, dato che aveva bisogno di esasperare la sua presenza nel Sismi", non convince perché contiene in sé una palese contraddizione ed oblitera il fatto che le memorie furono compilate con la scioltezza di chi ritiene di essersi sottratto ai rigori della legge.

(23) Memoria, VI.ff. 115 sgg.

approvazione finale al gen.Santovito. Il finanziamento delle operazioni doveva essere approvato dal direttore finanziario del Sismi" (24).

Il collegio o "direttorio" era, secondo l'imputato, composto da cinque persone: lui, "il gen. Musumeci, il col. D'Eliseo, il Direttore finanziario del Sismi e, naturalmente, il gen. Santovito" (25).

Giova a questo punto aprire una parentesi con riferimento ad alcuni documenti di pugno dell'imputato (26).

Nell'abbozzo della lettera che inizia con le parole " Gentile Eccellenza", Pazienza, dopo aver manifestato il suo proponimento d'interrompere la "collaborazione" a causa delle anomalie del funzionamento del Sismi, ricorda al direttore "per il suo stesso bene" l'inefficienza della I e II Divisione (per non parlare "del suo capo segreteria pescato con le mani nel sacco del tradimento verso la sua persona"), lo critica severamente per le sue titubanze e conclude dicendogli "immodestamente che la sola maniera per andare avanti in maniera decorosa è la messa in pratica del NOS (27) da lei approvato e poi dopo "balbuziato"".

In un altro documento si fa cenno alle finalità operative di un ufficio del Servizio da aprirsi in via Germanico, dietro lo schermo di una società finanziaria e di assistenza aziendale, che avrebbe dovuto svolgere, con autonoma disponibilità di fondi, "operazioni speciali", "distaccate" gerarchicamente dalle "divisioni" del Sismi e su cui in particolare si sarebbero dovute accentrare le seguenti operazioni:

"a) Rapporti con la stampa e il mondo politico.

b) Rapporti con Z1 e Z2.

c) Rapporti con il mondo industriale, finanziario ed imprenditoriale.

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(24) Memoria 2.10.84, IV, f. 678.

(25) Memoria, VI, f. 115. La posizione del direttore finanziario, vale a dire di Di Murro, è tratteggiata da Pazienza in termini equivoci. Nel documento citato è indicato come facente parte del direttorio; nella memoria 2.10.84 sembrerebbe invece che il suo ruolo consistesse nel verificare l'esistenza di uno "spazio budgetario" per le decisioni prese dal direttorio.

(26) Gli scritti sono sulle pagine del quaderno (busta f. 36, faldone III) consegnato alla polizia giudiziaria da Massimo Penna, collaboratore dell'imputato. Spigolando fra le pagine possono cogliersi notizie sui contatti di Pazienza con vari personaggi, sulle sue proposte o iniziative ecc. Cfr. test. Penna, 22.11.83, XII. ff. 45, 67, udienza 8.7.85.

(27) Secondo un difensore, NOS significherebbe Nucleo Operazioni Speciali.
 
 
 
 
 
 

d) Operazioni speciali preventivamente concordate con il Direttore e distaccate gerarchicamente d'alte divisioni. I risultati raccolti e sintetizzati saranno successivamente presentati al Direttore che ne farà l'uso voluto".

Al suddetto ufficio avrebbero fatto riferimento, dal punto di vista operativo: "P.M. S.G., DM, V.A.,F.P., D.C." (28).

Le localizzazioni geografìche delie attività sarebbero state, oltre l'Italia, gli USA, il Centro America e il Medio Oriente.

È scritto nel documento, a proposito del "budget finanziario":

"Si propone che il budget finanziario sia liberato mensilmente in forma di reintegrazione automatica e sotto il controllo di DM. Mensilmente un rapporto analitico sulle operazioni in corso, loro progresso e spese effettuate sarà presentato al Direttore ".

In un'altra manoscrittura:

"1) Stabilire una remunerazione di U.S. $ 3.500 $ mese pagabili trimestralmente - B.P. CDM.

2) Messa a disposizione dei fondi approvati nel badget previsionale fino a tutto il 8/1981. In altri termini avere un fondo costante di lit. 20. L'utilizzo è il ripristino detto stesso dovranno essere di volta in volta coordinati ed approvati dal direttore. Nell'ambito di questa disponibilità, la messa a disposizione sarà fatta dal C.d.M.

3) Autorizzare il C.d.M. a sbloccare le somme (sotto suo controllo) per l'organizzazione dell'ufficio Situato in via Germanico".

Ed ancora, vi sono appunti su Flaminio Piccoli ("Si attribuiscono diverse fucilazioni decise da lui, nel 1942-3 "), sulla riorganizzazione del posto Sismi di Fiumicino ("... Evitare le catene. Dipendenze dirette, in qualche maniera, dalla direzione... "), sul " terminale video" ("questo per la discussione delle operazioni"), sul ripristino del servizio di corriere diplomatico "onde coprire la funzione dei funzionari presenti a Fium. ", ecc.

Dalla lettura dei documenti citati si desume chiaramente la posizione di preminenza che Pazienza, già al soldo del servizio segreto

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(28) Le sigle dovrebbero indicare P.M. = Pietro Musumeci; S.G.= Stefano Giovannoni; D.M. = Di Murro; V.A.=Valentino Artinghelli; F.P.= Francesco Pazienza o Francesco Pompò?; D.C. = Demetrio Cogliandro.
 
 

militare francese e collegato con centri di potere stranieri (29), era riuscito a conquistare nell'organismo di sicurezza.

Egli non solo conosceva perfettamente i nomi dei funzionari, il sistema amministrativo di finanziamento, l'articolazione delle strutture, i reconditi del Sismi — la cui cognizione è stata doverosamente preclusa perfino all'Autorità giudiziaria —, non solo proponeva ipotesi organizzative, suggeriva come dovevano avvenire i contatti con determinate "fondi" e si dovevano svolgere le "operazioni speciali", ma addirittura, assumendo le funzioni di capo, muoveva censure al Direttore del Servizio.

Chiudendo la parentesi e riprendendo il discorso sull'ufficio di copertura, esso fu effettivamente costituito, anche se non in via Germanico.

Nella citata memoria del 31.10.84 (30), Pazienza ha precisato che il Superesse funzionava dapprima in un appartamento all'ultimo piano in un residence situato in via Panama (31) poi, per breve tempo in un appartamento in via del Governo Vecchio e successivamente in un ufficio di vicolo del Cinque.

Quest'ultima affermazione trova riscontro probatorio nelle deposizioni del col. Giovanni Cadura e del maresciallo Michelino Starace che provvidero, su ordine del Direttore del Servizio, ad installare nell'ufficio della società Ascofin, in vicolo del Cinque, alcune apparecchiature telefoniche del Sismi (32).

Gli agenti — continua Pazienza —, reclutati in Italia e all'estero nelle più disparate fasce sociali, facevano capo quasi esclusivamente

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(29) Test. F.U. D'Amato, udienza 8.7.85. Vedasi anche memoria di Pazienza 2.10.84, IV, f. 681 su un rapporto " ufficioso " da lui inviato al Dipartimento di Stato americano. Cfr. pure la lettera alla "Gentile Eccellenza", nella quale l'imputato sottolinea la sua onestà, che era quella "dei mercenari di un tempo".

(30) VI, ff. 115 e sgg.

(31) Su via Panama, cfr. Artinghelli, interr. 21.10.84, IV, f. 78.

(32) Giovanni Cadura, responsabile del settore tecnico RUD, II, f. 255; udienza 1.7.85;

Michelino Starace, capo servizio impianti e reti telefoniche presso il RUD, II, f. 254, udienza 1.7.85. Santovito negò nell'interrogatorio del 4.1.82, XIV, f. 66 che il Servizio avesse fornito contributi all'Ascofin. La sede della società fu visitata dai "capi dell'Ufficio DIR, dell'Ufficio controllo e sicurezza e della Divisione Amministrativa" su invito di Pazienza: cfr. relazione 17.2.83 di D'Eliseo (faldone III, verb. perq. e sequestro); interr. 17.6.85 p. 41.
 
 
 
 

a lui, pochi al gen. Musumeci, tra i quali Z2 (33), che, manipolato dal colonnello Belmonte, operava dalla Sicilia (34).

Dei problemi di informazione e disinformazione a livello stampa si occupava Placido Magri, mentre il proprietario dell'"Agenzia Repubblica — vale a dire Lando Dell'Amico — aveva "una funzione completamente differente"" (35).

I rapporti con i politici italiani — aggiunge Pazienza — erano tenuti per il P.L. e il P.R.I. da Magrì, per la D.C. e il P.C.I. da lui stesso (36).

Il "Superesse" funzionava talmente bene che persino il Vaticano ne aveva chiesto l'intervento "... anche per spietate lotte intestine... " (37): l'operazione "Guerra Santa ", oggetto: segreto, svoltasi in Svizzera, era stata richiesta al Direttore del Sismi dal cardinale Casaroli; l'operazione per accertare l'origine e la causa della divulgazione di fotografie di Papa Wojtyla era stata richiesta da monsignor Silvestrini e si era svolta in Francia; un'altra attività consistette in uno scambio d'informazioni, con l'intervento dei Servizi sauditi, tra Vaticano ed Arabia Saudita (38).

II " Ministro della Difesa era a conoscenza di una struttura di questo genere attraverso il dr. Fiaschi" (39).

Il signor Aldo Fiaschi, già segretario particolare dell'on. Lagorio, ha però negato quanto asserito da Pazienza, affermando di averlo conosciuto dopo l'allontanamento di Santovito e di non aver mai saputo
 
 

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(33) L'importanza dell'agente Z2 risulto dal fatto die l'uffico di copertura del Servizio da costituire in via Germanico avrebbe dovuto avere tra le sue finalità quella di curare i rapporti con lui. Z3 era Ledeen; Z6 Carlos Romero; Z11 un giornalista di una agenzia terzomondista e progressista: cfr. IV, f. 681, memoria 2.10.84.

(34) D'Eliseo, 7.11.84, VIII, f. 57, udienza 17.6.85 p. 60, ha dichiarato che Musumeci riferiva di avere buone fonti in Sicilia.

(35) A riscontro, cfr. Magrì cit. e Dell'Amico 8.12.83, XII, f. 150 ecc. e udienza 26.6.85, p. 65, 66 anche a proposito della "struttura (c'era già il finanziamento) destinata alla controinformazione" e alle c.d. "controinformazioni" effettuate.

(36) Memoria, VI, f. 116. A conferma. Magrì, udiènza 25.6.85. p. 3, 4, 48 - 50. D'Eliseo, 7.11.84, VIII, ff. 56 sgg. e udienza 17.6.85: Pazienza diceva di essere in grado di penetrare in qualsiasi segreteria di partito, ivi compresa quella comunista.

(37) Memoria VI, f. 116.

(38) Memoria IV, f. 678 - 681; IX, f. 6. A riscontro, sui rapporti di Pazienza con personaggi del Vaticano, cfr. test. D'Amato, Albrizzi, ecc., nonché bloc-notes telefonate Ascofin.

(39) IV, f. 678.
 
 
 
 

nulla in ordine all'esistenza del "Superesse"o di una struttura analoga (40).

Per alcune informazioni o indagini "che coinvolgevano o potevano interessare il Ministero degli Esteri" era Pazienza che si recava "personalmente o dal Ministro degli Esteri o dal Segretario generale della Farnesina" per ragguagliarli (41).

Elementi di conferma.sia pure parziali, si ricavano dalle deposizioni dell'on. Emilio Colombo (42) e dall'ambasciatore Francesco Malfatti (43), i quali hanno dichiarato che in qualche occasione, in epoca di poco successiva all'insediamento della nuova amministrazione statunitense, Pazienza riferì loro sulla situazione politica americana, accennando anche a problemi medio - orientali. L'on. Colombo ha aggiunto che l'imputato gli parlò anche di contatti avuti con personaggi palestinesi.

L'esito delle "special and covert operations " era comunque riferito — secondo Pazienza— con rapporto scritto al gen. Santovito, il quale a sua volta lo comunicava "all'intemo (Divisioni), al Ministero della Difesa, al Presidente del Consiglio o al Comitato interparlamentare" (44). .

Questa affermazione è mendace. Agli atti del Servizio non risulta che Pazienza abbia mai svolto "operazioni estremamente delicate" e di "diplomazia parallela", o abbia mai ricevuto alcun incarico. In particolare, non vi sono tracce delle operazioni che furono espletate dal Superesse, segnatamente in relazione al c.d. Billygate, ad incontri a Beyrut con Alou Jihad, a Parigi con il dirigente dello Sdece, a rapporti con l'Arabia Saudita, a "circuiti di terroristi italiani tra Panama e Costarica", a un piano per localizzare tramite satelliti, i campi di guerriglieri in Libia, ecc. (45).

È indiscutibile, peraltro, che l'organismo Superesse o Supersismi
 
 

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(40) Fiaschi, 25.10.84, V, f, 38; udienza 8.7.85. Stranamente Pazienza non ha menzionato tale Signori, verosimilmente vicino agli ambienti del Ministero della Difesa, con il quale aveva frequenti rapporti.

(41) IV, f. 678; VI, f. 116.

(42) Verbale 12.7.85. .

(43) Malfatti, 9.7.85. Pazienza gli fu presentato da Santovito.

(44) IV; f.678; VI. f. 116.

(45) Cfr. ,rapporto 5.5.84 Reparto Oper. CC. Roma, II, ff. 422 sgg., test. sen. F. Mazzola 14.11.84, X, f. 81; nota Presidenza Consiglio dei Ministri 27.3.84, n, f. 413; memoria 25.10.84, IX, ff. 6, 7 e II, ff. 225 sgg.
 
 

o che dir si voglia non è un'immagine proiettata sullo schermo giudiziario dalla fervida fantasia auto - lesionista di Pazienza; che costui non si limitava a dissertare su problemi di geopolitica e che un gruppo di persone si era organizzato dentro e fuori il Sismi, ed agiva.(46).

Conferma dì ciò si ricava non solo dalla testimonianza del prefetto D'Amato (47), che ha messo in luce l'efficienza del "consulente", ma dalle stesse dichiarazioni di D'Eliseo, prima e seconda versione.

Prima versione. D'Eliseo ha riferito che quando Pazienza si recava all'estero "si appoggiava ai dipendenti del Sismi in loco" e che "effettivamente il Santovito si avvaleva del suo staff in maniera ristretta per studiare operazioni particolari", e ha aggiunto che dello staff facevano parte lui stesso, Musumeci, Di Murro, Artinghelli e Pazienza, "che era quello che proponeva le varie operazioni" ed usava denominare tali iniziative con la classificazione Z (48).

Va rammentato al riguardo che "agenti Z" erano denominati i componenti della rete Superesse che faceva capo alla suindicata aggregazione, e che l'espressione "operazione Z" contrassegnava la "causale" dei versamenti effettuati dalla divisione amministrativa del Sismi in favore dell'ufficio di Musumeci su ordine di Santovito.

Nel periodo di tempo che va dall'ottobre 1980 al maggio 1981 i finanziamenti "Z" raggiunsero la cifra di circa un miliardo di lire. Nello stesso periodo di tempo il gen. Santovito attinse, sempre dai "fondi riservati " del Servizio, una somma complessiva di circa 200 milioni di lire.

Il denaro certo non mancava al "gruppo Pazienza" (49). Vale qui quanto argomentato nella trattazione del reato di cui al capo I.

Ritornando a D'Eliseo e precisamente alla sua seconda versione dei fatti, resa nel corso del dibattimento, l'imputato ha affermato
 
 

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(46) Ovviamente, dice Pazienza, non intervenne il notaio per la stesura dell'atto costitutivo ma il gruppo informale fu da lui costituito, su incarico di Santovito, per portare avanti determinate operazioni (intervista Rai -TV 25.4.85).

(47) D'Amato, 8.7.85.

(48) Interr. 20.10.84, IV, f. 753; 7.11.84, VIII, f. 56. l'imputato menziona quali collaboratori di Pazienza, Magrì, Lustrissimi, Tedeschi, Ledeen, Dell'Amico, Alexis, Pompò. Cfr. anche "relazione su Francesco Pazienza" 17.2.82 (faldone III).

(49) Test. Di Murro 16.7.84, III f. 481; 31.10.84, VI, f. 145; udienza 3.7.85.
 
 

che di volta in volta il gen. Santovito si avvaleva di gruppi ristretti di lavoro composti da persone diverse e che egli partecipò con Pazienza ed altri a 5 riunioni per discutere sulle seguenti singolari proposte:

— acquisto della testata della rivista "II Borghese" o finanziamento della rivista stessa; altro partecipante, Di Murro;

— costituzione di un centro informativo o di controspionaggio negli USA, doppione di quello già esistente: altro partecipante: Di Murro;

— acquisto di un documento relativo a un bilancio dello " lor ";

ateri partecipanti: Di Murro e Musumeci;

— compilazione di un "organigramma della funzionalità del Dicastero della Difesa", su richiesta di tale Signori facente parte dell'"entourage" del ministro Lagorio; altri partecipanti: Di Murro e Musumeci;

— creazione dell'Ascofin come società di copertura del Servizio;

altro partecipante, Di Murro.

Il col. Di Murro ha negato dì aver partecipato alle predette riunioni, ed ha ammesso soltanto lo strano episodio della compilazione dell'organigramma del Ministero della Difesa, che serviva al predetto Signori, e dello spostamento a Firenze, per conferire con il personaggio, di esso Di Murro, Musumeci e Pazienza (51).

È comunque eloquente il fatto che D'Eliseo, nella "Relazione su Francesco Pazienza" (52), inoltrata alla Direzione del Sismi il 17.2.1982 (si doveva far luce nell'interesse dello Stato democratico sulla precedente gestione del Servizio) tacque in ordine alle riunioni avute con Pazienza e altre persone, limitò i suoi rapporti con il giovane collaboratore di Santovito a "brevi conversazioni su argomenti di attualità" e "in maniera epidermica", o a "scambi di battute", ed esternò la "sensazione che Pazienza fosse utilizzato per acquisire elementi informativi atti a configurare più compiutamente taluni problemi o a fornire riscontri per talune valutazioni".

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(51) Dovrebbe trattarsi di quel Signori che telefonò più volte all'Ascofin per parlare con Pazienza: vedasi il bloc-notes Ascofin (I, ff. 172 sgg.) alle date 16.7 (217632), 27.7., 29.7. ore 8.50; 29.7 ore 19.15 conia specificazione "Firenze"; 30.7 "chiamarlo al n. Rorna 4751069"; 3.9 "al n. 4755800..."; 10.9; 24.9.1981 "Ministero della Difesa";

28.1.82.

(52) Documento del faldone III, verbale perq. e seq. 19.10.84.
 
 

La "relazione " fa il paio con il "memorandum" trasmesso da D'Eliseo il 5 dicembre 1983 al Direttore del Sismi (53) con il quale documento l'imputato riferì sul contenuto del suo esame testimoniale del 3 dicembre e in particolare che alla domanda, più volte ripetuta, quali servigi avesse reso Pazienza al Sismi, egli "aveva potuto rispondere" che non ne era a conoscenza (54).

La ragione del mendacio appare evidente e sta nel fatto che l'imputato si era reso conto della illegalità delle riunioni e delle attività divisate. Ed invero, se l'ufficiale avesse partecipato a talune riunioni di "équipes" di lavoro normale e non a quelle organizzate dalla struttura speciale, aventi per oggetto operazioni di istituto e non attività "estremamente delicate", non sarebbe stato necessitato a nascondere quel che sapeva agli stessi suoi superiori, vale a dire l'esistenza dì una deviata realtà associativa nell'ambito del servizio segreto militare (55).

Due furono i combinati fattori di questa degenerazione, come osservato dalla Commissione perlamentare:

— la natura stessa dell'organismo, sciolto da vincoli formali e da controlli sostanziali, che permise ad uomini senza scrupoli, immeritatamente ed incredibilmente posti in posizione di comando o di predominio, di sfruttare il Servizio;

— l'influenza" della loggia segreta Propaganda 2 (56).

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(53) Documento nel faldone III, verbale perq. e seq. cit.

(54) Cfr. anche Sanapo 1.11.84, VI, f. 153, udienza 3.7.85 circa le confidenze fattegli da Belmonte in ordine all'appartenenza al gruppo di Musumeci di D'Inzeo o D'Elìseo.

(55) Sull'indagine nei confronti di Pazienza che "si era arenata" e sulle reticenze del personale che lo circondava a dare delle risposte, cfr. test. Lugaresi, 2.7.85, p. 80, il quale tra l'altro dichiara: "... questa attività informativa su Pazienza mise in allarme notevole tutto un gruppo di signori che evidentemente prima del mio arrivo erano di casa nel Servizio e che dopo il mio arrivo non si rassegnavano a perdere i privilegi di cui prima avevano goduto, per cui cominciarono a mettere in moto tutto ciò che i mezzi di pubblica informazione consentono, costituendo un pool che, a mio modo di vedere, era costituito dall'Agenzia Repubblica, che era il principale attivatore della calunnia, a pagamento praticamente ... Calunnia che veniva ripresa ed amplificata dal settimanale Tuttoroma... e ripresa ancora dal settimanale II Borghese... ".

(56) Sentenza 26.3.85 Sezione istruttoria Corte di Appello di Roma: "Risulta, in definitiva, pienamente provato che Gelli dedicò costantemente speciale attenzione e cura al proselitismo nell'ambito delle alte gerarchle militari e la penetrazione della P2 in tale ambiente fu vasta, profonda ed estremamente selezionata e qualificata; che, in particolare, la P2 riuscì a conseguire il completo controllo dei Servizi Segreti in tutte le loro articolazioni, dal 1978 al marzo 1981 ".
 
 

Del resto "non si può parlare per anni dell'occupazione dei vertici dei Servizi da parte di appartenenti alla Loggia P2 e poi meravigliarsi che questa occupazione ci sia stata e si sia tradotta in atti devianti e in operazioni di scambio di favori".

Basta guardare la "catena di comando". Nel Sismi erano P2 il generale Santovito, il generale Musumeci, il colonello Cornacchia nel Sisde il generale Grassini, nel Cesis come segretario generale il prefetto Pelosi.

Pazienza ha dichiarato di non essere mai stato iscritto alla loggia P2, ma è indubitabile che con i massoni di questa e altre logge fosse legato da rapporti di "fratellanza", essendo egli un "affiliato all'orecchio del Grande Maestro". Né si disinteressò delle vicende massoniche, ma anzi prestò i suoi uffici per comporre divergenze fra il candidato alla carica di "Grande Maestro" della massoneria di Palazzo Giustiniani e il "Gran Segretario" uscente (57).

Ma vi è di più. Risulta agli atti di causa che Pazienza non solo era in ottime relazioni con i vertici della massoneria, non solo avrebbe dovuto partecipare a un convegno internazionale unitamente a Mennini e a Bettelli quali unici rappresentanti dei massoni italiani (58), ma si occupò del "caso Gelli" (59). Nel marzo del 1981 quando il "maestro venerabile" della loggia P2 era stato messo sotto accusa all'intemo della massoneria, egli informò Barberi che "su richiesta di Santovito e di Calvi" era intervenuto per farlo assolvere "massonicamente" e lasciarlo a capo della loggia segreta. Le cose però sarebbero cambiate — aggiunse — " affiancherò perlomeno il Gelli o ne prenderò il posto".

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(57) Pazienza, 28.12.81, XIV, f. 62. memoria, VI, f. 108: Armando Corona, candidato alla carica di Grande Maestro, gli aveva chiesto "di comporre alcune divergenze di fondo con il Gran Segretario uscente, Spartaco Mennini". Cfr. anche test. Salvatore Spinello, "Grande Maestro" della massoneria di piazza del Gesù (24.11.83, XII, f. 78 e udienza del 1.7.85 sull'invito ricevuto da Pazienza — che lo aveva convocato nella sua abitazione —, di non creare ostacoli all'elezione di Corona alla carica di "Gran Maestro" della massoneria di palazzo Giustiniani.

(58) Test. Barberi 22.11.83; 20.11.84, XI, ff. 289, 292, e udienza 25.6.85. Test. Giuseppe Buongiorno 28.11.83, XII, f. 83 e udienza del 26.6.85 circa l'invito a Pazienza, Mennini e Bettelli di partecipare al convegno massonico di Caracas. Cfr. Pellicani Emilio 21.11.83, XII, f. 38 e udienza 8.7.85 su un appuntamento di Pazienza con Corona.

(59) Test. Barberi cit. Cfr. pure Serappo, 7.1.84, II, f. 267; udienza 26.6.85; Santovito cercò nel 1979 per il tramite del col. Serappo, e poi direttamente, di far nominare Gelli ambasciatore del "Sovrano ordine di Malta".
 
 
 
 

I limiti propri dell'indagine dibattimentale, che necessariamente deve svilupparsi entro le prefissate linee della "vocatio in judicium", ha impedito alla Corte di approfondire il discorso sulla eventuale convergenza ed interazione delle attività della loggia massonica Propaganda 2 e della struttura "deviata" del Sismi.

Alcuni atti, acquisiti al fascicolo di causa, evidenziano comunque il collegamento fra i due fenomeni associativi.

Le liste degli iscritti alla predetta loggia sequestrate a Castiglion Fibocchi — si legge nella sentenza emessa il 26 marzo 1985 dalla Sezione istruttoria presso la Corte di Appello di Roma (60) — forniscono un quadro della consistenza e della ramificazione della P2 in vari settori della vita politica, amministrativa ed economica del Paese, e consentono di tracciare una mappa del potere occulto che Licio Gelli esercitava (61).

La penetrazione della P2 nell'ambito delle Forze Armate e dei Servizi Segreti è provata dal fatto che risultavano iscritti nelle liste 52 ufficiali dei Carabinieri, 50 dell'Esercito, 37 della Guardia di Finanza, 29 della Marina, 9 della Aeronautica, 6 della Pubblica Sicurezza.

Ben 92 ufficiali ricoprivano il grado di generale o di colonnello, od erano inseriti in gangli vitali dell'apparato statale.

Giudice fu comandante generale della Guardia di Finanza negli anni 1974-78; Giannini negli anni 1980-81.

Picchiotti fu vice-comandante generale dell'Arma dei Carabinieri negli anni 1974-75.

Palumbo, dopo aver comandato la divisione Carabineri Pastrengo, divenne vice-comandante generale dell'Arma.

Torrisi fu capo di Stato maggiore della Marina e quindi della Difesa rispettivamente negli anni 1979-80 e 1980-81.

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(60) Cfr. sentenza cit., p. 83 sgg. .

(61) Sentenza cit., p. 138: La P2 era "una associazione che riuscì a raccogliere numerose personalità del mondo politico ed economico, della pubblica amministrazione, della editoria e della stampa e che esercitò particolare influenza sulle alte gerarchle delle Forze Armate e dei Servizi Segreti. L'associazione era organizzata, animata e diretta da Licio Geili, che accentrò in sé tutti i poteri decisionali dell'associazione stessa. Sotto la copertura delle finalità massoniche della solidarietà e del proselitismo, Gelli fece della P2, a fini di potere e di arricchimento, uno strumento di indebita ed occulta interferenza nell'espletamento delle funzioni pubbliche, ossia un vero e proprio centro di potere occulto".

Miceli diresse il Sid dal 1970 al 1974.

Maletti fu responsabile dell'"Ufficio D" del Sid.

II coloneHo Viezzer e il capitano La Bruna, appartenenti al Sid, erano P2.

Mino, comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, pur non risultando iscritto alla P2, conosceva bene Gelli ed era con lui in stretti rapporti.

Grassini diresse il Sisde dal novembre 1977 al luglio 1981.

Santovito fu direttore del Sismi dal gennaio 1978 all'agosto 1981 (62).

Musumeci entrò nel servizio segreto militare al seguito di Santovito.

Anche i nomi di Cornacchia, Di Donato e Salacone, funzionari dei Servizi, erano iscritti negli elenchi della loggia.

Il Cesis, organo preposto al coordinamento fra il Sismi e il Sisde, dal maggio 1978 al luglio 1981 ebbe come capo il prefetto Pelosi(63), aderente alla P2.

Innegabilmente, la riforma del 1977 non aveva impedito a Gelli di rafforzare la sua influenza sui Servizi.

Una conferma dell'"autorità" del "maestro venerabile" e del vincolo di subordinazione degli affiliati alla sua persona è rappresentata dalla riunione che si tenne nel 1973 ad Arezzo, a villa Wanda, con la partecipazione del gen. Palumbo, comandante della Divisione Pastrengo, del suo aiutante col. Calabrese, del gen. Picchiotti, comandante della Divisione Carabinieri di Roma, del gen. Bittoni, comandante

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(62) Provvedimento cit., p. 91 " È altresì documentato in atti che Gelli si interessò alla nomina del successore del gen. Mino prima ancora della sua naturale scadenza: egli espresse la sua preferenza per il gen. Santovito ma, questa volta, non ebbe successo...".

(63) Cfr. anche le pagine 93 sgg. della citata sentenza, per quanto concerne il Ministero degli Interni, risultavano iscritti negli elenchi della P2 tre prefetti, quattro questori, tre vice-questori, un ispettore di P.S. un direttore dei servizi di polizia di frontiera, un dirigente della Squadra Mobile di Palermo, tre comnussari di P.S.. "Nel Ministero degli Affari Esteri si contano quattro affiliati, tra cui un ambasciatore a capo della Segreteria generale e un direttore della Ragioneria centrale... L'area degli appartenenti al mondo politico iscritti alla loggia P2 comprende in totale meno di un centinaio di nominativi, fra cui qualche ministro, 36 membri del Parlamento...".

della brigata Carabinieri di Firenze; di un colonello dell'Arma —Musumeci, secondo la citata sentenza — e del magistrato dott. Carmelo Spagnuolo. Bastò a Gelli effettuare il giorno precedente una telefonata di convocazione perché davanti al capo della P2 si precipitassero il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma e cinque alti ufficiali dell'Arma, investiti di importanti cariche e poteri (64).

Quanto esposto da sufficiente dimostrazione di come si potette costituire e perché si costituì, coinvolgendo le strutture dell'organismo di sicurezza, un gruppo organizzato quale programmatore e propulsore di intrighi, di corruzione, di ricatti, di falsificazioni, di manovre interessate, di deviazioni spinte al punto di fuorviare le indagini sulla strage di Bologna.

Era connaturale all'essere stesso dell'aggregazione il programma generico di arbitrariarmente usare le funzioni del Sismi, di sfruttarne mezzi e persone, la sua rete organizzativa, il suo prestigio, di avvalersi delle sue peculiari condizioni di privilegio, di distorcerne la destinazione per procurare in tal modo vantaggi a sé e ad altri; programma che ha preceduto, consentito e sostenuto gli accordi particolari per lo svolgimento di attività —costituenti delitto — considerate opportune o necessarie in relazione alle contingenti situazioni quali momenti funzionali della stessa vita ed operatività del sodalizio, nella prospettiva degli interessi che si intendevano soddisfare.

Si è parlato a riguardo di una "struttura parallela deviata", da intendersi come uno spezzone dell'organismo di sicurezza che si muoveva degradandolo ed alterandone la funzione.

La definizione è esatta, anche se più compiutamente, con riferimento a ciò che accadeva dentro e fuori il Sismi, sarebbe meglio dire
 
 

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(64) Cfr. provvedimento cit. p. 91, 245. Sui rapporti fra Musumeci e Palombo, che lo iniziò alla massoneria: cfr. Artinghelli, IV, f. 780. Sulla proposta di Musumeci a Belmonte di aderire alla loggia P2, vedasi Sanapo, VI. ff. 149,150; IV, 815 e udienza 3.7.85. Musumeci ha negato di aver partecipato alla riunione aretina e del pari ha negato di essere P2. E' fuori discussione, però, che il suo nome risulta tra gli iscritti alla loggia segreta. È anche fuori discussione che lo stesso ufficiale prestò giuramento massonico, ricevendo la tessera del "Centro Studi di Storia Contemporanea", che era il nome di copertura della loggia Propaganda 2. Per quanto concerne Spagnuolo, cfr. Albrizzi, II. f. 333; udienza 10.7.85, alla quale Pazienza riferì di essere stato collaboratore del magistrato.
 
 
 
 

che si era formato un centro di potere arbitrario ed occulto, comprendente più persone, alcune organicamente inserite nel Servizio ed altre esterne ad esso, ma tra loro unite dall'intesa programmatica di abusare del Servizio stesso per conseguire finalità proprie ed incompatibili con quelle istituzionali.

Centro di potere che costituiva appunto un'associazione, la quale aveva come fulcro all'interno del Sismi il trio Santovito-Pazienza-Musumeci e presentava inequivocabili connotati: un vincolo organico fra più persone consapevolmente teso a commettere un numero indeterminato di delitti; la consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di essere disponibile per l'attuazione del piano progettato; la.predispozione di mezzi ed attività necessari al compimento di singole azioni, assicurata dalle copiose risorse del Servizio.

Sono gli elementi tutti della figura criminosa prevista e punita dall'art. 416 C.P.; il cui programma, nella specie, si correlava a una sistematica violazione di doveri funzionali.

Ed invero, la singolarità del sodalizio, innestatosi nel corpo vivo dell'apparato pubblico, che agiva come Sismi e con i poteri di questo, evidenzia la sua peculiare caratteristica teleologica, che era quella di sfruttare il Servizio in tal modo deviandone l'attività.

È stato obiettato che Santovito e Musumeci, stante le prerogative godute, non avrebbero avuto bisogno per attuare il programma delinquenziale di associarsi con più persone, ma, a parte il rilievo che essi, nella scalata al potere, di altri ebbero bisogno e che altri avevano bisogno di loro, la replica è fornita dalla forza probante degli emergenti dati di fatto alla luce della normativa in vigore.

La funzione del Sismi consiste nell'assolvere "a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione" (art. 4 1° co. legge 24.10.1977 n. 801).

Quella del Sisde consiste nell'assolvere "a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione" (art. 6 1° co.).

Tanto il Sismi quanto il Sisde sono tenuti a comunicare al Cesis ("Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza",

obbligato a sua volta a fornire al Presidente del Consiglio dei Ministri tutti gli elementi necessari per il coordinamento delle attività dei Servizi, l'analisi degli elementi comunicati dai suddetti Servizi e l'elaborazione delle relative situazioni) e inoltre il primo al Ministro della Difesa e il secondo al Ministro degli Interni "tutte le informazioni" ricevute o comunque in loro possesso, "le analisi e le situazioni elaborate, le operazioni compiute" e "tutto ciò" che attiene alla loro attività (artt. 3, 4 ult. comma, 6 ult. comma).

II Governo riferisce semestralmente al Parlamento, con relazione scritta, sulla politica informativa e della sicurezza, e sui risultati ottenuti.

Il comitato parlamentare esercita il controllo sull'applicazione dei principi stabiliti dalla legge (art. 11).

Gli appartenenti ai Servizi hanno l'obbligo di fare rapporto, tramite i loro superiori, esclusivamente ai direttori dei Servizi, che ne riferiscono rispettivamente al Ministro della Difesa e al Ministro degli Interni e, contemporaneamente, al Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Cesis (art. 9).

Nessuna attività comunque idonea per l'informazione e la sicurezza può essere svolta al di fuori degli strumenti, delle modalità, delle competenze e dei fini previsti dalla legge (art. 10).

La violazione degli obblighi imposti dalla citata legge realizza la cosiddetta deviazione, la quale ha carattere sostanziale quando consiste nell'espletare compiti diversi da quelli delineati dagli artt. 4 e 6, ma non ha carattere meramente formale, attesa la peculiare natura dei poteri conferiti, quando all'azione non si correla la doverosa rappresentazione documentale destinata alla conoscenza degli organi superiori per permettere agli stessi di ottemperare alla funzione di direzione e di verifica, dato che l'omissione, travolgendo le modalità, gli strumenti e le competenze prefissate, si riverbera negativamente sul piano sostanziale della conduzione della politica informativa e di sicurezza e del coordinamento delle attività dei due Servizi (artt. 1, 2,3,11). Gli è che la "conoscenza" che attraverso le "formalità" e i canali indicati dalla legge deve essere data agli organi amministrativi, politici e parlamentari rappresenta la chiave di volta
 
 
 
 
 
 
 
 

del controllo sostanziale dei Servizi. Altrimenti, si entra nell'illecito, e il potere diviene arbitrario (65).

Insomma, l'eccezionale ampiezza dei poteri attribuiti ai Servizi suppone l'assoluta fedeltà alla Repubblica delle persone chiamate ad esercitarli ed esige la rigorosa osservanza del principio della tassatività delle competenze, dei fini, degli strumenti e delle modalità prescritte dalla legge. Mancando l'una o l'altra, o entrambe, quella che dovrebbe essere un'arma di difesa può degenerare in forza incontrollabile, antagonista del sistema democratico, tanto più pericolosa in quanto occulta ed intema ad esso.

Certo, non ogni violazione delle nonne di cui agli artt. 4 ultimo comma, 6 ultimo comma e 10 primo comma costituisce illecito penale, ma se la violazione è posta in essere dalle medesime persone e sistematicamente, essa di per sé sola acquista un'indubbia valenza probatoria.

Se poi tale costante violazione si accompagna, come nella fattispecie, alle deviazioni c.d. sostanziali, vale a dire all'esercizio del potere per finalità, non istituzionali (esercizio che realizza le ipotesi delittuose dell'interesse privato in atti d'ufficio, ovvero di abuso di ufficio, ovvero reati caratterizzati dalla violazione dei doveri di ufficio) diviene sicura la prova della sussistenza e dell'operatività di un apparato confliggente con l'ordinamento giuridico, e pertanto da qualificare come associazione per delinquere.

Orbene, i dati di fatto di cui si è detto possono puntualizzarsi nei seguenti termini:

— si formò illegalmente in seno al Sismi un gruppo organizzato di persone. Stante la sua illegittimità, esso fu tenuto segreto nell'ambito dello stesso Servizio e degli organi preposti alla vigilanza e alla direzione;

— Pazienza costituiva l'elemento di raccordo fra detto gruppo e la rete associativa esterna;

— la "struttura parallela" fu costituita perché doveva svolgere

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(65) Un valente difensore ha sostenuto che l'art. 10 sarebbe come una "norma in bianco" in attesa di riempimento con emanande le disposizioni regolamentari. È facile obiettare non solo che in uno Stato di Diritto è inconcepibile un potere "legibus solutus" ma anche che la normativa in esame ha indicato le finalità da perseguire, ha posto limiti e obblighi di immediata efficacia cogente ed ha abrogato tutte le disposizioni interne e regolamentari in contrasto o comunque non compatibili con essa.

e svolse attività "particolari", "speciali", "estremamente delicate", non "gerarchicamente" vincolate, non "ufficializzate", non "memorizzate" (le eccezioni sono rappresentate dalle "informative" sulla strage di Bologna e sul trasporto del materiale esplosivo, ed appresso se ne comprenderà la ragione), ma sottratte perfino ad ogni verifica interno al Sismi. Ciò in quanto gli scopi perseguiti stridevano con i compiti di istituto ponendosi come finalità delittuose.

E così, l'esempio scolastico dell'associazione per delinquere che nasce dalla degenerazione di una struttura collettiva al cui scopo lecito viene aggiunto o sostituito quello delittuoso, esempio che pareva "accademico" almeno per quanto riguarda un pubblico apparato, trova corrispondenza nella fattispecie, ed è questo l'aspetto sconvolgente della vicenda.

Corrispondenza soltanto parziale, per fortuna dello Stato, perché nonostante l'esautoramento degli organi costituzionali preposti al sindacato dell'esercizio degli enormi poteri del Sismi accentrati nelle mani di pochi — poteri devastanti, se deviati —, nonostante la situazione delinquenziale di vertice, buona parte degli uomini dell'organismo pubblico non fu trascinata fuori dall'alveo della legittimità istituzionale. Tuttavia, il contraccolpo del degrado non poté non influire sull'efficienza degli uffici.

Erano dunque uniti dal vincolo associativo fondato sul "pactum sceleris" di abusare sistematicamente dell'ufficio e di sfruttarne i poteri e i mezzi per finalità più che estranee in palese contrasto con la destinazione del Servizio perché correlate a vantaggi propri e di forze o fazioni del mondò politico ed economico, in un groviglio e giuoco torbido di interessi (pende procedimento penale in fase istruttoria per accertare eventuali corresponsabilità):

— il dott. Francesco Pazienza che, grazie alla interessate compiacenza di alcuni e all'inettitudine di altri che avevano il dovere di impedirlo, conquistò una posizione di predominio nel Sismi. II giovane avventuriero immediatamente approfittò del degrado del Servizio per coagulare intomoa sé gli uomini adatti e con il suo indubbio dinamismo ricavò dalla situazione il massimo profìtto;

— il gen. Musumeci, intimo di Pazienza, e con questo animatore del sodalizio e dell'attività deviata;

— il gen. Santovito, fonnalmente numero uno del servizio segreto militare, ma docile strumento nelle mani di uomini decisi e spietati,

soggetto anche lui a compromissioni piduiste, verosimilmente ricattato da Pazienza per una oscura vicenda di traffici di preziosi;

— il ten.col. Belmonte, uomo di fiducia di Musumeci, "manipolatore dell'agente Z2, utilizzato per le più gravi delle operazioni "deviate": quelle concernenti gli episodi di Bologna, per non parlare del "caso Cirillo". Egli, con ostinate menzogne e negando — come si vedrà —perfino l'evidenza, ha dato tangibile prova di come fosse intenso il legame con gli altri partecipi del gruppo di potere.

Pure l'attività di quest'ultimo imputato, collocato in posizione di vertice nell'associazione, è stata caratterizzata dalla indispensabilità in ordine alla vita e alla efficienza della "societas sceleris".

La relativa responsabilità penale non può quindi slittare dallo schema del primo a quello del secondo comma dell'art, 416 C.P.

La situazione probatoria nei confronti di Artinghelli, Avico e D'Eliseo è inidonea, secondo la Corte, a giustificare l'affermazione della loro colpevolezza (66).
 
 

REATO DI CUI AL CAPO A. RIVELAZIONE DEL CONTENUTO DI DUE "RELAZIONI" DEL SISMI

Un giorno della prima settimana di settembre 1980 il gen. Santovito e il dott. Pazienza misero a disposizione del giornalista Andrea Barberi i due documenti, destinati alla conoscenza esclusiva del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri della Difesa, degli Interni e degli Esteri, concernenti notizie qualificate come "segrete".
 
 

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(66) II fatto di associazione è aggravato dalla circostanza di cui all'art. 61 n. 9 C.P. perché commesso con abuso di poteri e con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione esercitata; circostanza che sta a carico anche di Pazienza perché servita ad agevolare l'esecuzione del fatto stesso.

Invero, nel caso in esame l'abuso di ufficio prende corpo nella genesi e nella dinamica del reato; configura, nell'aspetto statico, con le sue multiformi indeterminate espressioni, l'oggetto precipuo del programma delinquenziale aggregante, e ne caratterizza l'attuazione.

In tal senso può quindi dirsi che l'illegittimità sotto il profilo penale della descritta struttura di contropotere spiega e colora le azioni compiute, le quali a loro volta richiamano il contesto associativo organizzato e ne fanno risaltare i connotati e l'estrema pericolosità che rappresentò per l'ordine pubblico.

Queste azioni, insomma, sottendono l'associazione per delinquere; appaiono momenti di una complessa strategia; sono funzionali ad un piano unitario; costituiscono tessere di un ampio mosaico tenute ferme dal patto scellerato.

Barberi compulsò il materiale, prese appunti e sulla scorta di essi pubblicò sul settimanale "Panorama" del 15.9.1980 l'articolo dal titolo "La grande ragnatela".

Le dichiarazioni di Barberi (67) forniscono uno spaccato della vita del Sismi, del rigore professionale del direttore e del suo stretto collaboratore e delle preoccupazioni che li turbavano. La magistratura bolognese aveva avuto parole di elogio per il Sisde (68). " È una vergogna! " — commentò Pazienza — "Noi del Sismi abbiamo fatto di più e sono in grado di provarlo". Detto e fatto, accompagnò Barberi a Palazzo Baracchini e lo presentò al gen. Santovito. Il direttore manifestò al giornalista la sua irritazione per gli elogi al Sisde (69), esclamando che anche Michael Ledeen era nei libri-paga del servizio segreto militare (70). All'imbarazzato giornalista che si era dichiarato disposto a scrivere bene del Sisde ma senza accettare una lira (Pazienza si era inserito nel discorso dicendo che di soldi ce ne erano quanti se ne volevano), Santovito replicò che proprio perché sapeva che non era "stipendiabile" lo aveva voluto conoscere, ed aggiunse che il Servizio aveva espletato un importante lavoro riguardante il terrorismo.

Al rilievo del suo "collaboratore esterno" — il quale si aggirava da padrone per l'ufficio dando l'impressione di esserne il vero titolare — che, per scrivere qualcosa, Barberi avrebbe dovuto sapere pure qualcosa, il generale prese due fascicoli, uno di circa 50 fogli intestato alla Libia, e l'altro di circa 150/200 fogli (71) concernente altri paesi, e li consegnò al giornalista che si accomodò nell'attiguo salottino per esaminare la documentazione.

Pubblicato l'articolo, Barberi (il quale ha affermato che soltanto

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(67) Test. Barberi, udienza 25.6.1985; 20.10.84, IV, f. 710; XII, f. 46.

(68) Cfr. test. Luigi Persico, udienza 10.7.85.

(69) Ma quella del Sisde era una "aureola provvisoria" ed immeritata, precisa il "notiziario Agenzia Repubblica" del 1.9.1980 (XI, f. 247), perché il servizio segreto civile si era limitato a trasferire dalla Capitale a Bologna vecchie pratiche sul neofascismo eversivo. Riecheggia l'assurdo contrasto tra i due apparati, destinati per .legge a tutelare lo Stato democratico, l'articolo "Per difendere il Sisde lo squillante Cossiga offende il Sismi", pubblicato su un altro compiacente periodico, il "Tuttoroma" del 5.6.80: il Sisde era allo sfascio. "Al Sismi, situazione totalmente diversa. Uomini con i nervi sotto controllo, guidati militarmente, esperienza e fedeltà... " ecc. -

(70) A riscontro, circa la posizione di Ledeen (agente Z3) nel Sismi, vedasi memoria 25.10.84 a firma Pazienza, in IX, ff. 3, 6.

(71) Per la precisione, la prima relazione era composta da 23 pagine, la seconda di 115 pagine: cfr. nota 1.12.1983 Ministero della Difesa, in I, f. 46.
 
 

a seguito delle reazioni delle Autorità destinatarie delle "informative" si rese conto che le notizie utilizzate avrebbero dovuto rimanere segrete) ricevette una telefonata di convocazione da parte di Santovito. Costui lo invitò a dichiarare per iscritto di aver ricevuto i documenti da fonte anonima ovvero di aver collezionato le notizie da più parti; in tal modo l'inchiesta si sarebbe potuta chiudere senza rischi per nessuno. Il giornalista — al quale il direttore del Sismi aveva posto anche la sorprendente domanda da chi fosse riuscito ad avere quelle notizie — rifiutò (72).

Pazienza ha affermato che fu fatto leggere a Barberi la recensione del libro di Clair Sterling "The Terror Network" (73). L'assunto è però smentito non solo dal giornalista ma dalla comunicazione datata 1.12.1983 del Ministero della Difesa (74), che dà atto che due erano le relazioni — appunto come riferito dal teste — trasmesse dal Sismi alle Autorità.

Tale comunicazione contraddice anche quanto ebbe a dire Santovito nell'interrogatorio del 2 dicembre 1983, e cioè che l'elaborato era unico (75). C'è da segnalare, per il loro valore sintomatico, anche altre dichiarazioni del predetto Santovito, il quale attribuì la responsabilità della "fuga" della notizia al Ministro degli Esteri on. Ferlani, affermò categoricamente che mai il suo consulente esterno aveva condotto "persone al Servizio", per poi ammettere, a contestazione, che effettivamente Pazienza gli aveva "portato" Barberi e con lui si era accomodato nell'attiguo salottino, entrando nel quale, dopo un po' di tempo, egli aveva notato alcuni fogli dattiloscritti sparpagliati sulla scrivania.

Accertata la commissione del fatto ad opera di Santovito e Pazienza, resta ora da risolvere il problema della sua qualificazione avuto riguardo alla classificazione "segreto" attribuita ai due documenti.

Ritiene la Corte che non può essere ipotizzato il delitto di rivelazione di segreto di Stato:

— la menzionata comunicazione ministeriale e la testimonianza

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(72) Santovito "incaricò" Musumeci di svolgere opportune indagini per accertare chi fosse il responsabile della "fuga" delle notizie. È immaginabile quale risultato ebbero. Santovito, interr. 2.12.83,I, f. 49; Musumeci, 5.12.83, XII, f. 120.

(73) Memoria 25.10.84, IX, ff. 5, 12.

(74) Documento in I, f. 46.

(75) Interrogatorio Santovito 2.12.83,1, ff. 48-51.

di Barberi mettono in luce l'analogia strutturale e di contenuto fra le relazioni e l'articolo giornalistico ma nel contempo evidenziano che l'articolo stesso è "essenzialmente un compendio di notizie apparse in precedenza su organi di stampa nazionali ed esteri";

— buona parte delle notizie riportate nell'articolo (quali, per inciso, non attengono tutte a fatti eversivi dell'ordine costituzionale) appaiono ricalcate dal volume " The Terror Network " di Claire Sterling, edito nella traduzione italiana da "Mondadori" con il titolo "La trama del terrore - La guerra segreta del terrorismo internazionale " nel marzo del 1981, come è facile constatare esaminando sintticamente i due testi (76).

— altre notizie erano note da tempo ai lettori dei quotidiani (ad esempio: il finanziamento per L. 70 milioni che sarebbe stato elargito all'" Autonomia Operaia" dalla "Skoda"; le attività dell'"Hyperion", del Crise ecc.).

Senza entrare nel merito della questione se le notizie "de quibus" fossero idonee o meno a recar danno all'indipendenza e all'integrità dello Stato e alla difesa delle istituzioni — valutazione che è preclusa al Giudice —, gli asseriti segreti di Stato tali non erano perché già cogniti, in epoca precedente a quella della rivelazione, a un rilevante numero di persone oltre che a quelle che potevano legittimamente conoscerli.

Né il coordinamento delle informazioni— fondate o meno fossero — effettuato dai compilatori delle relazioni si appalesa idoneo ad attribuire al contesto un carattere autonomo, sotto il profilo penalistico che interessa, rispetto agli elementi assemblati.

La notorietà delle notizie, per la sua incompatibilità con la nozione e qualificazione di segretezza, esclude pertanto che possa configurarsi la violazione del bene tutelato dall'art. 261 C.P.

Il fatto, però, realizza il delitto, estintosi per amnistia, delineato dall'art. 326 C.P. in quanto è consistito nel rivelare ad un estraneo l'esistenza, il contenuto e i destinatari delle due relazioni, notizie che in ogni caso non avrebbero dovuto essere svelate perché coperte da
 
 

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(76) Cfr. il volume alle pagine 19, 138, 156, 275, 312; 18, 38, 40, 41, 52, 245, 246, 323 - 325, 369; 300, 312, 377; 157, 158, 312; 126, 156, 165, 179, 212, 276, 280; 143, 271; 142, 143, 182, 245, 311; 140, 262, 306, 371; 140, 164, 262; 102 - 104, 140, 143, 167, 182, 261, 281, 314, 317; 140, 174, 168, 184, 185, 283, 288 sgg., 293 ecc.

segreto di Ufficio; ed è stato commesso, in concorso tra loro, da Pazienza e Santovito con violazione dei doveri inerenti alla funzione di questo, allo scopo di stabilire con il giornalista un contatto foriero di utili sviluppi e di strumentalizzarlo ai propri fini.
 
 

REATO DI CUI AL CAPO C. PECULATO. AEREI C.A.I.

Gli aerei del Sismi, gestiti dalla "Compagnia Aereonautica Italiana", potevano essere utilizzati per esigenze di servizio.

Pazienza si serviva abbondantemente di questi aerei.

Il funzionario della CAI Antonio Sallustio ha riferito che l'imputato usava gli "apparecchi in modo intensivo"; effettuò un numero di voli superiore a 150; talvolta viaggiò accompagnato da donne. Le "autorizzazioni al volo" gli venivano impartite dal col. D'Eliseo (77).

Dagli accertamenti espletati (78), risulta che l'imputato sicuramente dal 22 Ottobre 1980 al 27 aprile 1981 utilizzò aerei della CAI per un totale di 34 ore e 39 minuti di volo.

Pazienza ha dichiarato che la sua "percorrenza in volo negli aerei del Sismi" raggiunse, approssimativamente, le 30-40 ore al massimo", di cui "da solo senza altri ufficiali del Sismi massimo 10 ore", indicando le località raggiunte: Parigi per tre volte; Ginevra; Malpensa per due volte; Torino unitamente a Z3, vale a direa Miehael Ledeen (79).

Non tutti i voli furono registrati (80).

D'Eliseo teneva un "brogliaccio per essere sicuro dell'impegno degli aerei e per la programmazione dei voli", che distruggeva dopo due-tre mesi. Le località raggiunte da Pazienza furono "... Milano (tante), Torino, Genova, Ronchi dei Legionari, Brindisi, Napoli, Sicilia e, forse, la Sardegna", e, all'estero "Parigi, Svizzera (Zurigo, Ginevra) e, forse, Madrid incertezza per le altre sedi ". "... Pazienza aveva

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(77) Sallustio, 2.12.83, XII, ff. 92 sgg.; udienza 8.7.85.

(78) Rapporto Reparto Operativo CC. di Roma 10.12.83,I, ff. 55, 56.

(79) Memoria, in IX, ff. 3,4. Cfr. test. F.U. D'Amato, udienza 8.7.85; ecc. Sul largo uso degli aerei CAI da parte di Pazienza, vedasi anche Lalle Francesco, VI, f. 143 e udienza 2.7.85 p. 15.

(80) Test. Sallustio Antonie cit. 7.11:84, VIII, f. 58; udienza 8.7.85. Solo dall'8 giugno 1981 si cominciò a segnare sistematicamente i voli degli aerei CAI.

viaggiato talvolta da solo (qualche volta, soprattutto all'inizio, con qualche conoscente) ed altre volte con personale del Sismi" (81).

Sul viaggio aereo di Pazienza, Lustrissimi, Magrì, Marzotta e Balducci da Ciampino a Ginevra, e di ritorno a Roma di Magrì e Balducci si dirà trattando del reato di favoreggiamento personale.

Maurizio Visigalli ha dichiarato di aver accompagnato Pazienza all'aeroporto di Ciampino, dove si imbarcava su aerei della CAI, una cinquantina di volte (82).

Tiziana Sallustio, hostess della CAI dal marzo al giugno 1981 viaggiò con Pazienza in due occasioni, la prima volta a Parigi, la seconda volta, forse, a Monaco di Baviera (83).

Un viaggio a Milano fu effettuato da Pazienza insieme con il suo segretario Maurizio Marzotta (84) e un altro viaggio per la Svizzera —come ammesso da D'Eliseo — con Magrì (85).

Insomma, è provato che Pazienza usò in più occasioni gli aerei della società CAI per spostamenti connessi alle c.d. "operazioni particolari" e ad altri affari, estranei tutti all'attività di istituto, o per diporto. E non solo Pazienza, ma persone a lui collegate o a lui amiche.

L'impiego degli aerei era gestito dall'ufficio del gen. Santovito nella persona del col. D'Eliseo, mentre per la parte esecutiva era coordinato dal gen. Musumeci (86).

Il gen. Santovito, interrogato sul fatto, ha dichiarato di non aver mai dato autorizzazioni di volo in favore di Pazienza. Non poteva escludere di aver avuto notizie che il "consulente" fosse salito a bordo di aerei profittando della circostanza che andavano nella direzione che gli serviva.

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(81) "Memorandum" presentato da D'Eliseo alla Direzione del Sismi il 5.12.1983, faldone 3, verbale di perquisiz. e sequestro.

(82) Visigalli 16.12.1983, XII, ff. 178, 179 e udienza 26.6.85. Cfr. anche Raffaele Marzocca 3.12.83, XII, f. 107 e udienza 26.6.85 sui numerosi viaggi di Pazienza su aerei CAI.

(83) Sallustio T., 7.11.84, VIII, f. 59; udienza 8.7.85.

(84) Rapporto Rep. Oper. CC. Roma 19.11.84 che riporta le dichiarazioni rese dal pilota Sergio Pavan; test. Sallustio Antonio 3.12.83, XII, f. 105, udienza 8.7.85. Cfr. anche Gotti Porcinari Carlo, 13.1.1984, udienza 1.7.85; Magrì, udienza 25.6.85 ecc.

(85) D'Eliseo, 20.10.84, IV, f. 752.

(86) Cfr. interrogatorio degli imputati. Vedasi anche testo Serappo Giovanni, II, f. 268, udienza 26.6.85.

Egli però non aveva concesso alcuna "autorizzazione". Era il col. D'Eliseo che "poteva rilasciare gli ordini (di volo)" senza la sua autorizzazione preliminare (87).

È lecito dubitare della veridicità di quanto assunto da Santovito.

Se da una parte appare diffìcilmente credibile che il numero uno del Servizio passasse le giornate occupato a rilasciare biglietti CAI e ad autorizzare "assistenze" aeroportuali, risulta provato (88) che Pazienza si rivolgeva direttamente a D'Eliseo ("Debbo partire, è pronto l'aereo?") il quale ufficiale gli metteva a disposizione l'aereo perché questa era la volontà del comando, e perché egli obbediva all'ordine superiore di accogliere le richieste del "consulente".

Conferma di ciò si ricava dalle preoccupazioni di D'Eliseo per l'uso smodato degli aerei "che non stavano mai fermi" subito tranquillizzato da Musumeci (89) che, quale capo dell'ufficio controllo e sicurezza, aveva il dovere di garantire la regolare legittima utilizzazione dei mezzi e quindi l'obbligo giuridico di impedire gli abusi.

Lo stesso Musumeci ha riconosciuto che vi erano persone che usavano gli aerei ingiustificatamente, delle quali non ricordava i nomi (90).

Tra questi nomi vi erano quelli di Pazienza e dei suoi amici, e Musumeci, nella, piena consapevolezza della patologica situazione che aveva contribuito a creare, concorse con la sua condotta nel reato "de quo", consentendo che gli aerei venissero impiegati, per scopi diversi da quelli dovuti, a profitto di Pazienza, ed agendo di intesa con lui e Santovito.

È, carente la prova che D'Eliseo fosse sicuramente consapevole dell'utilizzazione degli aerei per fini non di servizio. Consegue la sua assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo del delitto.

Artinghelli è risultato del tutto estraneo alla vicenda.

L'imputazione va precisata come in dispositivo, ferma l'incriminazione ex art. 314 C.P. dato che, se gli aerei "formalmente"

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(87) Santovito 2.12.83, I, f. 52.

(88) Sallustio A., 2.12.83, XII, ff. 92 sgg.; udienza 8.7.85. Lalle, 31.10.84, VI, f. 143. D'Amato, udienza 8.7.85, p. 27, 28: Pazienza gli disse che prendeva spesso gli aerei del Servizio e lo invitò ad usufruirne; ecc.

(89) Artinghelli, 21.10.84, IV, f. 779; 9.12.83, XII, f. 158; udienza 17.6.85, p. 11.

(90) Musumeci, interr. 22.10.84, IV, f. 802: "... può darsi che tra sei mesi li ricordi ".

appartenevano alla CAI, questa altro non era che uno strumento del Sismi, una società utilizzata come "copertura" nella conduzione del servizio aereo, e dato che il concetto di appartenenza recepito dal menzionato articolo va identificato con la "disponibilità" della cosa ed esprime la titolarità non necessariamente di un diritto di proprietà ma di qualsiasi diritto, di natura reale o personale, che importi una relazione tra il soggetto e la cosa stessa, destinata per vincolo giuridico dalla P.A. al proprio servizio e all'attuazione di fini pubblici.
 
 

REATO DI CUI AL CAPO D. PECULATO. ACQUISTO DI DOCUMENTI RISERVATI RELATIVI ALLA GESTIONE DEL BANCO DI ROMA

Francesco Santoro era in possesso di vari documenti concementi il Banco di Roma. Magrì, da lui informato, riferì il fatto a Pazienza, il quale si riservò di parlare al gen. Santovito.

Pazienza, quindi, comunicò a Santoro che la documentazione interessava al direttore del Sismi e che, in cambio, gli sarebbe stata pagata la somma di L. 100 milioni (91).

I documenti, che potevano coinvolgere Guido Calvi, il Banco di Roma, la "Società Generale Immobiliare", furono così consegnati a Pazienza per essere " tramitati " al gen. Santovito.

Alcuni giorni dopo, Magrì consegnò a Santoro L. 5.000.000 dicendogli che gli altri 95 milioni gli sarebbero stati consegnati in seguito (92).

Sostiene la difesa che l'impostazione accusatoria si basa esclusivamente sulla testimonianza di Santoro, equivoca in ordine alla provenienza della somma datagli e di quella promessagli.

Il che non è esatto. Magrì ha riferito che Pazienza gli aveva detto — e ne aveva avuto conferma parlando con Musumeci (93) che quest'ultimo era il vero "ufficiale pagatore" del Sismi e che lo stesso Musumeci gli confidò che la somma in questione era stata pagata al "consulente" e forse era di maggiore importo (94). In dibattimento,

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(91) Magrì 10.12.83, XII, ff. 173, 174; udienza 25.6.85.

(92) Santoro 15.12.83,I , f. 118; 7.11.83, VIII, f. 39; 13.12.83, XII, f. 184 sgg.; udienza 26.6.85. Denuncia di F. Santoro in cartella III.

(93) 29.10.84, V; f. 138; 12.7.84, III, f. 461.

(94) 10.12.1983, XII, f. 174.

Magrì si è riportato sostanzialmente alle precedenti dichiarazioni, precisando che alla sua domanda sulla vicenda dei milioni non versati a Santoro, Pazienza aveva esclamato: "Ma sai come sono questi generali, se li sono tenuti loro", mentre in epoca successiva Musumeci gli aveva detto che per Pazienza "di soldi ne aveva tirati fuori parecchi", e che "in quella operazione (Pazienza) ne aveva presi di più" (95).

Poiché, come assume la difesa. Pazienza nel periodo in cui svolse attività di "consulente" del Servizio non aveva disponibilità economiche (le quali sopraggiunsero in seguito, grazie ai rapporti con Calvi ecc.) è inimmaginabile che la somma consegnata a Santoro e quella maggiore promessa potessero avere come provenienza il peculio del giovane imputato.

Di guisa che ritiene la Corte che una certa somma di denaro del Sismi fu distolta dalla sua destinazione, ed utilizzata in parte per il procacciamento di documenti — la cui conoscenza esulava dai compiti istituzionali del Servizio —, i quali documenti nell'intenzione degli acquirenti potevano essere usati come arma di ricatto o di pressione verso determinati ambienti finanziari (96), ovvero come "merce di scambio" per impedire la pubblicazione su una nota rivista degli elenchi degli iscritti alla P2 (97).

Devesi dunque affermare la penale responsabilità dei due imputati. La rubrica va precisata come in dispositivo. Il fatto "de quo", per quanto conceme Musumeci, è assorbito nell'imputazione di cui al capo I.
 
 

REATO DI CUI AL CAPO E. FAVOREGGIAMENTO PERSONALE

II pregiudicato Domenico Balducci occupava un posto di rilievo nella malavita romana ed era sospettato di trafficare in sostanze stupefacenti
 
 

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(95) Magrì, udienza 25.6.85, p. 33, 34.

(96) Santoro cit.. VIII, f. 39. Cfr. inoltre ff. 39 sgg. stesso fascicolo. Con rapporto 20.12.83 il reparto Operativo dei CC. di Roma ha comunicato che nessuna traccia dei documenti era stata reperita agli atti del Sismi. Trattavasi invero di un'operazione "particolare". .

(97) Magrì cit., XII, f. 174. Ficoneri Pier Luigi (redattore de "L'Espresso"), 12.12.83, XII, f. 182, udienza 26.6.85: Magrì offrì di consegnare alla redazione del settimanale alcuni documenti relativi al Banco di Roma. In cambio, pretendeva che la rivista non pubblicasse l'elenco degli iscritti alla P2.
 
 

e di riciclare denaro "sporco". Colpito da mandato di cattura emesso nel 1979 dall'Ufficio istruzione presso il Tribunale di Palermo che indagava sull'omicidio del mafioso Giuseppe Di Cristina (98), si sottraeva agevolmente all'esecuzione del provvedimento coattivo potendo contare su amicizie di personaggi che "contavano", quali il vice-questore Francesco Pompò e Francesco Pazienza, e continuava a svolgere con relativa tranquillità le sue attività affaristiche, in Italia e all'estero.

Sostiene il P.M. che in più occasioni la "struttura parallela" del Sismi lo agevolò nei suoi viaggi all'estero consentendogli l'uso di aerei a disposizione del Servizio ed "assistendolo" in occasione del transito attraverso gli uffici di frontiera degli aeroporti di Roma.

Di fatto, "assistenza" significava l'eliminazione di tutte le procedure doganali e di frontiera e i viaggiatori sugli aerei CAI erano sottratti a ogni "controllo di dogana" (99).

Risulta agli atti di causa che Balducci, unitamente a Pazienza, Marzotta, Lustrissimi e Magrì, viaggiò in aereo da Roma-Ciampino a Ginevra, ritornando quindi a Roma, sempre in aereo, con Magrì (100).

In tale occasione — secondo il P.M. — fu utilizzato un aereo della CAI.

Magrì ha precisato il fatto indicando i nomi degli altri viaggiatori e le qualificanti circostanze di essere stati ricevuti, alla partenza, da Antonio Sallustio, funzionario dirigente della predetta società, e di non aver subito alcun controllo doganale (101).
 
 

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(98) Balducci fu assassinato a Roma il 16 ottobre 1981. Secondo Pazienza (I, f. 8), fu Flavio Carboni a parlargli di un suo amico che avrebbe potuto aiutarlo a trovargli un appartamento nel Centro di Roma. Il suddetto amico era Domenico Balducci, che gli fu presentato giorni dopo in una specie di ufficio nei pressi di Corso Vittorio.

(99) Artinghelli IV, f. 778; udienza 17.6.85. Cfr. anche XII, f. 157. Sallustio A., XII, f. 93, udienza 8.7.85. D'Amato, VIII, ff. 28,29, udienza 8.7.85. F. Lalle, VI, f. 143; udienza 2.7.85, il quale, a proposito del largo uso degli aerei CAI da parte di Pazienza, aerei che volavano per l'estero senza essere sottoposti a controlli doganali, parlando con Artinghelli espresse il dubbio che con quelle modalità si poteva compiere agevolmente traffico di valuta, ricevendo una risposta sconsolata: non so cosa fare.

(100) Magrì, 10.12.83, XII, f. 172; 20.1.84, II, f. 356; XII, ff. 172, 173 udienza 25.6.85. Lustrissimi 16/17 gennaio '8?, II, ff. 329, 336, udienza 8.7.85. vedasi rapporto Reparto Oper. CC. Roma 10.12.83, I, ff. 56 sgg. sui voli CAI di Pazienza Ciampino - Ginevra e ritorno del 9.3.'81, Ciampino - Torino - Zurigo - Ciampino dell'11.4.'81.

(101) Magrì cit.

La difesa controbatte osservando che Lustrissimi, uno dei viaggiatori, aveva dichiarato che l'aereo in questione poteva essere della "Unifly".

Certo è, comunque, che è stata acquisita prova documentale da cui risulta che il 23 marzo Pazienza (che era partito da Roma per Ginevra con volo AZ delle ore 11.55) rientrò nella capitale con volo SR 612 delle ore 19.35 insieme con tale Bongarzoni Nello. Ai due furono prestate "facilitazioni" per il passaggio dall'ufficio di frontiera di Fiumicino su richiesta dello stesso Pazienza! (102).

Il sedicente Bongarzoni altri non era che Balducci il quale, per i suoi spostamenti all'estero, faceva uso di un passaporto falsificato con quel nome (103).

Il fatto prova pertanto che Balducci ricevette aiuti da Pazienza per eludere le investigazioni della Autorità nei suoi spostamenti "internazionali" e per lo sviluppo dei suoi affari.

La consapevolezza da parte dell'imputato dello "status" di Balducci è acclarata ove si consideri che con lui il "faccendiere" intratteneva rapporti di affari e di amicizia e conosceva i suoi nomi, quello vero e quello fasullo, e quindi la ragione della spendita di quest'ultimo (104).

Va perciò affermata la consapevolezza di Pazienza in ordine al reato contestatogli.

Non sono emersi invece validi elementi di responsabilità a carico di Musumeci, D'Eliseo ed Artinghelli in relazione alla loro partecipazione al fatto.

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(102) Cfr. scheda e "pro-memoria" in XIII, ff. 60 - 62. Nel promemoria è scritto che l'assistenza per i due viaggiatori era stata richiesta da Artinghelli. Costui nella mattinata, era intervenuto per facilitare la partenza di Pazienza (f. 61). Peraltro; nella scheda, l'"ente richiedente" è indicato nella persona del predetto Pazienza.

(103) Rapporto Squadra Mobile Questura di Roma 9.11.81.

(104); Visigalli 28.10.84, V, f. 133; 8.12.83, XII, udienza 26.6.85: Pazienza frequentava Balducci nella sua abitazione nell'ufficio di via degli Acciaiuoli. Flavio Carboni, XII, ff. 15,16; udienza 8.7.85. Marina De Laurentis XII, f. 24, udienza 8.7.85: una sera, al ristorante, Pazienza mandò in omaggio al "boss" una bottiglia di "champagne". Buongiorno, XII, f. 85, udienza 26.6.85: vide insieme, a Rio de Janeiro, Balducci e Pazienza. Cfr. memoria di Pazienza, I, ff. 8 - 10, IV, f. 677; Pompò gli presentò Carboni e questi Balducci. D'Amato 4.12.83, XII, f. 113; udienza 8.7,85: dopo la uccisione di Balducci, Pazienza lo avvertì che addosso allo stesso era stato trovato un qualcosa che lo riguardava. Altra prova, questa documentale, è costituita dal bloc-notes Ascofìn dove risultano registrati i nomi di Balducci e di "Bergonzoni".
 
 

È peraltro sintomatica la circostanza, che conferma vieppiù il degrado del Servizio, che alti funzionari del Sismi e segnatamente il capo dell'"Ufficio controllo e sicurezza", affaccendato in ben altre faccende, ignorassero la personalità e gli interessi di chi si accompagnava all'avventuriero, cui avevano felicemente aperto l'accesso alla "stanza dei bottoni", e consentissero a quest'ultimo di richiedere ed ottenere "assistenza" aeroportuale (le richieste, assumono i prevenuti, erano di competenza esclusiva del Direttore del Servizio) per sé e gli amici (105).
 
 

INTERESSE PRIVATO IN ATTI DI UFFICIO. REATO DI CUI AL CAPO F. "OPERAZIONE BILLYGATE"

Nel settembre-ottobre del 1978 una delegazione di uomini di affari americani, guidata da Billy Carter, fratello dell'allora Presidente degli USA, si recò a Tripoli su invito del col. Gheddafi, sostando a Roma per alcuni giorni (106).

Nel giugno del 1980 i repubblicani americani — scrive Pazienza (107)— per il tramite di Michael Ledeen (108), chiesero al Sismi di aiutarli a scoprire le attività di Billy Carter in Libia. Il Sismi (quello "ufficiale") rifiutò e il generale Santovito, nel settembre dello stesso anno, girò l'incarico a Pazienza.

Costui, con la collaborazione di Placido Magrì, diede mandato a Giuseppe Settineri di contattare l'avvocato Michele Papa, esponente siciliano di un gruppo pro-Gheddafi che aveva avuto rapporti con la delegazione statunitense. L'incontro con l'avv. Papa avvenne a Catania, presso l'hotel Excelsior (109), e le conversazioni furono registrate.

Le notizie raccolte furono trasmesse al gen. Alexander Haig e a
 
 

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(105) Cfr. XIII, ff. 4, 21, 23, 34, 39 ecc.

(106) Rapporto nucleo Oper. CC. Roma 9.1.84, II, ff. 274 sgg.

(107) II, f. 226.

(108) Sugli stretti rapporti intercorrenti tra Leeden, Pazienza, Pompò, cfr. test. Lustrissimi (16.1.84, II, f. 327; udienza 8.7.85) che partecipò a una cena con i tre. Vedansi anche D'Amato, udienza 10.7.85; Magrì 10.12.83; XII, f. 170, udienza 25.6.85, Dell'Amico 8.12.83, udienza 26.6.85 ecc.

(109) Test. Settineri, udienza 25.6.85; 15.12.83,I, ff. 122 sgg. a riscontro, cfr. appunto e "relazione incontro avv. Michel Papa", I, ff. 125 sgg.; Magrì, XII, ff. 168,176;

udienza 25.6.85.
 
 

Ledeen (110) ed utilizzate scandalisticamente in una manovra contro il Presidente Carter per favorire la campagna elettorale di Ronald Reagan.

L'attribuibilità dell'operazione alla struttura "parallela" emerge non solo dagli scritti di Pazienza e dalle dichiarazioni di Magrì, ma perfino dalle dichiarazioni di Santovito e Musumeci, che in sostanza forniscono dati di conferma.

Santovito ebbe a dire che Pazienza lo informò del suo interessamento all'episodio, ma che egli non gli chiese particolari "perché la faccenda non gli piaceva" (111). È davvero assurdo che il direttore del servizio segreto militare avesse di siffatti pudori.

Musumeci (112) ha dichiarato di essere venuto sì a conoscenza delle indagini sul fratello dell'ex presidente americano ma solo "marginalmente" e "post-factum". Ma anche in tal caso è possibile credere che l'imputato, stretto collaboratore di Santovito, intimo di Pazienza, "magna pars " della struttura parallela, sia rimasto all'oscuro di un fatto così importante.

Trattavasi, invero, di una "operazione particolare" che richiese per il suo sviluppo mezzi ed uomini del Sismi, come si evince non solo dalle ammissioni di Pazienza (fu Santovito a "trasmettergli" l'incarico) ma dalle seguenti circostanze:

— l'apparecchio utilizzato da Settineri per registrare la conversazione con l'avv. Papa fu fornito dal Sismi (113);

— i tecnici del Servizio provvidero ad eliminare i rumori di fondo della registrazione (114);

— Settineri ebbe l'incarico di acquistare dall'avv. Papa, a qualsiasi prezzo, eventuali fotografie di incontri di Billy Carter con esponenti arabi (115), e ricevette un compenso in denaro proveniente dal Sismi (116);

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(110) A ulteriore riscontro, cfr. Dell'Amico 8.12.83, XII, ff. 149 sgg.; udienza 26.6.85, al quale Pazienza e Ledeen avevano proposto di avvicinare l'avv. Papa, che era stato il "trait-d'union" fra Gheddafi e Carter. Al suo rifiuto, fu incaricato Settineri. Vedansi pure i numeri del 16 e del 27 ottobre del periodico "Agenzia repubblica"; Barberi, 28.11.83, XII, f. 46; D'Amato cit.

(111) Interr. 2.12.83, I, f. 5.

(112) Interr. 22.10.84, IV, f. 802.

(113) Magrì 10.12.83, XII, f. 168; udienza 25.6.85.

(114) Magrì, cit. e 29.10.84, V. f. 139.

(115) Settineri, I, f. 122.

(116) Magrì cit.: la somma versatagli fu di L. 5.000.000. Settineri, udienza 25.6.85: più o meno detta cifra.

— il successo dell'operazione fu commentato negli uffici del Sismi da Pazienza, presenti Artinghelli e Musumeci che assentirono (117).

— ed ancora, Musumeci ebbe a dire al cap. Artinghelli, sia pure con tono scherzoso, che "quella era un'operazione del Servizio" (118).

Premesso che atto della pubblica amministrazione è "qualsiasi" concreto esercizio di funzioni da parte del pubblico ufficiale, quali che siano il valore che esso assume e il suo risultato, e che il compito del Sismi è quello di svolgere attività informativa per la difesa, sul piano militare, dello Stato, non vi è dubbio che tati attività, in cui si esternano le funzioni pubbliche demandate all'apparato di sicurezza, rientrino nel concetto sopra delineato di "atto" e che, se deviate, realizzino un delitto contro la P.A.

Nella specie, l'operazione "Billygate" si è incentrata sulla presa di un interesse privato in quanto la prospettiva di vantaggi propri ed altrui la determinò e la guidò, con sfruttamento del pubblico ufficio. È configurabile, pertanto, il delitto delineato dagli artt. 324, 110 C.P.

Il via all'operazione, per la sua importanza, i vantaggi ma anche i rischi che comportava non poteva non essere dato dal vertice di comando, e sicuramente non mancò l'assenso di Santovito e l'entusiastica partecipazione di Pazienza, che pertanto deve essere dichiarato colpevole del reato ascrittogli.

Dalle carte processuali non è dato però sapere se e quali contributi Musumeci apportò all'impresa. Lo stesso dicasi per gli altri coimputati.

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Il felice risultato dell'operazione m favore di Reagan portò gli sperati vantaggi ed accreditò Pazienza presso la direzione del partito vincente, di guisa che egli, unitamente a Ledeen, nel periodo di transizione e nella crisi dei rapporti diplomatici provocata dalla pressoché

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(117) Lalle Francesco 31.10.84, VI, f. 144; udienza 2.7.85.

(118) Artinghelli 21.10.84, IV, f. 780. Cfr. pure lo scritto "I retroscena dell'affare Billygate" compilato da Pazienza (XI, f. 302): "... non si sa come F.P. abbia avuto la dritta, forse dai Servizi italiani, forse dai palestinesi...". Demetrio Cogliandro, udienza 3.7.85, p. 120,121: Lalle gli disse che fu Musumeci a dare "accesso al Pazienza presso l'avv. Papa" quale persona a conoscenza dei rapporti di Billy Carter con i libici. Lalle, udienza 9.7.85, p. 6, non ha negato che parlando con Cogliandro gli abbia fornito quella notizia, ma non era "una notizia sua".

paralisi dell'ambasciata americana rimasta priva del suo titolare, assunse le funzioni di collegamento fra la nuova amministrazione statunitense e personalità politiche italiane, come dichiarato dall'imputato (119) e confermato dal prefetto D'Amato (120).

Il "brasseur d'affaires ", quindi, di intesa con Santovito (121), organizzò i viaggi negli USA del sen. Mazzola nel dicembre del 1980 e dell'on. Piccoli nel gennaio del 1981. Il momento finale e culminante di quest'ultimo viaggio era l'incontro con il segretario di Stato Haig. Per vari disguidi, il colloquio rischiò di saltare essendo stato chiamato Haig con urgenza a Camp David. Il segretario della DC espresse il suo disappunto anche a Pazienza che si offrì di contattare l'esponente governativo, e, nel giro di poche ore, gli comunicò che Haig si sarebbe intrattenuto con lui. Grazie al suo intervento, l'on. Piccoli potè incontrarsi con Haig (122).

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Negli USA, furono organizzate manifestazioni in onore dei politici italiani anche su iniziativa dell'associazione italo - americana "Great Italy", fondata e diretta da Giovanni Quattrucci, all'epoca beneficiario di finanziamenti ("qualche manciata di dollari"?) che è lecito ritenere provenienti dal Sismi (123). Ciò si desume dalla "lettera aperta" a firma di Quattrucci (124), il quale tra l'altro scrive che Pazienza tentò di prendere il controllo dell'associazione con lusinghe, consigli, fattigli pervenire anche da ufficiali del servizio segreto, e minacce ("In questa New York assassinano 7 - 8 persone al giorno.

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(119). Cfr. documento f. 226, II: "... durante i primi mesi di insediamento dell'amministrazione repubblicana in USA fui il tramite di messaggi tra personaggi del Governo italiano e l'amministrazione USA. Fu nel quadro di queste attività che fu organizzato il viaggio di un esponente politico italiano nonché scambiati messaggi anche per un partito di estrema sinistra".

(128) D'Amato 4.12.83, XII, f. 110 sgg., udienza 8.7.85.

(121) Santovito 16.11.83, XII, f. 23; fu lui a presentare Pazienza a Piccoli. Barberi cit., al quale Pazienza indicò con largo anticipo il dettagliato programma degli incontri che l'on. Piccoli avrebbe avuto negli Stati Uniti; Magrì, XII, f. 170, udienza 25.6.85: Santovito diede incarico al capo-sezione del Sismi (Campione) di aprire a Pazienza "tutte le strade a sua disposizione". Campione 27.8.84, III, ff. 587 sgg. e udienza 1.7.85. Sulla presenza di Pazienza negli USA durante il viaggio del sen. Mazzola, cfr. la testimonianza di quest'ultima, 14.11.84, X, f. 81.

(122) Test. Piccoli 6.12.83, XII, ff. 135-138.

(123) A riscontro, in ordine ai finanziamenti, vedansi interr. Avico, verb. di udienza 12.6.85; Magrì cit.

(124) Documento in V, ff. 147 sgg. Sul tentativo di convincere Quattrucci ad abbandonare l'iniziativa della "Grande Italia", cfr. Magrì II, f. 329; udienza 25.6.85; Avico — 20.10.84, IV, f. 765; 28.10.84, V, f. 135, e 12.6.85 — la quale fu inviata appositamente a New York da Pazienza.
 
 

Lascia perdere la "Grande Italia", che è un grosso affare, e torna a scrivere libri e dirigere giornali. E stai tranquillo, della "Grande Italia" ce ne occuperemo noi che abbiamo mezzi, spietatezza e grandi entrature").

Deve però riconoscersi l'efficienza dell'ufficio Sismi a New York segnatamente quando si trattò di dirimere una situazione di attrito fra i capi mafia locali e Pazienza. Si era sparsa la voce calunniosa che quest'ultimo fosse un uomo della Polizia. Accadde poi a Brooklyn, in occasione di un pranzo, che il "collaboratore" di Santovito fece uno sgarbo a Joe Castelli, attribuendogli un posto non consono alla sua dignità. Irritati, i mafiosi avevano praticamente vietato a Pazienza l'ingresso in città. Il divieto fu però revocato. Il Col. Marcello Campione, dirigente locale del Sismi, nel corso di una colazione con un prete e un farmacista, era riuscito a chiarire la situazione; non v'era proprio alcun motivo di preoccupazione (125).
 
 

CAPO F. INCHIESTA SU DI NAPOLI

L'"Ufficio controllo e sicurezza", su disposizione di Musumeci (126) e ad opera di Belmonte (127), svolse verso la fine del 1979 una "inchiesta" nei confronti del funzionario del Sismi ten. col. Silvio Di Napoli, tesa a dimostrare che costui aveva rapporti con il KGB sovietico (128).

I suindicati imputati hanno dichiarato che l'"inchiesta" fu "girata" alla Divisione competente diretta dal col. Notarnicola (129), ma quest'ultimo ha negato recisamente l'assunto ed ha riferito che
 
 

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(125) Magrì 29.10.84. V, f. 140; XII, f; 170, udienza 25.6.85. Campione, udienza 1.7.85, p. 9-12. Lustrissimi, udienza 8.7.85, p. 8-10, al quale Alphonse Bove disse che Pazienza aveva avuto dei problemi con le famiglie mafiose perché non si era comportato bene. Luatrissimi era stato mandato in America per incontrare Calvi su richiesta di Pazienza, che lo aveva informato che lui non potava andare "per il momento" a New York "perché poteva avere delle grane". Sui "guai" dell'imputato, cfr. anche Avico, udienza 12.6.85 e interr. 20.10.84, IV, f. 765.

(126) Interr. Musumeci 22.10.84, IV, f. 802.

(127) Interr. Belmonte 19.6.85 (udienza) p. 92-94. Vedasi inoltre manoscritto di Belmonte indirizzato al Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma: "... gli accertamenti erano stati eseguiti in piena legittimità dei propri compiti istituzionali e di specifiche disposizioni del superiore gerarchico"; in reperto 2, verbale perquis. e sequestro, III faldone.

(128) Test. col. Giovanni Serappo 9.1.84, II, 307, udienza 26.6.85. Notarnicola, 3.5.84, II, f. 421; udienza 2.7.85.

(129) Interr. Musumeci e Belmonte cit.

quando casualmente apprese la notizia che Di Napoli era "caduto in sospetto" dispose di sua iniziativa, quale capo dell'ufficio di controspionaggio, un rigoroso accertamento, che dimostrò l'assoluta infondatezza delle insinuazioni. Egli quindi protestò con il gen. Santovito perché aveva consentito che iniziative di pertinenza del "controspionaggio" venissero svolte, per di più "con superficialità ed acrimonia", da persone addette ad altri incarichi (130).

Dell'"inchiesta" svolta da Musumeci e Belmonte non vi è traccia, come al solito, agli atti del Sismi (131).

Essa — a detta del col. D'Eliseo — "doveva essere soltanto una specie di avvertimento per gli altri funzionari" (132). In concreto, mirava a far allontanare dal Servizio l'ufficiale, o comunque ad impedire di occupare il nuovo e più importante ufficio cui era stato destinato (133).

Ma l'ingerenza profittatrice — che costituisce l'essenza del delitto di cui all'art. 324 C.P. — assume nella fattispecie vaghi contorni, perché l'"operazione" appare contrassegnata dal fine primario di danneggiare il ten. col. Di Napoli, ritenuto inadatto alla bisogna verosimilmente perché non manovrabile.

Nell'indeterminatezza del requisito dell'inserimento di una prospettiva di vantaggio nell'attività di ufficio, che per altro è stata svolta abusivamente e con parzialità, la norma penale che meglio si attaglia al caso è quella dell'art. 323 C.P., dove appunto il "prius logico", il momento determinante è la finalità di recare danno ad altri non correlata alla prospettiva immediata di conseguire utilità personale.

Il reato — rispetto al quale non sono emersi idonei elementi di

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(130) Test. Notarnicola, II, f. 421 cit.: era notorio che il ten. col. Di Napoli fosse malvisto da Musumeci; esame 2.7.85 p. 22-26: Di Napoli "non era tollerato", vi era una certa asprezza nei suoi confronti. Il gen. Notarnicola precisa che Musumeci gli riferì che Santovito preferiva che esso Notamicola non si interessasse della questione Di Napoli perché altrimenti sarebbe stato costretto "a procedere sul piano giudiziario". Va notato che il sospetto — certezza per Musumeci— era che Di Napoli fosse una spia collegata al KGB.

(131) Cfr. comunicazione Sismi datata 3.7.85 in verbale di udienza 17.6.85.

(132) Interr. D'Eliseo 20.10.84, IV, f. 754; 17.6.85 p. 51; se fosse trapelata la notizia dell'inchiesta — gli disse Santovito — sarebbe servita di ammonimento per tutti gli altri: non esistevano intoccabili! Trattasi di una applicazione della "logica di ricatto" e di intimidazione all'interno del Sismi.

(133) Test. Di Napoli II, f. 371 udienza 2.7.85. Sanapo 1.11.84, VI, f. 149; 3.7.85.
 
 
 
 

corresponsabilità a carico di Pazienza, D'Eliseo ed Artinghelli — si è estinto per amnistia.

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Si incastra allora come tessera nel vasto mosaico probatorio la confidenza fatta da Belmonte a Sanapo in ordine alla "creazione di un gruppo di potere nel Sismi" e a un "mezzo usato da Santovito, Musumeci e da lui" consistente "nel fare false informative (ad esempio relative a contatti con libici o con persone che non davano garanzie) a proposito degli altri appartenenti al Servizio in modo da costringere gli accusati in una posizione di imbarazzo" (134).

Ma il sistema di svolgere artate indagini e di propagare notizie calunniose o denigratorie a carico di questo o quel personaggio non era applicato soltanto nei confronti dei funzionari del Servizio.

Ne è un esempio il c.d. "golpe militare", ovverosia la macchinazione nel confronti del gen. Ferrara e di altri ufficiali.

Nell'abitazione di Musumeci è stato rinvenuto un appunto (135) dove si parla di una fallita congiura di generali. Era stato progettato un capovolgimento ai vertici politici e militari in concomitanza con i movimenti di truppe in avvicendamento nelle zone terremotate del Napoletano e dell'Irpinia. L'"eminenza grigia" della cospirazione era il gen. Ferrara; implicati nel complotto il gen. Cappuzzo, il gen. Lugaresi e altri.

Musumeci ha dichiarato di aver trasmesso personalmente, ai primi del 1981, su incarico di Santovito, un documento concernente il presunto "golpe" al gen. Cappuzzo, comandante generale dell'Arma. Ha aggiunto che, sempre su disposizione del direttore Santovito, convocò nel suo ufficio tre ufficiali del Servizio: Luciano Periti, Mariano Ceniccola e Antonio Belmonte, vincolandoli al segreto e incaricandoli di svolgere indagini (136).

Sia Periti sia Ceniccola (137) hanno smentito il fatto della convocazione, precisando che, durante le festività di fine d'anno, essendo andati ad ossequiare il generale, costui accennò alla possibilità di

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(134) Sanapo, 1.11.84, VI, f. 149; udienza 3.7.85.

(135) V, ff. 3, 4, 61.

(136) Musumeci, 13.11.84, X, ff. 15, 16; udienza 19.6.85, p. 29. L'imputato ebbe ad invocare il "segreto di Stato", non confermato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri.

(137) Periti 14.11.84. X, f. 79, udienza 25.6.85, p. 121. Ceniccola 14.11.84, X, f. 80, udienza 25.6.85, p. 123.

un colpo di Stato e a movimenti di truppe. Il "fedele" Belmonte, invece, ha dichiarato che il suo capo-uffìcio gli diede ordine di svolgere accertamenti in relazione a concentramenti di truppe di carabinieri a Roma e a Napoli, e di espletare controlli nei riguardi del gen. De Sena (138).

Non interessa qui la questione se il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri fu reso edotto della Situazione ed ebbe in proposito un colloquio con Musumeci, come quest'ultimo afferma (159).

Interessa invece sottolineare che l'"informativa", il cui contenuto fu fatto trapelare (140), costituì il succo di un'"operazione particolare", "diretta Speciale" ovvero "Z", non attribuibile ad alcuna "divisione" del Sismi, non ufficializzata, non memorizzata, basata sul travolgimento della verità e tesa a provocare una situazione di disagio nelle alte gerarchle militari con riflessi perfino sul sommo vertice politico.

L'iniziativa ha come punti di riferimento personaggi della "struttura parallela": non solo Musumeci e Belmonte, ma anche Santovito e Pazienza:

—l'ex direttore del Sismi "confidò" a Roberto Fabiani che vi era stato il pericolo di un colpo di Stato e che "tutto partiva dal Quirinale e segnatamente dal gen. Ferrara", d'accordo con il gen. Lugaresi (141);

Pazienza nel marzo del 1981 informò Barberi che il gen. Dalla Chiesa era tenuto d'occhio dal Sismi perché sospettato con i generali Ferrara e De Sena di voler prendere il controllo dei servizi segreti, usando espressioni che in qualche modo ricordavano il "piano golpista" (142);
 
 

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(138) Belmonte 21.11,84, XI, f. 306; udienza 24.6.85, p. 3-5.

(139) Test. Francesco Mazzola, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio delegato al coordinamento dei Servizi di Sicurezza, 14.11.84, X, f. 81: nessuna segnalazione sul presunto "golpe" pervenne a lui o al Cesis.

(140) Cfr. notiziario n. 15 - 26.1.81 "Agenzia Repubblica": "Con Lagorio alla difesa — verso un golpe militare alla turca?", nel quale si accenna al gen. Dalla Chiesa e al "Consigliere militare del capo socialista dello Stato"; ecc.; VI, ff. 106, 107.

(141) Fabiani 12.11.84, X, ff. 4,5; udienza 1.7.85, ff. 4-6, anche a proposito dell'articolo "Intanto le Forze Armate" pubblicato sul n. 2/1981 de "L'Espresso".

(142) Barberi 20.11.84, XI, ff. 289, 291, 301; udienza 25.6.85.
 
 
 
 

— il gen. Ferrara era considerato come persona ostile al gruppo di potere di cui faceva parte Pazienza (143); il vero "regista" della manovra culminata con la nomina di Lugaresi a capo del servizio segreto militare (144);

— lo stesso Pazienza, nella memoria del 22 ottobre 1984 (145), fa capire chiaramente che il gen. Ferrara rappresentava un ostacolo alle mire della sua organizzazione e lancia contro di lui ed altri un segnale di avvertimento: "lo Spadolini aveva una perfetta risonanza anche al Quirinale, dove lavorava (e penso lavori) in tandem con il gen. Ferrara, che è un'altra delle persone di cui parlerò prossimamente".
 
 

CAPO F. EPISODIO NOTARNICOLA

Anche il gen. Notamicola è stato colpito dall'insinuazione di aver avuto collegamenti con servizi segreti stranieri.

Pazienza indica come "fonte" della notizia il servizio segreto militare francese e precisa che fu proprio Santovito, dopo il colloquio con il direttore dello Sdece, sig. De Marenches, avvenuto 1'8 o il 9 gennaio 1981; ad informarlo, "molto imbarazzato", di tali collegamenti.

"Risultò che il generale Notamicola era il mezzo di "comunicazione"" controllato dai servizi libici (146).

Trattasi di una menzogna, per "punire" e neutralizzare un ufficiale che aveva osato contrastare il "gruppo Pazienza".

Il gen. Lugaresi, direttore del Sismi in sostituzione di Santovito, ebbe a informare il Ministro della Difesa e il Cesis che le insinuazioni contro Notarnicola erano infondate e andavano intese come rivalsa di Pazienza per le iniziative di controspionaggio avviate nei confronti del medesimo nel giugno del 1981.

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(143) Dell'Amico 10.11.84, IX, f. 105. udienza 26.6.85: dicevano Pazienza e Magrì che Ferrara manovrava per ottenere la direzione del Sisde ed "intrigava", così come Cappuzzo e Dalla Chiesa, con i socialisti.

(144) Memoria 3.10.84 e fìrma Pazienza, IV, f. 679.

(145) IX. f.15;

(146) Cfr. memoria II, f. 227; VI, f. 115. Vedasi anche memoria IV, f. 678: il Superesse era estremamente efficiente e ciò "aveva attirato un vero e proprio odio soprattutto da parte di due cialtroni all'interno del Sismi: Sportelli e Notarnicola...".
 
 

La deposizione del gen. Notarnicola (147) fa trapelare il clima di ipocrisia e di ricatti che aleggiava all'epoca sul Servizio. Fu proprio Santovito a sollecitarlo di disporre controlli nei confronti del "faccendiere", verosimilmente nel tentativo di "prendere le distanze dal Pazienza in relazione ai rapporti abbastanza intensivi che con lui aveva avuto" (148). Il gen. Mei, vice-direttore del Sismi, informato di ciò, consigliò al capo del controspionaggio "di lasciar perdere questo tipo di indagini ", facendogli capire che un'azione nei confronti di Pazienza poteva "essere rischiosa". E il gen. Mei ben lo sapeva, dato che soltanto grazie all'intervento del col. Serappo (149) fu impedita la pubblicazione, sollecitata da Pazienza, di un articolo giornalistico (dove si parlava di sue implicazioni in vicende di forniture di materiale elettronico) sul periodico "Tuttoroma", manovrato dalla struttura parallela (150).

Non risulta però dalle carte processuali che il "Superesse" abbia svolto effettivamente "accertamenti" nei confronti del gen. Notarnicola. L'attribuzione allo stesso da parte di Pazienza in scritti destinati all'Autorità giudiziaria di uno specifico ed infondato addebito delittuoso (essere cioè "il mezzo di comunicazione" controllato dai servizi libici) può far configurare a carico del predetto imputato il reato di calunnia, per cui i relativi atti devono essere trasmessi al P.M. per quanto di competenza.

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L'accenno al gen. Mei apre il discorso sulla struttura di "controinformazione" manovrata dal "Superesse", la cui esistenza è provata non solo dalle dichiarazioni di Placido Magrì, Lando Dell'Amico e Giacomo Alexis (151), non solo dalle ammissioni di Pazienza (152) ma
 
 

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(147) Notarnicola 3.5.84, II, f. 420; udienza 2.7.85.

(148) Rapporti "abbastanza intensivi" che si protrassero anche dopo che Santovito lasciò il Sismi.

(149) Vedansi le pagine 61 -62.

(150) Questa essendo la situazione, e questi gli uomini non sorprende quanto testimoniato da Mei di nulla aver mai saputo in ordine all'attacco giornalistico progettato nei suoi confronti: vedasi esame testimoniale 2.7.1985.

(151) Pazienza, memoria, VI, f. 108.

(152) Magrì 20.1.84, II, f. 356 r.; 31.10.84, VI, f. 140; udienza 25.6.85. Dell'Amico 8.12.83, XII, ff. 149 sgg.: "... Pazienza mi disse di essere stato dotato di pieni poteri da parte di Santovito per quanto riguardava i rapporti col mondo politico, finanziario e giornalistico... Mi parlò anche della creazione di una struttura (c'era già il finanziamento) destinata alla controinformazione..."; 1.11.84, VI, ff. 156, 157; udienza 26.6.85. Alexis 9.1.84, II, ff. 308 sgg., udienza 26.6.85. Cfr.anche Lugaresi, udienza 2.7.85.
 
 

soprattutto da varie "pilotate" iniziative giornalistiche — portate avanti, nell'interesse del gruppo di potere, da volenterosi collaboratori segnatamente attraverso il notiziario dell'"Agenzia Repubblica" e il periodico "Tuttoroma" — spesso contenuto libellistico, ricattatorio o intimidatorio, sulle quali iniziative occorre spendere alcune parole.
 
 
 
 

Intimidazione del gen. Abelardo Mei, vice-direttore vicario del Sismi, e del sig. Cencelli, segretario del sen. Mazzola.
 
 

Un articolo contro le predette persone (vertente su presunti illeciti nel campo dell'elettronica attributi al primo e su presunte cointeressenze in una società di vigilanza prese dal secondo), proveniente da Pazienza, fu consegnato da Magrì (153) a Giacomo Alexis affinchè lo pubblicasse sul settimanale "Tuttoroma". Magri versò al giornalista la somma di L. 2.000.000 datagli da Pazienza (154).

II Col. Giovanni Serappo, capo della segreteria particolare del direttore del Sismi, avuta notizia dell'imminente pubblicazione, si precipitò dal gen. Santovito, al quale fu giocoforza dare il suo beneplacito per bloccare l'iniziativa.

Altri due milioni di lire del Sismi furono consegnate, perché desistesse dal pubblicare l'articolo, ad Alexis, il quale esternò il suo stupore perché la provenienza del denaro, in entrambe le occasioni, era sempre la stessa, e perché gli era stato precedentemente detto che l'articolo doveva essere pubblicato nell'interesse del Servizio (155).

Di quello ovviamente, "parallelo", dato che il gen. Mei, a quell'epoca era considerato — come riferito da Giuseppe Settineri (156) — un oppositore della linea Pazienza-Santovito.

Vi fu "un urto abbastanza violento" fra Santovito e Serappo che
 
 

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(153) Magrì 20.1.84, II. ff. 356 sgg. (il riferimento a Jucci e non a Mei è errato); udienza 25.6.85.

(154) Alexis 9.1.1984, II, ff. 308 sgg.; 18.11.84, XI, f. 279, udienza 26.6.85.

(155) Serappo 7.1.84, II, ff. 266 sgg.; udienza 26.6.85.

(156) Settineri, 15.12.83, I, f. 124; udienza 25.6.85.
 
 

invocava inultimente "provvedimenti contro Pazienza" (157). Verosimilmente quest'ultimo allude all'intervento del col. Serappo, che impedì la realizzazione dell'"operazione", nello scritto menzionato a pagina 35, quando accenna al "capo segreteria pescato con le mani nel sacco del tradimento" verso la persona del direttore del Sismi.

Pazienza non fu allontanato dal Servizio; fu invece Serappo, il cui ruolo ormai si era ridotto a quello di occuparsi di promozioni e trasferimenti di militari, che lasciò il Sismi nel marzo del 1981.
 
 
 
 

"Attacco" contro il gen. Roberto Jucci
 
 

II gen. Jucci, capo del Sios esercito, aspirava alla direzione di un ufficio del Sismi.

Pazienza fornì a Landro Dell'Amico alcuni dati su presunte irregolarità commesse da Jucci in relazione ad una cooperativa edilizia e su supposti traffici con la Libia, e il giornalista pubblicò una nota diffamatoria sui numeri dell'8 settembre e del 24 novembre 1980 del periodico "Agenzia Repubblica" (158).

L'attacco era stato commissionato dal direttore del Sismi (159).

Jucci sporse querela.

Pazienza tranquillizzó il giornalista, assicurandolo che Santovito gli avrebbe fornito la documentazione di conforto. Successivamente lo informò "che era tutto fatto", aggiungendo che aveva parlato con il querelante il quale, di fronte alla documentazione in suo possesso, non aveva potuto protestare.

Dell'Amico si limitò a rilasciare una molto generica smentita e Jucci rimise la querela.

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(157) Serappo cit. Il teste riferisce che nello scritto da pubblicare c'era un accenno denigratorio riguardante Santovito. Se il ricordo è esatto, l'iniziativa andrebbe interpretata come una forma di intimidazione anche nei confronti del direttore del Servizio e un "richiamo all'ordine". Altri avrebbe immediatamente espulso dagli uffici del Sismi l'infedele "collaboratore". Santovito non lo fece. Era ormai troppo compromesso con lui per reagire.

(158) Dell'Amico 1.11.84, VI, f. 156; udienza 26.6.85.

(159) Magrì 31.10.84, VI, f. i41; 20.1,84, II, f. 356, 357; udienza 25.6.85.

Falsificazione di un documento recante le firme di Licio Gelli ed altri

Il documento riguardava un presunto accordo fra i gruppi editoriali Caracciolo e Rizzoli (160).

Esso fu artatamente predisposto da Pazienza (161) e fatto pubblicare sul periodico "Agenzia Repubblica" dell'8 maggio 1981 (162).
 
 

Macchinazione nei confronti del Presidente della Repubblica

Pazienza riferì a Lando Dell'Amico che aveva documenti comprovanti "che Pertini quando era fuoriuscito in Francia era pagato dai russi" e gli mostrò una cartella con cinque o sei fogli dattiloscritti in lingua francese e appunti dattiloscritti con correzioni a mano. Dopo la traduzione in italiano — aggiunse Pazienza — gli avrebbe passato il materiale facendogli "fare il colpo giornalistico dell'anno" (163).

Con la consueta spregiudicatezza, l'imputato ha tentato di alterare la sostanza dell'episodio, vantandosi di aver spedito, con una missione a Parigi, la "ventilata campagna" di stampa contro il Presidente della Repubblica, verosimilmente predisposta dal KGB (164).

Per completezza di esposizione, uno spazio sia pur breve deve essere concesso alla descrizione di altre "particolari" e sintomatiche

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(160) Test. Giovanni Nisticò 5.12.83, XII, f. 116 e udienza 1.7.85; al quale Pazienza mostrò un foglio intestato al "Grande Oriente d'Italia", contenente la stipulazione dell'accordò, sottoscritto tra gli altri da Gelli. Sull'interessamento di Pazienza verso la persona di Cario Caracciolo, vedansi test. Lustrissimi II, f. 329, udienza 8.7.85 e bloc-notes delle telefonateAscofin.

(161) Magrì 20.1.84, II, f. 356, 357; 31.10.84, VI, f. 140; udienza 25.6.85.

(162) Dell'Amico 1.11.84, VI, f. 156, udienza 26.6.85. Cfr. inoltre memoria 25.10.84 a firma Pazienza in IX, f. 14, sul contrasto, "basato su un fatto personale e su una logica di posizioni opposte di partiti e di ideologia", fra lui ed Eugenio Scalfari, il quale, durante i caotici negoziati per il Corriere della Sera, "giocava su due fronti" per il tramite di De Benedetti e del suo socio Carlo Caracciolo...".

(163) Dell'Amico 1.11.84, VI, f. 157, udienza 26.6.85; a riscontro, Magrì 29.10.85, V, f. 138, udienza 25.6.83, al quale Dell'Amico disse che Pazienza voleva ottenere documenti relativi a Pertini per ti tramite del servizio segreto francese;

(164) Memoria in IX. f. 7. L'"operazione" è indicata come una delle principali effettuate per il Sismi: "1981. Tentativo di divulgazione da pane di un servizio oltrecortina su supposte collusioni di un'alta carica politica italiana con i servizi sovietici (in Francia) durante la seconda guerra mondiale. Operazione in associazione con Sdece. Supposta influenza KGB per 'punire' dichiarazioni della personalità politica italiana su chi dirigeva il terrorismo intemazionale".

iniziative di Pazienza e del gruppo di cui faceva parte: il "caso Cirillo", il "progetto scissione del P.C.L", l'"operazione campi di addestramento", il "caso Bisaglia" e l'"operazione II Borghese", quest'ultima rappresentando un'ulteriore conferma del proposito della "struttura parallela" di estendere la propria influenza nel settore giornalistico (165).
 
 

"Caso Cirillo". Dello stesso si è detto sopra, riportando il testo della relazione della Commissione parlamentare.

Pazienza ha rivendicato il suo intervento nell'operazione. Una sera — egli scrive (166) — Santovito gli riferì che la liberazione di Ciro Cirillo, che sembrava una cosa fatta, era diventata problematica. Alla domanda se poteva far intervenire la rete informativa del Superesse, il generale accettò, disponendo però che l'operazione fosse tenuta "top segret" anche agli altri del "direttorio". Pazienza allora convocò Alvaro Giardili esternandogli la necessità di incontrare qualcuno al vertice dell'organizzazione Cutolo per poter comprendere che cosa stesse realmente accadendo e quindi, grazie a Giardili, si incontrò a Nocera Inferiore con Vincenzo Casillo (167), boss camorrista, apprendendo che l'ostaggio "sarebbe stato liberato di lì a poco e che i politici dovevano rispettare i patti già negoziati... ". Gli fu specificato che il problema non era stato solo discusso a livello di Democrazia Cristiana ma "da una parte all'altra completamente". Cirillo fu in qualche modo liberato e il Giardili ottenne cinquanta milioni di remunerazione..." (168).
 
 

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(165) Degna di nota, a proposito della tecnica di infiltrazione usata da Pazienza, è la testimonianza del giornalista Giovanni Nisticò, amico di Santovito e di Pazienza, 5.12.83, XII,, ff. 115 sgg., udienza 1.7.85: su invito dell'imputato, lo andò a trovare presso l'Ascofin, in vicolo del Cinque. Pazienza chiese informazioni sulla qualità dei rapporti tra l'on. Signorile e il gruppo editoriale del giornale "Il Diario" (tre edizioni a Lecce, Brindisi e Taranto) e disse: "so che ci sono delle difficoltà economiche; noi vi potremmo dare .una mano, eventualmente mediante inserti pubblicitari".

(166) IV, ff. 683, 684.

(167) test. Penna 22.11.83, XII, f. 68, udienza 8.7.85, sulle telefonate ricevute da Pazienza da parte di Casillo. Risulta agli atti che Casillo, fatto figurare come funzionario dei Servizi, entrò nel carcere di Ascoli Piceno unitamente a Belmonte.

(168) Bongiomo 28.11.83, XII, ff. 84 sgg., udienza 26.6.85, al quale Pazienza disse che "si era mosso" contattando suoi amici della camorra "e che si era poi fermato perché era intervenuto nella vicenda il col. Musumeci..."; Piccoli, memoriale, XII, f. 140: " II Pazienza mi disse che egli forse poteva acquisire qualche informazione utile in proposito, avendo delle conoscenza in alcuni ambienti di Napoli. Egli mi disse che intendeva attivarsi per non lasciare nulla di intentato... ". Sulla vicenda Cutolo-Cirillo, vedasi test. Notarnicola 23.8.84, III, f. 531 r.
 
 

Va aggiunto che per lo scalzamento del Sisde dalle indagini ad opera del "Sismi" di Musumeci interpose i suoi buoni uffici il dott. Ugo Sisti, direttore degli Istituti di prevenzione e pena (169).

Devesi infine registrare che Francesco Sanapo ha dichiarato che Belmonte gli confidò che la somma complessiva raccolta per il riscatto era di tre miliardi di lire provenienti in parti uguali dalla D.C. e da un'operazione fatta da Santovito. Soltanto L. 1.500.000.000 erano state date ai brigatisti. Musumeci le aveva sistemate in un valigetta che poi portò fino a un certo posto, consegnandola a chi doveva darla ai brigatisti. L'altra metà della somma era stata divisa "tra Musumeci, Santovito, il Ministro della Difesa e il "segretario" di Santovito" cioè Pazienza (170).
 
 
 
 

Progetto di scissione del P.C.I.
 
 

Pazienza informò Dell'Amico (171) che se fosse andato avanti un suo progetto ci sarebbero stati presto in Italia due partiti comunisti. Infatti stava cercando i mezzi, ed accennò a fondi americani, per sostenere un movimento filosovietico all'interno del P.C.I. "Si trattava di cosa molto grossa, superiore al livello di influenza italiano". Nel contesto del discorso, l'imputato fece il nome dell'on. Cossutta come persona a lui vicina.

Dell'Amico colloca temporalmente la conversazione "forse" nel 1982, perché l'interlocutore aveva già rapporti con Calvi (172); ma in ogni caso l'iniziativa rimonta all'anno precedente. Come scrive Pazienza, il "Superesse" teneva "rapporti con i politici italiani... al minimo indispensabile"; "per il Partito Liberale e il Partito Repubblicano se ne occupava Magrì (Ferrari, Zanone e Necci), per la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista il sottoscritto (Piccoli e Cossutta)" (173).
 
 

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(169) Cfr. test. Giulio Grassili, udienza 9.7.85, sulla riunione nell'ufficio di Sisti con la partecipazione del dott. Parisi, del dott. Criscuolo e di Musumeci. Test. Sisti, udienza 12.7.85.

(170) Sanapo 1.11.84, VI, f. 152, 153; udienza 3.7.85. Salvi, udienza 3.7.85 p. 111. Verbale di confronto Belmonte-Sanapo 1.11.84, VI, f. 159. Cfr. anche Magrì 12.7.85, III, f. 462; udienza 25.6.85, sul denaro, occorrente per il pagamento del riscatto, proveniente dal Sismi.

(171) Dell'Amico 1,11.84, VI, ff. 157, 158.

(172) Pazienza stabilì contatti con Calvi fin dalla primavera del 1981.

(173) Documento in VI, f. 116. Magrì udienza 25.6.85.

Operazione "campi di addestramento"
 
 
 
 

Magrì ha riferito che lo statunitense Michael Ledeen ricevette dal Sismi la somma di L. 300.000.000 come compenso per l'organizzazione di campi di addestramento alla controguerriglia in chiave anticomunista. Ledeen trattenne per sé tutta la somma di denaro, parte della quale era pretesa da Pazienza (174).

Le dichiarazioni di Magrì sono valorizzate dalla deposizione di Barberi, al quale il gen. Santovito comunicò che Ledeen era nei " libri-paga" del Sismi (175).
 
 
 
 

Operazione Bisaglia

II parlamentare veneto era stato oggetto di una campagna denigratoria sulla scorta di una lettera (peraltro non spedita) a firma Pecorella direttore di O.P., con la quale gli si chiedeva la prosecuzione dei finanziamenti in favore del periodico (176).

Magrì (177) ha riferito che Pazienza, di intesa con Santovito, fece scrivere da Settineri una lettera al "Giurì d'onore" per "scagionare" Bisaglia; Settineri quindi fu ascoltato dal "Giurì d'onore" (178) mentre il parlamentare venne reso edotto dell'iniziativa da Santovito e da Pazienza nel corso di un incontro sollecitato dal direttore del Sismi.

Bisaglia non aveva certamente necessità, per tutelare il suo onore, dell'intervento del Servizio, ma tale non richiesto intervento rientrava

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(174) Magrì 29.10.84, V. f.139; XII, f. 167, 168; udienza 25.6.85. Pazienza disse a Magrì di "essere stato fottuto" perché l'americano aveva preso i soldi e se ne era andato via. Un tentativo del "consulente esterno", per il tramite di Magrì, di ottenere la sua parte non ebbe successo.

(175) Barberi cit.;udienza 25.6.85.

(176) Cfr. numero 74 - 21.11.80 del notiziario "Agenzia Repubblica".

(177) Magrì 10.12.83, XII, ff. 168, 176; 29.10.84, V, ff. 139, 140; udienza 25.6.85. Cfr. pure test. Visigalli 8.12.83, XII, udienza 26.6.85, che provvide a recapitare l'elaborato; Dell'Amico 8.12.83, XII, f. 149, udienza 26.6.85: "Sempre su organizzazione di Pazienza... Settineri si attivò per testimoniare a favore del ministro Bisaglia".

(178) Sostanzialmente conforme, Settineri, 15.12.83, I, f. 123, udienza 25.6.85. Cfr. anche Visigalli cit., il quale assistette a un colloquio tra Magrì e Settineri il quale richiedeva di essere ricompensato; Albrizzi 17.1.84, II, f. 335, udienza 10.7.85, sul fatto che Pazienza e Settineri si interessarono di faccende riguardanti Toni Bisaglia.

nella "tecnica" di penetrazione e condizionamento usata dal gruppo di potere (179).
 
 

Operazione "II Borghese"

Magrì ha riferito che Pazienza lo informò che aveva consegnato al sen. Mario Tedeschi, per finanziare la rivista "II Borghese", la somma di L. 60 milioni, all'uopo versatagli dal Sismi (180).

Il predetto parlamentare e Nicola Patruno (181) hanno dichiarato di aver ricevuto un finanziamento per una somma grosso modo corrispondente a quella sopra indicata (L. 75 milioni), ma non da Pazienza, bensì dalle mani dell'on. Petrucci, ora deceduto.

Mentre va segnalata la circostanza che all'epoca l'on.. Petrucci era sottosegretario al Ministero della Difesa, le ammissioni del col. D'Eliseo permettono di meglio definire l'operazione, sempre alla luce dei compiti istituzionali del Servizio, che sono quelli della difesa, sul piano militare, dello Stato: vi fu una riunione, nella sede del Sismi, nel corso della quale Pazienza suggerì di acquistare la testata de "Il Borghése". La proposta, che comprendeva anche quella di gestire la rivista tramite un "uomo di paglia", fu respinta, essendo prevalsa la tesi "del finanziamento (una tantum) del giornale stesso; ciò avvenne per la cifra di circa sessanta milioni " ( 182).
 
 

REATI DI CUI AI CAPI G ED H. "OPERAZIONE TERRORE SUI TRENI".

La diacronica ricostruzione dei fatti, basata su prove documentali e testimoniali e sulle dichiarazioni degli stessi imputati fa emergere

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(179) D'Eliseo, interr. 17.6.85, udienza 17.6.85, p. 46: Pazienza gli disse che Bisaglia gli doveva molta riconoscenza perché lui lo aveva salvato dalle difficoltà nel periodo in cui era in forte attrito Con il parlamentare Pisanò.

(180) Magrì 29.10.84, V. f. 140; 10.12.83, XII, ff. 169, 170, udienza 25.6.85.

(181) Tedeschi 26.10.84. V. f. 62. Patruno V, f. 124, udienza. 8.7.85. Sui rapporti Pazienza-Tedeschi, cfr. bloc-notes telefonate Ascofin e test. Visigalli 16.12.83, II, f. 178; 28.10.84, V, f. 134, udienza 26.6.85.

(182) D'Eliseo 20.10.84, IV. f. 753; udienza 17.6.85, p. 36-39, 62. Cfr. anche Lugaresi, 2.7.85, pagine 82, 86, 87 che così ha risposto alla domanda se avesse saputo che nel corso di una "riunione ristretta" si parlò di acquistare una testata della rivista: "Magari lo avessi saputo..., perché almeno mi sarei reso conto, lo potevo solo intuire, questo, ... del perché il Borghese scriveva quegli articoli" contro la nuova gestione del Sismi.

una macchinazione sconvolgente che ha obiettivamente depistato le indagini sulla strage di Bologna.

Sgomenta che forze dell'apparato statale, sia pure deviate, abbiano potuto così agire, non solo in violazione della legge, ma con disprezzo della memoria di tante vittime innocenti, del dolore delle loro famiglie, e con il tradimento delle aspettative di tutti i cittadini che giustizia si facesse.

— 2 agosto 1980, Strage di Bologna.

— 28 agosto 1980. Emissione da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna di ordini di cattura nei confronti di Semerari, Signorelli, Calore e altri, sulla scorta di un rapporto dell'Ucigos.

— Nella prima settimana del settembre 1980 si verifìcò l'episodio di cui al capo A (incontro Santovito-Pazienza-Barberi. Era una vergogna elogiare il Sisde. Il Sismi aveva fatto di più, ecc.) con la rivelazione e la diffusione di notizie concernenti il terrorismo internazionale. Una decina di giorni dopo il sig, Licio Gelli, avvicinato dal Dott. Elio Cioppa, funzionario del Sisde, che era interessato a conoscere quale fosse "la sua idea" a proposito dell'eccidio, dichiarava che le indagini esperite dagli organi competenti erano errate in quanto, a suo parere, bisognava seguire una pista intemazionale (183). La coincidenza temporale e le assonanze di contenuto fra i fatti sopra ricordati evidenziate dal P.M. sono state considerate dalla difesa suggestive ma prive di valenza probatoria. Certo è che nel mese successivo ebbe inizio l'"offensiva" del Sismi di Santovito e Musumeci contro il "terrorismo intemazionale" in relazione alla strage di Bologna, e poco importa se fu sollecitata dai magistrati impegnati nell'istruttoria perché la richiesta di collaborazione per l'accertamento della verità non può giustificare una risposta che stravolga l'accertamento stesso.

— Nel mese successivo — si diceva —, il dott. Ugo Sisti, che aveva lasciato l'ufficio di procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per assumere la direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena, stabilì il contatto fra Musumeci e i magistrati dell'"Ufficio istruzione" bolognese (184).

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(183) Cioppa, 3.11.84, VII, ff. 105, 107; udienza 1.7.85.

(184) Sisti, udienza 10.7.85, p. 58 sgg. Si è visto a pag. 107 che fu sempre il dott. Sisti a rappresentare al Sisde che anche il Sismi intendeva "muoversi" per la liberazione dì Ciro Cirillo.

Quindi, nella sede del Sismi, iniziò per così dire l'elaborazione delle notizie relative alla strage, trasmesse poi all'"Ufficio istruzione" di Bologna. L'attenzione va richiamata sull'appunto "Alla fine del giugno 1980...", e sulle note di risposta ai "quesiti", alcuni dei quali formulati dal predetto Sisti (185).

Si parla in questi documenti di un'alleanza fra organizzazioni terroristiche italiane e straniere; della FA.N.E.; di Delle Chiaie, Bragaglia, Massagrande, Affatigato, Freda, Ventura ed altri; del progetto di due attentati, da compiere a Monaco di Baviera e a Bologna; della strategia da attuare consistente nel portare lo scompiglio nelle masse, colpendo indiscriminatamente, allo scopo di creare disordini, sollevamenti, scioperi, crisi di governo, ribellioni; del gruppo Hoffmann, di cui faceva parte "Rolich Horst di Heidelberg, Specialista in esplosivo, di anni 50 circa", giunto in Italia con altri per eseguire l'attentato a bordo di due camper; di un giovane francese di nome Philippe, appartenente alla F.A.N.E., saltato in aria nella sala-bagagli della stazione; di emissari italiani che consegnarono al gruppo straniero due valigie ognuna contenente due lattine con dentro esplosivo alla nitroglicerina; del confezionamento dell'esplosivo in un'unica valigia; di un errore tecnico nell'azionamento dei timers in conseguenza del quale anche "Philippe" era stato coinvolto nell'esplosione; del ritorno dei camper a Monaco ecc. Si escludeva sia il legame con i Nar sia la partecipazione alla strage di Semerari, Signorelli, Furlotti ecc.

— Il 29 novembre, alle ore 8.34, Pazienza raggiunse, con volo CAI, Brindisi. La "missione" fu di breve durata. Alle ore 12.46 il "consulente" ripartì per Roma (186).

— L'8 gennaio 1981 vi fu un'altra missione "Campo" a Brindisi, sempre con volo CAI, ma questa volta espletata da Musumeci e Belmonte (187).

— Il 9 gennaio 1981, nella saletta vip dell'aeroporto di Fiumicino, presenti il gen. Santovito e il dott. Pazienza, che erano appena ritornati da Parigi, il gen. Musumeci consegnò al col. Notarnicola un appunto. Esso conteneva la notizia dell'imminente attuazione di un piano eversivo, con attentati dinamitardi sui più importanti tronchi ferroviari, progettato da una "direzione strategica" costituita

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(185) Documenti in III, ff. 594, 605-612 (il dott. Sisti ha riferito che predispose alcuni "quesiti" da proporre alla "fonte". Vedansi anche dich. di Musumeci e Belmonte) e nel fascicolo prodotto in udienza dal P.M. ed acquisito agli atti.

(186) I, ff. 55, 56. A questo viaggio aereo, Pazienza non fa cenno nella memoria 22.10.84 "I famosi voli con gli aerei del Sismi", IX, ff. 3, 4.

(187) Rapporto Reparto Oper. cc. Roma 26.10.84, V, ff. 50 sgg.

da Freda e Ventura è portata avanti dall'organizzazione di Stefano Delle Chiaie, che si sarebbe avvalsa di "aderenti alla F.A.N.E. (anche tedeschi)". Gli ordigni sembrava che fossero già pronti in Italia e avrebbero dovuto "essere dati in consegna a un nucleo di terroristi (da quattro a sei elementi), tra cui un parigino a nome Philippe e un tedesco, tale Horst, nato a Heidelberg, di 40-45 anni ", la consegna degli ordigni sarebbe avvenuta a bordo di un treno. Si era forse in grado "di poter comunicare la data e il treno" sul quale sarebbero stati trasportati (188).

Balzano agli occhi le analogie di contenuto fra tale documento e quelli concernenti l'eccidio di Bologna, anche se Philippe viene fatto risuscitare e il tedesco di Heidelberg, ringiovanito, è menzionato con il solo cognome.

— Nel medesimo lasso di tempo, su indicazioni fornite da Pazienza che agiva d'accordo con Santovito, il dott. Pompò, dirigente del I Distretto di Polizia della Questura di Roma, redasse, facendosi aiutare dal "collaboratore estemo" del Sismi, due appunti (189).

Il primo riguardava un traffico di droga e di armi in Italia ad opera di una organizzazione con centrale a Berlino Ovest. Il capo assoluto era tale Sanzon, cittadino ebraico. Vi facevano parte libanesi e siriani. Le armi — russe, ceche e belghe —, importate dalla Bulgaria, erano destinate a terroristi italiani, francesi e spagnoli. Colui che dirigeva l'esportazione delle armi era "addirittura un ufficiate superiore dell'esercito bulgaro (sembra un generale) molto noto, di nome Stimiloff".

II secondo "appunto" trattava di una organizzazione, con sede a Monaco di Baviera, "composta da italo-tedeschi e con collegamenti con le Brigate Rosse", la quale aveva eliminato, "durante le decorse feste natalizie", un certo Renato. L'esecutore materiale dell'omicidio era tale "Eros", padovano, brigatista rosso, che faceva la spola tra Monaco e Padova.

Con nota datata 26.1.1981 il Questore di Roma, cui Pompò aveva consegnato, "fuori protocollo", le due "segnalazioni", le trasmetteva all'Ucigos, comunicando che le stesse gli erano "pervenute da fonte qualificata ed attendibile".

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(188) Documento in fascicolo XV, ff. 5, 6.Test. Notarnicola 10.11.84, udienza 2.7.85. Ad attendere l'arrivo del direttore, vi erano anche il gen. Mei e il col. D'Eliseo.

(189) Pompò, cit. alle pagine 21-22. Documenti in VII. ff. 70 sgg. Un esemplare dell'appunto sulla centrale di trafficanti di droga e di armi, recante la data 18.1.81, come già accennato, è stato rinvenuto tra gli atti del soppresso Ufficio controllo e sicurezza: III; f. 634.

Si è avuto modo di rilevare il singolare circuito delle predette informative, che, nate in casa Sismi, giunsero da altro ufficio statale agli organi centrali di Polizia, rimbalzando sui Servizi, e si è osservato che l'anomalia ha un senso solo se riferita all'interesse dello "staff" di Santovito di non risultare quale assuntore di esse o manipolatore della "fonte".

Mala comune origine di queste e delle altre notizie sopra riportate e la loro concomitanza permettono di precisare meglio l'accennato interesse, che non era quello, generico ma già sospetto, di "non apparire", bensì quello, specifico, attraverso segnalazioni provenienti da più parti del pericoloso attivismo in Italia di organizzazioni eversive internazionali, di rafforzare l'attendibilità delle "informative" del Sismi circa la strage del 2 agosto e l'operazione "terrore sui treni ".

— Intanto, le "notizie" riguardanti il trasporto degli ordigni furono trasmesse al Comando generale dell'Arma dei Carabinieri e all'Ucigos, con l'avvertenza che la fonte, sollecitata a fornire concreti elementi, aveva lasciato intendere di poter indicare, "con breve margine di tempo, località e mezzi per la consegna e distribuzione dell'esplosivo" (190).

— Il giorno successivo, 11 gennaio, gli stessi uffici vennero allertati dal Sismi: "secondo ulteriori notizie fornite dalla fonte" l'esplosivo sarebbe stato consegnato a due francesi - uno dei quali a nome Philippe - a bordo di un treno in transito per una delle seguenti località: Bologna, Forlì, Ancona. La stessa fonte si riservava di fornire precisazioni, con margine di tempo di una o due ore, sul treno e sulla posizione del vagone, che sarebbe stato indicato a partire dalla testa del convoglio ferroviario. Era presumibile che a bordo dei vagoni precedenti e seguenti si trovassero nuclei composti da una o due persone con incarico di vigilanza o di ridistribuzione dell'esplosivo (191).

— Con fono del 12 gennaio, trasmesso al Comando generale dell'Arma dei Carabinieri alle ore 20.35 e all'Ucigos alle ore 20.45, che fa seguito a una telefonata dell'ufficiale che "manipolava" la fonte, il Sismi riferì che la consegna degli esplosivi — secondo la predetta
 
 
 
 

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(190) Documento 10.1.81, f. 20, fasc. XV.

(191) Documento 11.1.81, f. 21, XV.
 
 

fonte — sarebbe avvenuta la notte sul 13 in Ancona a bordo di un treno. Il materiale era trasportato da "tali Legrand Raphael, altezza 1.75-1.80, corporatura molto prestante, capelli castani, colorito roseo, e Di Mitris Martin, con leggera calvizie frontale)". I corrieri, dopo la consegna, sarebbero rientrati in Francia in aereo, da scalo non noto (192).

— Alle ore 2.55 del 13 gennaio perveniva una telefonata al SISMI, riassunta dall'addetto alla ricezione in tal modo: "Telefona sig... dicendo che consegna avverrà in Ancona su treno n. 514 verso le ore 5.30 (193). Avrebbero una valigia scura con delle fibbie nuove. Salirebbero sul vagone di 2 a classe che sta subito dopo quelli di 1 a classe. Il soggetto ha aggiunto che si trovava per strada ed era diretto a Roma".

Anche di questa segnalazione furono resi edotti il Comando dei Carabinieri e l'Ucigos (194).

—Ad Ancona, i funzionari della Questura e gli ufficiali dell'Arma, già allertati, ritennero, interpellata la Polfer, che il "vagone di 2 a classe che sta subito dopo quelli di 1 a classe " corrispondesse alla 12a, o alla 13 a a o alla 14 a unità del convoglio ferroviario (195).

Non poteva non apparire loro evidente che per l'abbondanza dei dettagli la "fonte" doveva essere uno dei complici del trasporto (196).

L'operazione di polizia scattava nella stazione di Ancona, dove il treno giungeva alle ore 6.10, con circa 50 minuti di ritardo. Militari dell'Arma e personale della Questura "circondavano riservatamente le vetture 12,13 e 14, allo scopo di sorprendere le persone segnalate" e controllavano con esito negativo i bagagli, "per cui il dispositivo di servizio veniva disattivato e il treno fatto proseguire per il nord" (197).

Il mancato ritrovamento — come fin d'ora è agevole comprendere

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(192) Documenti 12.1.81, f. 24, 25, XV; v. anche ff. 22, 23 stesso fascicolo.

(193) Gli orari di percorso del treno (tra parentesi l'orario effettivo): Bari 22.38 (23.07), Foggia 1.16 (l.45); Pescara 3.44 (4.20); Ancona 5.24 (6.04 ovvero 6.10); Bologna 7.47 (9.26). Cfr. f. 60, XI.

(194) Documento in XV, f. 26. Chi telefonava, come si vedrà, era il col. Belmonte.

(195) Test. ten. col. Oscar Scaffidi, VIII, ff. 82, 88. Cfr. anche test. questore Idillio Cilfone VIII, ff. 79, 80: si apprese in seguito "che al treno venivano aggiunte tre vetture, provenienti da Taranto", agganciate in testa anziché in coda.

(196) Test. Scaffidi cit.

(197) rapporto Digos Ancona 13.1.1981, ff. 61 sgg., fasc. VII.
 
 

— era un fatto soprendente, sicché ulteriori servizi furono attuati allo scalo di Bologna, dove finalmente si sequestrò la valigia, posta nell'ultimo compartimento di una vettura di 2 a classe del treno n. 514, terza della serie, dopo il locomotore.

Nel rapporto datato 7 febbraio 1981, la Digos di Bologna riepiloga le attività svolte dalla polizia giudiziaria e l'esito delle stesse (198).

La valigia conteneva:

— un mitra MAB, con numero di matricola abraso e calcio rifatto artigianalmente; due caricatori, di cui uno con 20 cartucce cal. 9 lungo;

— un fucile automatico da caccia cal. 12 con canna segata e numeri di matricola e marca limati, caricato con 4 cartucce; in un involucro separato, altre 6 cartucce del medesimo tipo;

— 8 lattine per generi alimentari, riempite ciascuna con 6/7 etti di sostanze esplosive, innescate con capsule detonanti in alluminio e micce a lenta combustione;

— 2 passamontagna di lana colore bleu;

— 2 paia di guanti di gomma tipo casalingo;

— una coperta di lana "double face";

— una copia del quotidiano "France Soir" datata 10.1.81 e una copia del quotidiano "Le Figaro Magazine" datata 10/11 gennaio 1981;

— una copia del quotidiano "Frankfurter Allegemeine" e una copia del quotidiano " Die Zcit", entrambi con supplemento settimanale, datate 9 gennaio;

—2 biglietti aerei Alitalia, il primo intestato a Dimitrief Martin valido per il volo Milano-Monaco delle ore 20 del 13 gennaio, il secondo intestato a Legrand Raphael, valido per il volo Milano-Parigi delle ore 18.15 del 13 gennaio, entrambi rilasciati il giorno precedente dall'agenzia "Morfini" di Bari.

Verso le ore 17,40 del 14 gennaio — si legge nel rapporto — era pervenuta alla redazione del quotidiano milanese "II Giornale Nuovo" una telefonata anonima: "siamo i N.A.R., guardate che non scherziamo. La valigia ritrovata sul treno doveva servire a far saltare la stazione centrale di Milano. Guardate che non scherziamo e ci riproveremo". Mancavano però elementi di certezza sull'attendibilità della "rivendicazione" perché il fatto era stato ampiamente pubblicizzato dalla stampa( 199).

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(198) VII, ff. 10 sgg.

(199) Cfr. anche documenti in XV, f. 48, 57.

A nessun risultato avevano portato le indagini sulla provenienza del fucile; sui barattoli di conserve alimentari e sui posti di vendita dei giornali stranieri, condotte al fine di identificare gli eventuali acquirenti.

I biglietti aerei erano stati venduti a Bari dall'agenzia "A. Morfini & fìgli" verso le ore 11 del 12 gennaio a " un giovane dall'apparente età di anni 25, altezza mt. 1.72/1.73, corporatura snella, capelli scuri, colorito bruno, senza occhiali, privo di barba e baffi, con cadenza presumibilmente barese, il quale aveva chiesto di effettuare una prenotazione per i voli Linate-Monaco e Linate-Parigi" rispettivamente ai nomi di Dimitrief Martin e Legrand Raphael, esibendo un appunto sul quale erano riportati i nominativi suddetti e gli orari di viaggio ", Le menzionate persone pur risultando prenotate nel giorno e negli orari di cui ai biglietti, non si erano presentate all'atto dell'imbarco. Del pari, tale Legrand Ph., prenotato sul volo AZ/327 Parigi-Linate del 14 gennaio, non risultava sbarcato all'arrivo del velivolo. Era emerso che un certo Legrand Philippe, architetto, aveva alloggiato a Milano, presso alberghi, il 22.5.1979 e il 5.2.1980 e che il medesimo, unitamente a un certo Granier Jean, era ritornato in Italia il 23 gennaio.

Suma Carlo aveva riferito alla Polizia di aver viaggiato sul treno n. 514 e che secondo ini la valigia in questione era quella che fu sistemata sulla reticella porta-bagali del vagone "agganciato" al convoglio nella stazione di Taranto e che "apparteneva a un giovane, dall'età apparente di anni 18/20, altezza mt. 1.60 circa, corporatura esile, capelli scuri riccioluti, con cadenza dialettale napoletana, indossante un impermeabile beige, pantaloni marroni ed un copricapo tipo coppola".

— Nel frattempo, la struttura del Sismi che si era interessata alla vicenda non riteneva esaurito il suo compito e, per saggiare la veridicità delle informative", poneva alla fonte alcuni quesiti ed assumeva altre "notizie" (200).

La risposta non si faceva attendere, grazie alla disponibiità della fonte stessa, ancora viva e vitale e non espatriata all'estero: ad acquistare i biglietti di aereo a Bari sarebbe stato Giorgio Vale, il cui compito era quello di mantenere i contatti tra "Terza Posizione" e il
 
 

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(200) Documenti 21.1.81 e 7.2.81, ff. 82 sgg. XV. Vedasi anche f. 110 stesso fascicolo.
 
 
 
 

gruppo tedesco "Hoffman". Vale aveva contatti con terroristi altoatesini, e per l'operazione "Terrore sui treni" aveva appositamente affittato un appartamento ad Imperia in via Risso o Rizzo n. 11. Dopo l'esecuzione degli attentati, avrebbe dovuto procedere alla seconda fase del piano, consistente nel mettere in atto il ricatto allo Stato. Al quesito "È possibile che l'ordigno fatto esplodere a Bologna il 2.8.1980 sia stato confezionato dalle stesse persone?" si rispondeva: "Non si sono potute avere notizie nel senso richiesto. L'opinione della fonte è comunque alternativa, anche se del tutto personale" (201).

Il predetto Vale veniva inoltre indicato nell'"appunto" 13.4.81 (202) come persona che avrebbe commissionato un grosso quantitativo di esplosivo per l'esecuzione di attentati che avrebbero dovuto essere perpetrati da terroristi che stavano per giungere dalla Germania bordo dei soliti camper (203).

— Il gen. Santovito con nota del 24 febbraio 1981 (204) trasmessa alla Procura della Repubblica di Bologna, così puntualizzava la situazione:

"1. Già alla fine della prima decade di gennaio 1981, da notizie fiduciariamente acquisite, questo Sismi era venuto a conoscenza di un imminente presunto piano eversivo che si sarebbe estrinsecato in due fasi:

— nella prima, si sarebbero dovuti verifìcare attentati (a scopi dimostrativi) in corrispondenza dei più importanti tronchi ferroviari;

— nella seconda, i terroristi avrebbero avanzato richieste ricattatorie alle Autorità sotto minaccia di far esplodere un consistente ordigno (circa 10-15 kg. di esplosivo) precedentemente collocato in corrispondenza di importante obiettivo. Il piano stesso veniva attribuito a gruppi terroristici di destra domposti da:

— italiani, tra i quali alcuni detenuti ed altri latitanti (FREDA - VENTURA - DELLE CHIAIE);

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(201) Documento 7.2.81, f. 83, XV.

(202) Documento in XV; ff. 114 (nota 24.4.81 di trasmissione dell'appunto da parte del direttore del Servizio gen. Santovito), 115 (appunto). Cfr. inoltre rapporto Questura Bologna 2.2.85 p.23 (prodotto dal P.M. e di cui è stata data lettura).

(203) Va ricordato che anche l'informativa sulla strage di Bologna accennava all'utilizzazione di camper da parte del gruppo Hoffmann, rientrato in Germania, dopo l'eccidio, a bordo degli stessi automezzi.

(204) VII. ff. 55-57. XVI, ff. 106-108.

— francesi della F.A.N.E., tra cui un parigino a nome PHILIPPE;

— tedeschi, tra cui tale HORST, nato a Haidelberg, di anni 40-50,

L'esplosivo, già disponibile in Italia, sarebbe stato trasportato da un gruppo di 4-6 persone e consegnato ai nuclei operativi a bordo di un treno.

Di quanto sopra veniva dato preavviso all'UCIGOS e al Comando Generale Arma Carabinieri in data 10.1.1981.

2. Successivamente, in ristretti limiti di tempo, si riusciva ad apprendere che l'esplosivo avrebbe dovuto essere consegnato sul treno 514 in transito per Ancona a due cittadini francesi (tra cui il citato PHILIPPE) ad opera di tali LEGRAND Raphael e DIMITRIS Martin i quali, a consegna avvenuta, sarebbero rientrati in Francia in aereo da scalo non noto.

Detti corrieri avrebbero fatto uso di una valigia color scuro con fìbbie nuove e sarebbero saliti sul primo vagone di 2 a classe. Tali notizie, con la stessa sequenza con la quale venivano ricevute, venivano tempestivamente comunicate all'UCIGOS e al Comando Generale Arma dei Carabinieri.

3. A seguito del rinvenimento dell'esplosivo ad opera della Questura di Bologna ed in riferimento alla richiesta di codesta A.G. si è dato avvio ad un'ampia attività di ricerca all'intemo ed all'estero da cui si sono potuti trarre i seguenti ulteriori elementi:

a. i biglietti aerei sarebbero stati acquistati a Bari da Vale Giorgio indicato come la persona che:

— avrebbe il compito di mantenere i contatti fra TERZA POSIZIONE - F.A.N.E. ed il gruppo tedesco HOFFMANN;

— avrebbe dovuto procedere alla seconda parte dell'operazione consistente in un imprecisato ricatto alle Autorità sotto minaccia di far esplodere un potente ordigno esplosivo precedentemente collocato presso importante obiettivo;

— manterrebbe contatti con terroristi altoatesini e per l'operazione denominata "TERRORE SUI TRENI " avrebbe appositamente affittato un appartamento ad Imperia via Risso (aut Rizzo) 11 da utilizzare come base;

— la valigia sarebbe stata predisposta solo per il trasporto e non ci sarebbe potuta essere esplosione senza l'accensione della miccia;

--- il corriere avrebbe consegnato la valigia a Pescara;

— i due stranieri, indicati come DIMITRIS e LEGRAND avrebbero dovuto ritirare due biglietti aerei e due armi automatiche (richiesti in precedenza) in Ancona per poi ricarsi a Milano, mentre gli altri avrebbero proseguito il viaggio alla volta di Bologna. Sembra opportuno evidenziare che la stampa dell'8.2.1981 riporta il nome di VALE Giorgio — finora non noto — fra le persone che sarebbero implicate nell'omicidio dei due militari dell'Arma a Padova.

b. In ordine ai segnalati stranieri HORST, PHILIPPE, LEGRAND Raphael e DIMITRIS (aut. Dimitrief Martin sono stati estesi accertamenti anche all'estero ma finora sono soltanto emersi casi di parziale omonimia (solo cognome oppure solo nome) senza alcun elemento significativo per una possibile identificazione con i suddetti.

c. Non sono pervenute segnalazioni in merito "alla presenza di terroristi nel periodo e sito che interessa". Anche le suddette notizie sono state portate a conoscenza dell'UCIGOS e del Comando Generale Arma Carabinieri ".

—Il gen. Santovito si avvalse, nella gestione della "operazione terrore sui treni", della preziosa e indispensabile attività del gen. Musumeci e del ten. col. Belmonte.

— Musumeci, in istruttoria, ha esercitato la facoltà di non rispondere in relazione sia all'intera vicenda sia al compenso di L. 300.000.000 che, secondo una delle tante versioni fornite dal coimputato, sarebbe stato corrisposto alla "fonte", limitandosi ad affermare che l'utilizzazione della somma di circa un miliardo di lire, assegnata nel periodo ottobre 1980 -giugno 1981 all'ufficio da lui diretto, era correlata ad operazioni che riguardavano Bologna, soggiungendo: "ci sono 6 mesi di lavoro dei giudici di Bologna che sono venuti a Roma" (205).

— Belmonte ha fornito invece le seguenti versioni:

— la fonte, che conosceva da quando egli comandava il gruppo

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(205) Interr. 22.10.84, IV, f. 793; 16.8.84, III, ff. 521 sgg.

dei Carabinieri di Taranto, telefonicamente gli fornì le notizie sul trasporto dell'esplosivo, sulla F.A.N.E., su Freda, Ventura, Delle Chiaie, Vale, ecc., sull'appartamento d'Imperia, sul "gruppo Hoffmann", spiegandogli che le informazioni gli erano state date da uno straniero, forse francese;

— era stato stabilito che, allorché fosse pervenuta la notizia circa il luogo ove sarebbe dovuta avvenire la consegna del materiale, egli, insieme con un funzionario della I Divisione, avrebbe raggiunto la "zona operativa". Ma il col. Notamicola, dirigente di detta divisione, aveva ordinato che nessuno doveva accompagnarlo. Pertanto, nei giorni dal 9 al 13 gennaio 1981 non si era mosso da Roma, e di questa circostanza era "assolutamente sicuro";

— la fonte non aveva ricevuto alcun compenso nè lo aveva preteso;

— la fonte era stata uccisa in un conflitto a fuoco (206);

— la fonte era tale Poppino Monna;

— se prima aveva affermato che la fonte era stata uccisa, era stato "per cautelare la fonte stessa" (207).

— Monna — che era effettivamente deceduto —, gli aveva trasmesso anche le informazioni sulla strage di Bologna. A riguardo, su sollecitazioni e disposizioni del gen. Musumeci, al quale peraltro aveva fatto presente che le notizie erano state valutate come inattendibili dalla I Divisione, egli telefonicamente aveva interpellato la fonte sui quesiti formulati con la collaborazione del dott. Sisti, ricevendo le risposte comunicate al giudice istruttore di Bologna;

— aveva consegnato a Monna, a più riprese, la somma complessiva di un milione e mezzo di lire (208);

— non aveva detenuto o trasferito armi ed esplosivo od ordinato ad altri, od invitato altri ad effettuare un trasporto di armi ed esplosivo;

— era falso quanto affermato dal col. Notamicola, secondo cui

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(206) Interr. 22.10.84, IV, f. 793; 16.8.84, III, ff.521 sgg.

(207) III, f. 526. Il dubbio di Belmonte circa il decesso di Monna ingeneratogli dal P.M. spiega la frase sopra riportata; l'imputato telefonò a Sanapo, ricevendone conferma. In quell'occasione, Belmonte disse al maresciallo che "aveva chiarito tutto" al giudice: cfr. IV, f. 812.

(208) Interr. 16.8.84, III, ff. 521 sgg.; 22.10.84, IV, f. 794.

gli avrebbe detto che stava per recarsi a San Severo: in quel periodo di tempo non si era mai mosso dalla zona di Roma;

— alla contestazione che da prova documentale risultava che all'uopo il Sismi gli aveva messo a disposizione una Fiat Ritmo, dichiarava che in realtà si era recato a San Severo per incontrare la fonte e che prima aveva mentito perché sapeva che "sarebbe successo tutto questo";

— affermava poi che non era andato a San Severo ma a Vieste (209), e che il precedente suo comportamento era inteso a proteggere il maresciallo Francesco Sanapo, suo ex-sottoposto, il quale era la vera fonte. Su ordine di Musumeci, aveva raggiunto Vieste verso le ore 19 del 12 gennaio. Si era intrattenuto nell'abitazione di Sanapo. Verso le ore 3 era pervenuta la "comunicazione" da parte del confidente. Aveva allora telefonicamente avvertito il Sismi; si era recato in albergo, ripartendo per Roma dopo un paio di ore (210);

— alla contestazione che non vi era motivo di "cautelare" il maresciallo, il quale, essendo ufficiale di polizia giudiziaria, poteva tenere segreto il nome del confidente, rispondeva che non è che non ci avesse pensato, ma che voleva "coprire il maresciallo Sanapo e basta" (211);

— aveva attribtiito la falsa qualifica di confidente a Monna quando apprese da Sanapo che lo stesso era morto;

era stato il sottufficiale a fornigli le notizie sulla strage di Bologna è sul trasporto dell'esplosivo;

— tutti i riferimenti alla fonte, internazionale o straniera — precisava — erano stati da lui Belmonte inventati per rendere più verosimile 1'origine delle confidenze;

— Musumeci nulla sapeva di Sanapo (212).

— Il maresciallo Francesco Sanapo, nell'esame testimoniale del 24 ottobre 1984 (213), dopo aver affermato che la fonte era Giuseppe Monna; che si era incontrato a Brindisi con Musumeci e Belmonte

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(209) Interr. 22.10.84. IV, f. 794.

(210) Interr. 1.11.84, VI, f. 164.

(211) Interr. 22.10.84, IV, f. 795.

(212) Interr. 22.10.84, IV, f. 795.

(213) Sanapo 24.10.84, IV, ff. 807 sgg.; 1.11.84, VI, f. 149, V, f. 14.

che egli aveva fatto da intermediario tra Belmonte e la fonte, ricompensata con la somma di L. 300.000.000; che Monna nel dicembre 1980 gli aveva recapitato tre fogli dattiloscritti, da lui "girati" al tenente colonnello, dove vi era scritto che la strage di Bologna, organizzata da Delle Chiaie, era stata eseguita da un gruppo di tedeschi (il gruppo Hoffmann) giunti in Italia a bordo di due camper ecc., ritrattava tali dichiarazioni, e riferiva di averle rese su suggerimento dell'ufficiale superiore, già suo comandante di reparto.

Ripugnava però alla sua coscienza di carabiniere mentire. Invero, Belmonte, che era andato a trovarlo nell'estate del 1981, lo aveva indotto a sostenere l'inventata tesi di un rapporto a tre fra Belmonte stesso, lui e un confidente.

Sanapo, esame 1.11.1984: "... Belmonte mi disse:... io non mi sono iscritto alla loggia (P2) anche se Musumeci mi aveva chiesto di farlo e pertanto sono rimasto al Sismi e in pratica sostituivo il Musumeci, essendo vice-comandante dell'ufficio... Ti debbo chiedere un favore. Musumeci ha mandato un rapporto ai giudici di Bologna sui presunti autori della strage di Bologna. Questo rapporto non è stato fatto bene; però Musumeci ha caricato su di me dicendo che le notizie e il rapporto erano miei. Adesso mi sono assunto la paternità delle notizie che sono nel rapporto. Dovremmo trovare una fonte alla quale attribuire le notizie che io ho dato...In ogni caso, fallo per me... " (214).

Successivamente, nel dicembre 1981, Sanapo informò Belmonte di aver "trovato" una persona adatta a fungere da fonte, e gli fece il nome di Giuseppe Monna, pregiudicato tarantino assassinato nel maggio/giugno 1981 (215).

"Il Belmonte mi chiese qualche indicazione sul personaggio defunto — in relazione all'aspetto fisico e ai suoi precedenti —, ed io gli spiegai quanto sapevo aggiungendo che egli avrebbe potuto dire di aver conosciuto il Monna durante il suo periodo di comando a Taranto (gli spiegai infatti che il Monna era un pregiudicato tarantino). Invitai comunque il Belmonte a vedersela da solo perché non me la sentivo a raccontare — se fossi stato chiamato — una storia così macchinosa.

Il Belmonte mi disse: "Non ti preoccupare, ormai me la vedrò io,

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(214) In VI, ff. 149, 150.

(215) Sanapo 1.11.84, VI, f. 151.
 
 

dimentica quello che ti ho detto (me lo ripetè due volte), perché dietro quella persona ci sono persone molto in alto". Per il contenuto delle nostre conversazioni, risultava evidente che "quella persona" non poteva non essere altri che Musumeci".

—Belmonte a sua volta affermava (216):

— che era falsa la circostanza del versamento di lire un milione e mezzo in favore di Monna. Egli aveva informato Musumeci del contenuto della sua deposizione nel corso della quale aveva attribuito a Monna quale compenso una somma corrispondente a quella del rimborso delle spese da lui sostenute;

— che la fonte aveva chiesto L. 300.000.000 ma nulla le era stato dato perché l'operazione non era andata in porto;

— che anzi, il Sismi aveva pagato un premio di L. 300 milioni. Egli stesso si era recato a Brindisi con un aereo della CAI consegnando la busta, contente il denaro procurato da Musumeci, a Sanapo.

Dopo aver preso atto delle dichiarazioni del sottufficiale, Belmonte ribadiva l'ultima versone dei fatti, che manteneva senza convinzione anche in sede di confronto, pronunciando significative frasi, le quali dimostrano la sua ostinazione a "coprire" le responsabilità dei compiici:

"Sanapo:... Ma perché non diciamo la verità? Stiamo per rovinare i cristiani? Se sei succube di quello, liberatene".

"Belmonte: il problema è che addebitano a me il trasporto e rimango solo io! ".

..."Sanapo: ma a chi li avremmo dovuto consegnare i soldi, se non c'era nessun confidente?".

"Belmonte: sono rimasto solo io, appeso al muro. Si doveva presentare quello della I Divisione, che non hanno nè nominato nè designato. Lui avrebbe dovuto prendere contatto con la fonte". (217).

Con quest'ultima frase, in particolare, l'imputato smentisce ancora una volta sè stesso parlando del previsto ma non realizzato contatto tra altro funzionario del Sismi e il "confidente" — persona diversa da Sanapo —, quando prima aveva invece affermato che il rapporto fiduciario intercorreva esclusivamente tra lui e il maresciallo dei Carabinieri.

(216) Interr. 24.10.84, IV, ff. 805 sgg.; 1.11.84, VI, ff. 162 sg.

(217) Verbale e confronto 24.10.84, IV, f. 814.

L'ennesima menzogna, resa da un individuo che era sul punto di confessare ma cercava disperatamente un appiglio cui sostenersi, non ha carattere di estemporaneità perché si ricollega a un documento datato 8.4.1982, il quale conferma quanto Belmonte ebbe a dire a Sanapo nell'incontro romano nel dicembre 1981, e cioè che, essendo stata trovata la "fonte" (Monna, deceduto pochi mesi prima), comodissima perché non poteva smentire, egli "se la sarebbe vista da solo".

Il documento consiste in una nota scritta da un funzionario del Servizio sotto dettatura di Belmonte: "L'intermediario è Monna Beppino, tarantino, pregiudicato, ucciso in un regolamento di conti nell'estate 1981 nella zona di Taranto. Delinquiva nel traffico della droga..." (218).

Ed ancora, Belmonte dichiarava di non essersi recato a Brindisi in quei giorni, e comunque che non ci era andato insieme con Musumeci.

Alla contestazione che da un rapporto dei Carabinieri risultava che con volo CAI aveva raggiunto Brindisi 1'8 gennaio 1981 partendo da Ciampino alle ore 16.23 e facendo ritorno alle ore 19.32, affermava di non ricordare e che l'unica possibilità era che avesse avuto un colloquio con Sanapo prima di stendere l'informativa relativa alla "operazione terrore sui treni". In ogni caso non aveva raggiunto Brindisi con il suo superiore. Se ciò fosse avvenuto se lo sarebbe ricordato.

Alla contestazione che dal suddetto rapporto risultava che sullo stesso aereo, da Roma a Brindisi e ritomo, aveva viaggiato Musumeci, escludeva il fatto "nel modo più categorico". Ci doveva essere un errore. "Tra l'altro il Musumeci non aveva nessuna ragione per andare a Brindisi in relazione all'operazione dell'esplosivo" (219).

È opportuno qui rammentare che Sanapo secondo la versione concordata a suo tempo con Belmonte, riferì inizialmente al Magistrato di essersi incontrato a Brindisi con il predetto Belmonte e Musumeci.
 
 

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(218) XV, f. 160. Nell'appunto 12.6.84, che si richiama alla nota manoscritta, si ribadisce che il confidente era rimasto non identificato e che l'intermediario era deceduto (stesso fascicolo, f. 159).

(219) Interr. 1.11.84, VI, ff. 165,166.

Perché allora Belmonte ha così ostinatamente negato il fatto del viaggio a Brindisi con il suo superiore, fatto che pure era documentalmente provato (220)?

Per più ordini di motivi:

Perché l'invenzione del confidente o meglio dell'intermediario della fonte deceduto, consacrata ormai in atti del Sismi, mettieva "fuori causa" Sanapo e la storia che avrebbe dovuto raccontare, tanto più che allo stesso l'imputato aveva dato assicurazione che non avrebbe chiesto il suo aiuto (a conferma, si legga il verbale del 16.8.84, III, ff. 521 sgg. dove non si fa alcun accenno a Sanapo);

perché la missione di Musumeci e Belmonte a Brindisi era preordinata alla messa a punto dell'operazione terroristica, ed era bene non parlarne affatto;

perché era necessario tenere fuori della vicenda Musumeci.

Ed ancora, Belmonte, contraddicendo quanto aveva precedentemente affermato circa il pagamento del premio di L. 300 milioni, affermava nel corso dell'ultimo interrogatorio raccolto dal P.M. che non gli risultava che fosse "mai stato stanziato alcunché per l'azione informativa della valigia sul treno Taranto-Milano" (221).

— Infine, a proposito della "verità assoluta" che, secondo i difensori, sarebbe contenuta nelle pagine iniziali del primo verbale di esame testimoniale di Sanapo (222), va rilevato che li fantomatico confidente, che avrebbe ricevuto il premio il giorno dopo l'asserita consegna da parte di Belmonte a Sanapo del denaro, non fornì più alcuna notizia sull'"operazione", e non si fece più sentire dalla metà di febbraio, mentre la "risposta ai quesiti" reca la data 7.2.81 e l'appunto su Vale e la imminente esecuzione di attentati ad opera di terroristi, che sarebbero giunti dalla Germania a bordo di camper, quella del 14.4.81.

In sede dibattimentale, Musumeci ha affermato che Sanapo era

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(220) Cfr. elenco voli CAI, V, ff. 50 sgg.; documentazioni voli CAI di Musumeci e Belmonte Ciampino - Brindisi e ritomo (16.23 - 17.22; 18.46 - 19.38). VII, ff, 122 sgg.; rapporto Oper. CC. Roma 10.11.84, IX, ff. 18 sgg.; v. dich. pilota Sergio Pavan, IX, f. 111. Belmonte raggiunse Brindisi con aereo CAI anche il 22.1.81 (h. 8.46 - 9.39; 10.26 - 11.07).

(221) Interr. 21.11.84, XI, f. 306.

(222) Esame 24.10.84, IV, ff. 807 - 811.

la " fonte ", da lui stesso incontrata in due occasioni, una volta a Roma e un'altra volta a Brindisi 1'8 gennaio 1981 — come appresso si dirà —; che il gen. Santovito era a conoscenza del ruolo che svolgeva il sottufficiale, iscritto nei libri-paga del Sismi, al quale furono consegnate per le notizie sulla strage del 2 agosto la somma complessiva di L. 10.000.000 e per l'operazione "Terrore sui treni", in unica soluzione, la somma di L. 300.000.000 (223).

Belmonte si è subito allineato, ammettendo il viaggio a Brindisi con Musumeci e sostenendo che Sanapo riceveva compensi mensili dal Sismi e che per le notizie sulla strage e sul trasporto dell'esplosivo era stata versata al predetto denaro nella misura con le modalità indicate dal suo superiore (224).

Il maresciallo Sanapo, nel confermare quanto dichiarato in istruttoria, ha categoricamente negato di essere un elemento "acquisito" al Sismi, di aver fornito notizie sulla strage di Bologna e sul trasporto dell'esplosivo e in particolare ha affermato che:

— rifiutò la proposta di Belmonte di passare al Sismi;

— sollecitato dall'imputato, gli inviò, per il tramite del maresciallo Ceci, informazioni su un traffico di auto rubate e di droga, ricevendo L. 250 mila come rimborso spese;

— Belmonte lo informò che al Servizio non interessavano notizie di quel genere, ma che a lui interessava sapere che in un determinato posto vi era un amico cui potesse rivolgersi in qualsiasi momento, Essi "avevano" una rete informativa spionistica in Italia e all'estero, ed erano guidati da un "grosso personaggio". Gli avrebbe mandato qualche volta il maresciallo Ceci per ritirare cestini di pesce o formaggi da regalare e consegnargli il denaro;

— ricevette somme'di L. 200/250 mila, complessivamente L. 3 milioni circa, spendendo per le "regalie" circa un milione di lire (225);

— firmò una ventina di ricevute con il nome di "Antonio", su invito

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(223) Musumeci, 18.6.85, p. 40, 68.

(224) Belmonte, 24.6.85, p. 10, 56. II "contatto" retribuito con Sanapo sarebbe iniziato nel luglio 1980; 200/350 mila lire mensili come rimborso - spese, più 3 milioni per la fonte.

(225) Ceci Carlo, 3.7.85: ricorda di aver ricevuto da Sanapo una busta - contenente formaggi e in un'altra occasione un "cestino pugliese".

di Belmonte, che gli aveva detto che doveva regolarizzare una pratica amministrativa;

— le visite del colonnello, che in qualche occasione ritirò lui stesso i generi alimentari (226), dal dicembre 1980 si fecero più frequenti (gli diceva che andava a Taranto o a Pescara, o che ritornava da quelle città) per poi interrompersi dopo lo scandalo della P2;

— Belmonte nella prima decade del luglio 1981, dopo avergli preannunciato telefonicamente la visita, si recò da lui, a Vieste. In questa occasione gli fece il discorso sopra riportato sulla necessità di "inventare" una fonte. Quella vera non poteva essere scoperta "perché era una fonte di Stato ", facendogli capire che essa si identificava con il grosso personaggio che guidava la rete spionistica;

— non era stato a Brindisi né 1'8 né il 22 gennaio 1981 (227).

—Belmonte non si era recato a Vieste il 12/13 gennaio 1981, né poteva telefonare dal suo alloggio perché la derivazione telefonica o meglio citofonica ivi installata non consentiva di chiamare la linea esterna (228);

— aveva venduto nel 1978 monili d'oro per un notevole quantitativo a Caruso Antonino, orafo a Taranto, presso il cui negozio li aveva acquistati nel corso degli anni precedenti come investimento economico (229).

Il P.M. ha sostenuto l'attendibilità di Sanapo.

L'iniziale e poi ritrattato adattamento alla versione concordata con Belmonte riguardante l'incontro brindisino a tre, le informative, il presunto confidente, la ricompensa pagata, trova causa nelle

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(226) Cfr. Belmonte 11.1.84, VI, f. 163; "due - tre volte ho ricevuto un po' di pesce... ".

(227) Cfr. nota CC. Roma 27.10.84 sui congedi o permessi usufruiti da Sanapo dall'1.1.81 al 9.1.81, e il 22/23 gennaio 1981.

(228) A conferma, Lubello Maria in Sanapo, 12.7.85. Invece Natale Mattea e Del Pozzo Maria, mogli rispettivamente del maresciallo Pellegrino Rocco e del carabiniere Calabrese Giacomo, dicono di aver visto qualche volta la signora Sanapo telefonare (esame 15.7.85). Pellegrino, Calabrese e Grella Giovanni riferiscono che, quando qualcuno telefonava cercando del comandante della stazione che stava nel suo alloggio, un milite saliva al 3° piano ed avvertiva Sanapo, che alzava la cornetta e parlava (Pellegrino e Grella 9.7.85; Calabrese 15.7.85).

(229) Vi è riscontro nel registro degli acquisti dell'oro tenuto da Caruso: cfr. la pagina alla data 27.1.78. Caruso ha confermato anche quanto dichiarato da Sanapo (al quale Belmonte aveva chiesto se poteva procurargli un grosso quantitativo di oro) circa la proposta fattagli dal maresciallo di interessarsi per l'acquisto (esame 9.7.85).

pressioni subite dal teste ad opera del suo ex-comandante, al quale era legato da devota amicizia, e dal timore di andare altrimenti incontro a pericoli, avendogli l'imputato fatto capire che dietro a Musumeei c'era gente molto potente (230).

Non rimase estranea all'induzione la situazione psicologica del sottufficiale, lusingato di avere rapporti con alti ufficiali dell'Arma, per di più appartenenti al prestigioso Servizio segreto militare, e di poter essere loro di aiuto per un malinteso spirito di corpo.

Le relazioni di amicizia fra i due e le loro famiglie escludono che Sanapo abbia potuto rendere false affermazioni contro l'amico (231).

Le reiterate menzogne profferite da Belmonte, dallo stesso riconosciute come tali, non consentono di squalificare il valore della testimonianza.

Ove si desse credito alle deposizioni delle signore Pellegrino e Calabresi (232), per altro contraddette da Sanapo e dalla di lui consorte, la situazione non cambierebbe perché la notte tra il 12 e il 13 gennaio 1981 Belmonte non si trovava a Vieste, a parte la considerazione che per "prendere" le telefonate dall'alloggio di servizio occorreva che un milite avvertisse il maresciallo, talché appare non veritiero che ciò sia potuto accadere quella notte, in due occasioni, una delle quali verso le ore tre, quando sarebbe stato meno disagevole, e consono alla segretezza dell'operazione, aspettare le telefonate del confidente nell'ufficio del comandante la stazione, e non nella cucina del suo piccolo alloggio e in presenza dei suoi familiari (233).

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Comunque, l'accusa mossa nei confronti di Musumeci e Belmonte è suffragata da innumerevoli risultanze.

Come si è visto, in dibattimento Musumeci ha dichiarato che 1'8 gennaio raggiunse Brindisi unitamente a Belmonte, in ossequio al

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(230) A riscontro, test. Salvi Francesco, IX, f. 39; 3.7.85 al quale Sanapo confidò la sua storia, esternandogli preoccupazioni per l'incolumità sua e.dei familiari. Sul comportamento intimidatorio di Belmonte, vedasi verbale di confronto 1.11.84, VI, f. 160 " ...Belmonte:... Mi sembra che mi stiano balenando delle cose poco gradevoli sul tuo conto; vuole essere essere un avvertimento".

(231) Vedasi verbale di confronto cit. "Sanapo:... Adesso, se mi dici che è falso, cancelliamo l'amicizia... Belmonte: Franco, ma perché dici queste cose?... Con tutto l'affetto che ti porto non capisco dove vuoi arrivare".

(232) Vedasi nota 228 pag. 85.

(233) Va ricordato che Belmonte si è avvalso delle facoltà di non rispondere alla domanda se nel suo viaggio aveva portato con sé la moglie.

desiderio del gen. Santovito di non trascurare qualsiasi canale informativo, per sollecitare la "fonte" a maggiormente attivarsi nel fornire notizie sulla strage di Bologna (la stessa fonte, si badi, che secondo una comunicazione data dal Sismi alla Magistratura bolognese avrebbe dovuto trovarsi in Turchia o in Sud-America), e Belmonte gli ha fatto eco, accampando, a giustificazione della precedente consolidata menzogna, un "vuoto di memoria"; inverosimile assunto sia perché non erano frequenti i viaggi insieme con il suo capo-ufficio, sia per l'importanza dell'episodio, sia, infine, perché il volo fu caratterizzato dalle pessime condizioni meteorologiche, che resero arduo l'atterraggio. Entrambi gli imputati hanno indicato il misterioso personaggio con cui ebbero l'abboccamento nella persona del maresciallo Sanapo.

A ben riflettere, ammessa per ipotesi la veridicità di quanto affermato dai prevenuti circa il loro incontro a Brindisi con Sanapo, la partecipazione del medesimo alla creazione delle informative, la sua dipendenza occulta dal Servizio ecc.; la tesi accusatoria della macchinazione in casa Sismi e portata avanti da uomini del Sismi non sarebbe scalfita minimamente, implicando semmai l'identificazione di un altro complice.

Ci sarebbe la patologica posizione dì un ufficiale di polizia giudiziaria iscritto nei libri-paga del Sismi e in posizione di permanente ricatto.

Ci sarebbe un "covo" di terroristi neri a Taranto, città frequentata da Sanapo ma anche da Belmonte (234).

Ci sarebbero inconfessabili contatti con taluno di questi terroristi.

Ci sarebbe il mitra con calcio segato analogo ad altre due armi già in possesso di eversori di destra (235).

Ci sarebbe la "missione" di Pazienza a Brindisi in data 29 novembre 1980, non menzionata dall'interessato nella memoria 22.10.84, scrupolosa in tutti gli altri dettagli (236).

Ci sarebbe il fatto successivo — privo di qualsiasi possibile giustificazione se non quella di una attività delittuosa da mettere a punto,
 
 

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(234) Belmonte, 16.8.84, III, f. 523; Sanapo, 22.11.84.

(235) Rapporto questura di Bologna 2.2.85 p. 1, 2, 3, 18.

(236) Rapporto Rep. Oper. Roma 10. 12.83. Memoria in IX, ff. 3, 4.

travalicante le burocratiche intermediazioni di grado — di un generale di brigata con funzioni direttive in un apparato con fortissima impronta verticistica e di un alto ufficiale dell'Arma che si spostano fino a Brindisi per colloquiare con un modesto maresciallo, scopo precipuo dell'incontro non potendo non essere quello di impartire direttamente ordini al complice per l'avvio della criminale impresa e di vincerne le eventuali titubanze.

Ci sarebbero le false notizie e il teleguidato ritrovamento dell'esplosivo che doveva far apparire fondate le stesse e quelle, in gran parte combacianti e provenienti dalla medesima "origine", sulla strage di Bologna.

Ci sarebbe l'espediente di far figurare nomi e corrieri stranieri.

Ci sarebbe il pagamento di una somma di denaro la cui enormità la qualifica non già come corrispettivo delle notizie ma come compenso della partecipazione all'operazione, la cui palese artificiosità ha il suo acuto nel clamoroso incidente di aver posto nella valigia carica di armi e di esplosivo — che gli inesistenti Dimitrief e Legrand avrebbero dovuto consegnare ad altri inesistenti terroristi appena stabilito il fugace contatto — i biglietti aerei che sarebbero dovuti servire ai predetti fantomatici corrieri per fuggire dall'Italia.

Ci sarebbe la spiegazione degli sforzi, finora riusciti, di impedire l'identificazione degli altri complici, identificazione che potrebbe far luce sulla trama eversiva.

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In ogni caso, l'"operazione" si è svolta con modalità tali ed è stata accompagnata e seguita da episodi che la definiscono per quello che era: un'azione delittuosa di devianza.

Il 9 gennaio 1981, in concomitanza dell'arrivo dalla Francia (237) di Santovito e Pazienza, il col. Notarnicola — come si è visto — fu convocato d'urgenza presso l'aeroporto di Ciampino dove ricevette da Musumeci l'appunto datato 9.1.81. Avuto l'incarico di procedere agli "sviluppi" dell'appunto stesso (la divisione da lui diretta, "operativa" a differenza dell'"Ufficio controllo e sicurezza", avrebbe dovuto assumere da quel momento la conduzione dell'operazione), l'ufficiale iniziò la procedura di analisi del documento, sia facendo ricerche di archivio sia chiedendo precisazioni a Musumeci "che era

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(237) Cfr. annotazione dell'arrivo a Ciampino dei predetti, in XIII, f. 35.

la persona che contattava la fonte", non ottenendo peraltro la minima collaborazione (238).

Pochi giorni dopo, l'"Ufficio controllo e sicurezza", quasi certamente nella persona di Musumeci, lo informò che la situazione stava precipitando e che era imminente lo scambio o consegna dell'esplosivo tra aderenti a gruppi terroristici. Poiché aveva appreso che della vicenda si doveva interessare il ten. col. Belmonte, lo convocò per avere notizie più complete, e l'interlocutore gli comunicò che stava per partire per le Puglie e, mentendo, lo informò che si recava a S. Severo e che avrebbe fatto capo, per il supporto, alla locale stazione dei Carabinieri (239).

Anche il ten. col. Luigi Evangelista venne a conoscenza che Belmonte aveva dichiarato che avrebbe fatto capo ai Carabinieri di S. Severo (240).

La reiterazione della falsa affermazione ai colleghi del Servizio, e soprattutto al col. Notamicola, che aveva lo specifico compito di occuparsi sul piano "operativo" della faccenda, manifesta chiaramente l'intento di sottrarre al Sismi "ufficiale" la possibilità di controllare e verifìcare l'operazione in atto (242). Se questa fosse stata lecita, ovviamente, non vi sarebbe stata alcuna ragione di mentire.

L'assunto di Belmonte e Musumeci secondo cui il primo avrebbe dovuto essere affiancato nella zona operativa da altro funzionario designato (designazione che però non fu effettuata) dalla I Divisione è smentito recisamente da Notarnicola e dal ten. col. Giorgio Angeli (242), ed è logicamente contraddetto dalla falsa indicazione fornita alla suindicata divisione circa il luogo ove Belmonte avrebbe potuto essere rintracciato.

Benché la conduzione dell'operazione fosse stata affidata alla I Divisione, fu Musumeci il 10 gennaio — quando ancora la situazione
 
 

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(238) Notarnicola 3.5.84, II, f. 420; 23.8.84, III, ff.530 sgg.; 12.11.84, X, f. 2; Udienza 2,7.85. Cfr. anche D'Eliseo, 17.6.85, p. 56, 57.

(239) Notarnicola cit, III, f. 530; udienza 2.7.85.

(240) Evangelista 25.8.84, III, f. 537; udienza 2.7.85. Cfr. pure Musumeci, interr. 19.6.85 p. 45.

(241) Notarnicola, 2.7.85 p. 40. Nella specie, la verifica e il controllo si imponevano non solo per un motivo di carattere generale ma soprattutto perché le notizie fornite erano troppo particolareggiate da non improntare l'equiparazione fonte = terrorista.

(242) Notarnicola, 2.7.85 p. 48. Angeli, 2.7.85, p. 113.

"non stava precipitando" — a richiedere all'ufficio competente che venisse messa a disposizione di Belmonte un'autovettura (243); un'autovettura "senza autista" perché l'operazione doveva essere coperta da assoluto segreto, che però - secondo la versione di Belmonte - non valeva per i familiari di Sanapo che non si sarebbero nemmeno incuriositi della presenza dell'ufficiale nella cucina dell'alloggio fino alle ore piccole del 13 gennaio.

Le notizie sul traffico del materiale esplosivo per la ricchezza dei dettagli (caratteristiche della valìgia; nomi dei "corrieri", corrispondenti a quelli degli intestatari dei biglietti aerei acquistati a Bari verso le ore 11 del 12 gennaio; treno utilizzato) e la loro tempestività rispetto all'evolversi della situazione potevano provenire soltanto da persona coinvolta nel trasporto; e fu proprio Belmonte — che ebbe la disponibilità, dalle ore 9.50 dell'11 gennaio alle ore 16.30 del 15 gennaio di una macchina di servizio (la quale percorse km. 950) — a fornirle.

La menzogna, più volte ripetuta dall'imputato, di non essersi allontanato da Roma nell'accennato periodo di tempo trova ragione d'essere unicamente nel fatto che era stato lui, di intesa con Musumeci ed altri, ad organizzare il trasporto della valigia con armi ed esplosivo e la messa in scena del ritrovamento.

Belmonte ha affermato che, dopo la nota telefonata, verso le ore 3 del 13 gennaio, se ne andò in albergo, e dormì un paio di ore (244). Ma negativi sono stati gli accertamenti espletati presso gli esercizi alberghieri di Vieste circa la sua presenza nella zona (245); vi è inoltre contraddizione fra l'assunto difensivo e la risultanza documentale dell'annotazione redatta dal funzionario del Sismi che ricevette la predetta telefonata: "... Il soggetto ha aggiunto che si trovava per strada ed era diretto a Roma".

Il riferimento al terrorista Giorgio Vale e all'appartamento che avrebbe affittato "ad Imperia, via Risso aut Rizzo 11 da utilizzare come base", è palesemente una combinazione di notizie, una delle quali, e cioè quella concernente l'appartamento, di acquisizione recentissima in relazione al "collage", predisposta artatamente ed inserita
 
 

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(243) Belnonte, 24.6.85 p. 19.

(244) Belmonte 1.11.84, VI, f. 164.

(245) Rapporto Rep. Oper. CC. Roma 10.11.84, IX, f. 18 e sgg.
 
 

nel contesto informativo da chi era in grado di raccogliere informazioni negli ambienti della Polizia. Va detto in proposito che uno sconosciuto, spacciatosi per Bigano Mario Vittorio ma che assolatamente non ai identificava nella persona dell'eversore di dèestra (246), aveva preso in affitto per il mese di novembre 1980 un appartamento in via Risso n. 11 ad Imperia, e che il fatto fu comunicato dalla locale Autorità di Polizia alle altre questure e al Ministero degli Interni il 7 gennaio 1981 (247).

Nonostante tutto, Musumeci e Belmonte continuano a rivendicare al loro impegno indefesso il merito del sequesto delle armi e dell'esplosivo. E ciò è vero da un certo punto di vista: quello dell'accusa.

Né è priva di forza logica la considerazione che ad affermare di credere alla bontà dell'operazione fosse anche Santovito, irritato perché il dott. De Francisci, capo dell'Ucigos, immediatamente aveva manifestato perplessità sul "molto strano" rinvenimento della valigia con dentro i biglietti aerei dei corrieri e sulle "troppo" dettagliate notizie che erano state fomite (248). Pensare che uomini di grande esperienza di vita e di mestiere, per professione portati al sospetto, si siano fatti "bidonare" ed abbiano versato, entusiasti dell'operazione "che non era andata in porto" (249) o dell'"ipotesi di lavoro", e dopo una decina di giorni di riflessione, ben 300 milioni di lire a un truffatore, sarebbe proprio da ingenui.

Ed ancora, non va trascurata la circostanza, di notevole valore probatorio a sostegno dell'accusa, che gli imputati mentono anche quando asseriscono di aver compensato la "fonte" con il pagamento, in unica soluzione, della predetta somma di denaro, dato che, escluso il "cumulo" dei finanziamenti, come ammesso dallo stesso Musumeci, la somma di maggior importo versata all'Ufficio controllo
 
 

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(246) Rapporto Ucigos 16.6.84 ed allegati, III, ff. 453 sgg. vedasi anche nota 28.4.81 Procura Repubblica Bologna in XV, f. 119, e ff. 120, 121, 128, 129.

(247) Ai magistrati di Bologna con la solita sufficienza fu spiegato da Musumeci e Belmonte, nel corso di un colloquio "chiarificatore" avvenuto il 28 maggio 1981 che, provenendo le notizie dall'estero, era inverosimile che la notizia concernente Imperia potesse essere stata appresa negli ambienti della Polizia giudiziaria. Cfr. il documento 29.5.81 in XV, f. 133 nonché, sulla "missione" dei due imputati nel capoluogo emiliano, il rapporto CC. Roma 26.10.84 con gli allegati elenchi dei viaggi con aerei CAI, V, ff. 50, 52, 54.

(248) Notarnicola 2.7.85, p. 44, 45.

(249) Belmonte, interr. 24.10.84, IV, f. 805.
 
 

e sicurezza non superò mai, giusta la testimonianza del col. Di Murro, la cifra di 180 milioni (250).

Portando l'analisi sul contenuto delle informazioni e sull'epoca di acquisizione, mentre da una parte le stesse peculiari coincidenze fra molte di esse relative alla strage e all'operazione "terrore sui treni" provano l'unicità della loro origine, dall'altra sono proprio la precisione e la tempestività delle notizie concernenti il trasporto della valigia che, lungi dal rafforzarne la credibilità con riferimento al dato reale dell'avvenuto rinvenimento, ne dimostrano l'artata composizione nell'ambito di un complesso piano doloso e nel contempo qualificano la fonte originatriuce non già come inquinata bensì come inesistente.

8 gennaio 1981; ore 17.22. I due imputati raggiungono con un aereo CAI l'aeroporto di brindisi, avendo intenzione Musumeci, su ordine o richiesta di Santovito, di sollecitare l'attivazione della "fonte", la quale, per fortunata combinazione, è già pronta, chiede un lauto compenso e dà la prima notizia ovvero l'"appunto" (251); l'operazione terroristica è imminente, "dovrebbe avere inizio nella prossima settimana". Il colloquio è di brevissima durata (l'aereo riparte per Ciampino alle ore 18.46).

9 gennaio. L'appunto è consegnato al col. Notarnicola: "sul piano della concretezza si ritiene di poter comunicare la data e il treno sul quale viaggerà l'esplosivo" (252).

10 gennaio; ore 12.40; 12.50. "Sembrerebbe che l'esplosivo verrebbe trasportato in treno da un gruppo di 6 - 4 persone per essere consegnato ai nuclei incaricati degli attentati" (253).

11 gennaio; ore 9.50. Belmonte ha a disposizione una autovettura

di servizio, richiesta il giorno prima da Musumeci nonostante che l'incarico di condurre l'operazione fosse stato affidato alla I Divisione (254).

ore 12; 12.15: "l'esplosivo verrebbe consegnato a due cittadini
 
 

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(250) Di Murro, 3.7.85.

(251) latefr. Musumeci 19.6.85, p. 52,53.

(252) XV, f. 5.

(253) XV, f. 20.

(254) Rapporto Reparto Oper. CC. Roma 27.9.84, III, f. 595.
 
 

francesi... a bordo di un treno in transito per una delle seguenti località:

Bologna, Forlì, Ancona..." (255).

12 gennaio; ore 11. Un giovane sui 25 anni acquista a Bari due biglietti aerei Linate-Monaco di Baviera e Linate-Parigi, con prenotazione di partenza per la sera del giorno successivo, intestati rispettivamente a Dimitrief Martin e Legrand Raphael (256);

— Belmonte è in "zona operativa" (257);

ore 20.35; 20.45. Dopo una telefonata di Belmonte, il Sismi avverte il Comando Generale dell'Arma e l'Ucigos che la consegna del materiale esplosivo "avverrà" nella notte sul 13 in Ancona, a bordo di un treno. Tali Legrand Raphael e Dimitris Martin "porteranno" il materiale e, ad avvenuta consegna, lasceranno l'Italia per via aerea, da scalo non noto (258).

13 gennaio; ore 2.55. Belmonte telefona al Sismi avvertendo che la consegna "avverrà" in Ancona, sul treno n. 514 verso le ore 5.30 e precisando che "si trovava per strada ed era diretto a Roma " (259).

Non c'è chi non veda lo scandito succedersi delle segnalazioni, quasi in cronaca diretta, sullo sviluppo dell'impresa, con la graduale e sempre più precisa messa a fuoco dell'obiettivo. Conseguenziale è la deduzione che le persone che trasmettevano le notizie fossero le stesse che avevano organizzato il trasporto.

Ma non c'è pure chi non veda l'incidente occorso agli autori della messa in scena nell'eccitazione di meglio corroborarla: " Dimitrief" e "Legrand", espletata la "missione", avrebbero dovuto allontanarsi dall'Italia partendo dall'aeroporto di Milano-Linate. Ebbene, i due biglietti aerei, si trovavano nella valigia colma di bombe e di armi! E certamente sarebbe assurdo sostenere che i due corrieri si ripromettessero di aprirla, fra i passeggeri, soltanto ad Ancona, dopo aver stabilito il contatto con i destinatari del materiale, per prelevare i due biglietti, quindi richiudere la valigia stessa (260) e consegnarla agli

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(255) XV, f. 21.

(256) Rapporto Questura Bologna 7.2.81, VII, ff. 16, 17.

(257) Ammissioni del prevenuto.

(258) XV, f. 24.

(259) XV, f. 26, Dalla precisazione: "Si trovava per strada... " si desume che fu utilizzato uh telefono pubblico.

(260) Per ingannare la noia i "corrieri" avrebbero potuto tirar fuori dalla valigia i giornali Frankfurter Allegemeine, Die Zeit, France Soir, Le Figaro Magazine per poi riporli nella stessa ed eliminare ogni ragionevole dubbio sulle loro nazionalità.

altri terroristi. La circostanza, per la sua eloquenza, rende superfluo indugiare sull'esito negativo dei controlli effettuati nei confronti dei passeggeri scesi ad Ancona e alle successive stazioni.

Al fine di coprire il macroscopico errore, si tentò con i menzionati documenti del 21 gennaio e del 7 febbraio 1981, quest'ultimo a firma di Santovito, di ribaltare il ruolo attribuito alle fantomatiche parti, facendo figurare Dimitris e Legrand non come i corrieri bensì come i destinatari della valigia o meglio dei due biglietti aerei e di due armi automatiche (261) che avrebbero dovuto ritirare in Ancona; tardivo quanto inutile intervento per rendere credibile la macchinazione la quale, per il modo con cui era stata realizzata, portava le stimmate della costruzione fìttizia.

In realtà, sul convoglio ferroviario non "viaggiavano" i corrieri, ma soltanto la valigia; destinazione specifica: sequestro.

Svanisce allora nel nulla la tesi-cardine della difesa secondo cui l'accanimento degli imputati di coprire a tutti i costi l'origine delle notizie si rapportava alla necessità del Servizio di proteggere la "fonte".

Ed ancora, Musumeci, parlando con il col. Demetrio Cogliandro, nel ribadire la fondatezza del contenuto delle informazioni da lui convogliate af magistrati bolognesi, fece riferimento a una "fonte internazionale" (262).

Lo stesso Musumeci, al quale Notamicola, per espletare il suo compito, si era rivolto quale "persona che contattava la presunta fonte delle notizie" ebbe a dirgli:

— in un primo momento che la fonte era "nazionale";

— successivamente che era estera e non più contattabile;

— infine che chi controllava la notizia era un personaggio di rispetto che operava in Liguria e a contatto con la malavita marsigliese e che soltanto a lui Musumeci riferiva: "Non posso dirgli: caro don Ciccio, adesso vado a dire ad altri quello che tu mi dici" (263).

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(261) Dunque, i giornali stranieri sarebbero stati di pertinenza del corriere cosentino, "incensurato ma vicino agli ambienti della mafia calabrese" e poliglotta.

(262) Cogliandro 30.10.84, V. f. 184.

(263) Notarnicola 3.5.84. II. f. 421; 12.11.84, X, f.2, udienza 2.7.85.
 
 

Tali fatti non sono stati smentiti dall'imputato (264).

Belmonte informò il sostituto procuratore della Repubblica dott. Luigi Persico che aveva incontrato la "fonte" a Termoli (265).

Lo stesso ufficiale disse al giudice istruttore dott. Aldo Gentile che la "fonte" dalla Turchia si era trasferita in Uganda, per cui non poteva essere più reperita (266).

C'è da registrare ancora che coloro che avevano proceduto alla "manipolazione della fonte" — la quale era sempre rimasta "sotto controllo" dell'ufficio di Musumeci (267) — tentarono di far assumere "la responsabilità della fonte medesima" ad altra divisione del Sismi, che avrebbe dovuto comunicare all'A.G. che le notizie erano pervenute "da persone straniere, non più contattabili", ma senza successo per la ferma opposizione del dirigente della citata divisione, vale a dire del col. Notarnicola, che era stato tenuto all'oscuro dei termini reali della vicenda (268).

Questa sorprendente mancanza di lealtà perfino nei confronti dei funzionari del Servizio che avrebbero dovuto occuparsi del caso non può semplicisticamente spiegarsi con "gelosie di mestiere" o con un richiamo a lotte intestine fra divisioni del Sismi, come se esse fossero corpi estranei e contrapposti l'uno all'altro, ovvero con la già menzionata argomentazione difensiva secondo cui il confidente va protetto e tenuto fuori della mischia.

Il problema che allora si poneva — a prescindere dalla considerazione che "notizie" e "fatti" riguardavano l'eversione in Italia e che il Servizio e i suoi uomini, nel rispetto della legge, tutto avrebbe dovuto subordinare agli interessi dello Stato democratico — era quello di verificare l'attendibilità delle "informative" se non mediante l'identificazione della "fonte" almeno con l'accertamento della sua origine e collocazione.

Tanto più doverosa, anzi, appariva la stessa identificazione del "confidente" avuto riguardo alla natura dei dati forniti, alla ricchezza dei dettagli, alla tempestività delle informazioni; elementi che portano,

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(264) Interr. Musumeci, 19.6.85.

(265) Persico, 10.7.85. p. 16, 17, 48, 50.

(266) Gentile, 12.7.85, p. 58.

(267) Notarnicola, 3.5.84, II, f. 421; udienza 2.7.85.

(268) Cfr. documento 4.6.81, XV, f. 173.
 
 

allora come oggi, ad una sola conclusione: chi trasmise le notizie doveva essere una persona corresponsabile del trasporto delle armi e dell'esplosivo. Si imponeva in ogni caso la massima collaborazione con gli organi di polizia giudiziaria e la Magistratura perché la "fonte" dell'operazione terrore sui treni" era la medesima delle notizie riguardanti la strage di Bologna.

Invece, alle sollecitazioni della Magistratura per la "chiamata in causa della fonte", tanto paventata dal gen. Santovito (269), furono date risposte evasive, contraddittorie, false: non si doveva far luce sull'operazione deviata e deviante (270).

Per ulteriore conferma — accertato inequivocabilmente che l'"origine" ovvero la c.d. "fonte" delle notizie concernenti l'eccidio e il piano "terrore sui treni" era la medesima — si ponga mente ai seguenti documenti.

— Nell'appunto sulla strage di Bologna (271) si parla di una fonte occasionale estera non più contattabile perché forse riparatasi in Sud-America o Turchia.

— La fonte dell'"operazione terrore sui treni" è indicata come "solitamente ben informata" nell'appunto 9.1.81 (272).

— Essa diviene "di non valutabile attendibilità" nella "comunicazione" del 10.1.81 (273).

— Nell'appunto 12.1.81 le notizie riferite vengono attribuite a "fonte occasionale di non valutabile attendibilità" (274).

L'occasionalità della fonte non esclude però la sua contattabilità nel febbraio 1981, come risulta dalla "risposta ai quesiti" con data 7.2.81 (275).

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(269) Cfr. documenti 16.2.81, 4.6.81, in XV, ff. 103, 135.

(270) Le ragioni di tanto insistere sono in parte compendiate nella missiva 2.12.81 del Giudice istruttore presso il Tribunale di Bologna: la composizione chimica dell'esplosivo presentava "singolari affinità" con quella dell'esplosivo impiegato nell'attentato del 2 agosto; "in entrambi i casi" le informazioni erano state fornite "dagli stessi ufficiali superiori allora addetti all'Ufficio controllo e sicurezza": XV, f. 158. Cfr. anche perizia "chimico-esplosivistica" e test. Persico, 10.7.85.

(271) III, f. 605. L'allegato all'appunto era stato consegnato "brevi manu" da Musumeci ai magistrati di Bologna.

(272) XV, f. 5.

(273) XV, f. 20.

(274) XV, f. 23.

(275) XV, f. 87.

— L'origine delle notizie diviene "straniera" ed attendibile nell'appunto 13.4.81, dal quale emerge la persistenza del contatto che si asseriva perduto (276).

— Nella nota 29.5.81 è scritto che la fonte era del tutto occasionale e che le notizie provenivano dall'estero (277).

— Nelle note dell'8 e del 15 giugno 1981 si afferma che la fonte generatrice dell'informativa non era stata identificata in quanto essa, peraltro occasionale, aveva prestato la sua collaborazione a condizione di rimanere anonima (278).

— Con nota 7 agosto 1981 a firma del gen. Santovito e pertinente alla strage si ribadisce che la fonte era riparata all'estero e che il "manipolatore delta fonte", come già dichiarato verbalmente ai magistrati dell'Ufficio istruzione, aveva fatto presente che le "informative" consegnate "brevi manu" erano da considerarsi ipotesi di lavoro (279).

Quest'ultimo documento, anche per la singolarità della data (Santovito fu sostituito alla direzione del Sismi dal gen. Lugaresi il 5 agosto 1981), richiede un breve richiamo ai contesto cui ineriva.

Nel giugno 1981 alcuni magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, e segnatamente il dott. Luigi Persico, prospettarono l'eventualità di arrestare per testimonianza reticente in relazione all'"operazione terrore sui treni" il gen. Mei (che sostituiva Santovito "messo in ferie" a seguito dello scandalo P2), convocato perché fornisse chiarimenti sulla fonte fiduciaria delle notizie. Mei professò la sua assoluta ignoranza (280).

Santovito ritornò dalle "ferie", per "mettere a posto le pratiche" e trasmise all'Ufficio istruzione di Bologna la già indicata nota del 7 agosto, non operando la distinzione fra trasporto dell'esplosivo e strage di Bologna (egli ben sapeva che l'"origine" delle notizie per entrambi i casi era la medesima) ma riferendosi a quest'ultima.

Va rimarcata la coincidenza temporale fra gli episodi testé descritti

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(276) XV, f. 118. Cfr. pure rapporto Questura Bologna 2.2.85, p.23.

(277) XV, f. 133.

(278) XV, ff. 142-144.

(279) Documento acquisito agli atti su produzione del P.M. e di cui è stato dato lettura.

(280) Persico, 10.7.85, ff. 18, 19.

e l'incontro fra Sanapo e Belmorrte; secondo le dichiarazioni del primo, l'ufficiale, dopo alcuni mesi di silenzio, raggiunse Sanapo a Vieste proprio nel luglio 1981, parlandogli della rischiosa situazione in cui si trovava insieme con Musumeei e della necessità di parare il pericolo con predisposte bugie.

Ma nello stesso lasso di tempo si sviluppava una complessa azione ispirata al criterio "del bastone e della carota":

si tennero a Bologna alcune riunioni, con la partecipazione del sedicente "capitano Manfredi" dei servizi segreti, nel corso delle quali si discusse sulla "richiesta e la correlativa promessa di procurare le prove che il P.M, dott. Persico era sul libro-paga del Sismi" (281). Poco dopo il dott. Persico e il procuratore della Repubblica dott, Guido Marino furono fatti bersaglio di attacchi giornalistici, con l'accusa per il primo di essere stipendiato dal servizio segreto e per il secondo di essere piduista (282);

il dott. Marino fu invitato a visitare Forte Braschi, ove ricevette "una-splendida accoglienza, per cui ritornò magnificando l'efficienza, l'organizzazione" del Sismi etc. (283).

Nella nota manoscritta 8.4.82 si legge che "l'intermediario è Monna Beppino... ucciso in un regolamento di conti nell'estate 1981..." (284). In altri termini, era inutile insistere sull'argomento disturbando il Servizio nell'espletamento dei suoi alti e incontrollabili compiti. La vena informativa si era esaurita e costituiva un mistero perché chi ad essa attingeva provvidenzialmente era spirato in tempo utile.

Così, con sufficienza e disprezzo dell'intelligenza dei destinatari, si cercò definitivamente di impedire all'Autorità giudiziaria di far luce sull'episodio, la cui eccezionale gravità derivava anche dall'essere contrassegnato, quanto all'origine, dal medesimo denominatore delle false informazioni sulla strage di Bologna, nonché dalle "singolari affinità" fra l'esplosivo utilizzato per l'attentato e quello rinvenuto sul treno.

In definitiva, ritiene la Corte, valutati i singoli elementi di prova

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(281) Esposto-denuncia a firma Persico, V, ff. 18 sgg.

(282) Persico 10.7.85, ff. 27 sgg.

(283) Persico cit., p. 19, 21.

(284) XV, f. 160.
 
 

in sé e nella loro sintesi, di dover giungere alle seguenti conclusioni.

La "fonte" non esisteva.

Le "informative" erano false.

Esse furono create nell'ufficio di Musumeci e Belmonte con la connivenza di Santovito.

La "missione" dell'8 gennaio 1981 dei due imputati a Brindisi si ricollega alla necessità di definire negli ultimi particolari l'"operazione" che avrebbe dovuto scattare il giorno dopo.

La partenza di Belmonte da Roma si riconnette all'esecuzione materiale del piano.

Le notizie sullo svolgimento di detto piano furono date da Belmonte il quale fornì al riguardo tali e tanti dettagli che, tenuto anche conto del brevissimo intervallo di tempo fra la collocazione della valigia nel treno e le informazioni, potevano essere conosciuti soltanto da chi concorreva nel trasporto.

Si cercò nella ristrettissima cerchia di funzionari che avrebbero dovuto occuparsi degli sviluppi della operazione di fuorviare gli eventuali controlli sui movimenti di Belmonte e di impedire la verifica dell'attendibilità della fonte.

Il complesso delle risultanze dibattimentali, poi, dimostra che l'"invenzione" della fonte, le false notizie, il trasporto delle armi e dell'esplosivo, la simulazione delle tracce nei confronti di determinare persone facevano parte di una scellerata macchinazione la quale, ordita in ampio ambito, fu eseguita da elementi della "struttura parallela", con gli apporti, essenziali di Musumeci e Belmonte e la complicità di altri.

Considerare la criminale impresa come un mezzo per attingere ai fondi del Sismi non sembra credibile, dato che non vi sarebbe stato bisogno, stante il sistema amministrativo-finanziario del Servizio, di ricorrere a un così pericoloso espediente che prevedibilmente sarebbe stato sottoposto,per la connessione con un atroce delitto, a verifica dell'Autorità giudiziaria.

Si è accennato al contrasto fra Sisde e Sismi, a un progetto di unificazione dei servizi, alla lotta di gruppi di potere per prendere il sopravvento: l'operazione (comprensiva delle "informative" sulla strage e sul trasporto dell'esplosivo) avrebbe potuto attribuire un sia pure provvisorio "credito" al vertice di comando del Sismi e favorirlo. Ma in tal caso l'ottica degli ispiratori avrebbe assunto un grado talmente elevato di miopia da essere immersa nel buio.

Abbandonando le congetture ed assumendo i fatti, altra deve essere dunque la ragione, ed è la logica stessa delle cose a ricondurre come effetti voluti dell'operazione quelli effettivamente verifìcatisi: l'allarme sociale; l'intossicazione delle indagini di polizia giudiziaria e della Magistratura.

Va affermata la penale responsabilità di Musumeci e Belmonte in relazione al delitto di cui al capo G.

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Per quanto concerne l'imputazione sub H, la Corte rileva che l'ipotesi prevista dall'alt. 367 C.P., nel supporre l'inesistenza del reato oggetto della simulazione "formale" o "materiale", si differenzia dalla figura delittuosa di cui al successivo articolo per la mancanza di indicazioni atte a designare la persona incolpata; e che comunque, nei casi di simulazione di reato e di calunnia, entrambi lesivi, in progressione, del medesimo bene giuridico, non si ha concorso di reati, ma soltanto il reato di calunnia che, più grave dell'altro, lo assorbe.

Le risultanze dibattimentali, a parte il rilievo che il delitto supposto non è per niente immaginario ma è realmente avvenuto, mettono m luce che il fatto nella specie commesso è diverso da quello formulato in epigrafe, perché comprende anche l'attribuzione del delitto in questione a determinate persone con la simulazione a loro carico delle relative tracce.

Gli è che il comportamento descritto nel capo di imputazione è soltanto un segmento o momento della condotta degli imputati, configurante in ipotesi il più grave delitto di calunnia.

I relativi atti processuali, quindi, devono essere trasmessi al P.M. ai sensi dell'art. 447 2° c. C.P.P.

REATO DI CUI AL CAPO I. PECULATO

II col. Bruno Di Murro, direttore amministrativo del Sismi, ha dichiarato che il "gruppo Pazienza" prelevò dalle casse (riservate) del Servizio, nel periodo di tempo che va dall'ottobre 1980 al maggio 1981, una somma complessivamente aggirantesi su un miliardo e

duecento milioni di lire, di cui un miliardo circa riscosso da Musumeci e il resto dal direttore del Sismi; in particolare, ha precisato che, a seguito di vari ordini di pagamento emessi dal gen. Santovito, versò all'"Ufficio controllo e sicurezza" del gen. Musumeci la somma complessiva suindicata per il finanziamento di attività le quali, essendo individuate con il medesimo termine "operazione Z" negli accennati ordini di pagamento, dovevano consistere in un'unica operazione a carattere continuativo (285).

La deposizione parrebbe trovare riscontro nella dichiarazione resa da Musumeci nel corso dell'interrogatorio del 13 novembre 1984 (286): "... se il col. Di Murro ha dichiarato di aver elargito quella somma... si riferisce ad operazioni che riguardano Bologna e quindi — siccome mi sono astenuto di parlare di quelle operazioni — dirò come sono state impiegate le somme. Ci sono sei mesi di lavoro dei giudici di Bologna che sono venuti a Roma... ".

Le attività "che riguardano Bologna" consistono nella nota macchinazione articolatasi in due momenti funzionalmente connessi: l'informativa sulla strage del 2 agosto e l'informativa con il pilotato rinvenimento della valigia, entrambe derivanti dalla medesima asserita fonte fiduciaria.

Dalla prova dell'inesistenza della fonte e della illiceità penale dell'artata operazione condotta dolosamente da Musumeci e Belmonte rampolla la dimostrazione della sussistenza del delitto di peculato.

Nell'interrogatorio del 16 luglio 1985 (287) Musumeci ha però fornito una nuova versione. Diverse sarebbero state le causali degli stanziamenti:

1) L. 300.000.000 circa più una decina di milioni per le operazioni concernenti Bologna (di cui L. 300.000,000 versate in un'unica soluzione alla "fonte");

2) il residuo, parte per operazioni di controspionaggio e parte per creare o potenziare una rete di informazione, di controllo e di sicurezza.

Per il punto sub 1), oltre a quanto poc'anzi detto circa l'inesistenza
 
 

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(285) Di Murro, udienza 3.7.85, p. 140 - 142; 16.7.84, III, f. 481; 31.10.84, IV, f. 145.

(286) In X, f. 17.

(287) Musumeci 16.7.85, p. 3.

della fonte è l'illiceità delle Operazioni svolte, va fatto presente che, non essendo previsto ne essendosi realizzato l'"accumulo" dei fondi (288), l'assunto difensivo della corresponsione in unica soluzione della somma suindicata è smentito dal col. Di Murro, il quale ha dichiarato dì non aver mai ricevuto ordinativi di pagamento in favore dell'"Ufficio controllo e sicurezza" per la cospicua cifra di 300 milioni di lire (289).

Per quanto riguarda il punto sub 2), balza agli occhi l'inverosimiglianza delle affermazioni del prevenuto, dato che la sua divisione non aveva compiti di controspionaggio e dato che, nella specie, le somme stanziate venivano tratte dai fondi "riservati", non sottoposti a rendiconto, da utilizzare in situazioni particolari, e non finalizzati a coprire spese di organizzazione o ristrutturazione del servizio.

Del resto, basta leggere i verbali di interrogatorio di Musumeci per desumere la falsità della sua tesi.

Nell'interrogatorio del 22 ottobre 1984, l'imputato ha affermato che lo stanziamento di bilancio riguardante la sua divisione era di L. 1.200.000 al mese e che non aveva "mai chiesto ed ottenuto integrazioni" per importi notevoli (cioè di L. 100 milioni) "per nessun genere di operazioni" (290).

Nell'interrogatorio del 13 novembre 1984 Musumeci ha affermato che l'ammontare complessivo "delle somme ottenute, per varie notizie, nel periodo ottobre '80 - giugno 1981 dall'Ufficio controllo e sicurezza" non era "assolutamente superiore a lire 5 milioni" (291).

Nell'interrogatorio del 16 luglio 1985 (292) ha esordito sostenendo che la sigla Z apposta sugli ordini di pagamento serviva ad individuare la sua divisione quale beneficiaria degli stanziamenti, cadendo così nuovamente nel mendacio in quanto negli ordinativi in questione

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(288) Musumeci, udienza 18.6.85, p. 18-20. Di Murro, udienza 3.7.85, p. 137.

(289) Di Murro, udienza 3.7.85 p. 142. Cfr. anche verbale 16.3.85: "... il direttore del servizio gen. Santovito tra la fine dell'80 e gli inizi del 1961 mi ordinò di finanziare l'Ufficio controllo e sicurezza mettendo a disposizione del gen. Musumeci tutto il denaro che m'avesse richiesto. Questa operazione venne definita Z... mai ho corrisposto per tale operazione la cifra di 300 milioni, la somma più elevata che ho pagato in unica soluzione ammonta a circa 170-180 milioni".

(290) In IV, f. 802.

(291) X, f. 17.

(292) Musumeci, 12.7.85 p. 38.
 
 

era indicato come destinatario delle somme l'"Ufficio controllo e sicurezza" (293).

A questo punto, non può la Corte non sottolineare la coincidenza fra il termine per contrassegnare la causale dei predetti versamenti e quello usato da Pazienza per designare la rete organizzativa (agenti Z) che faceva capo al centro di potete arbitrario per cui è processo; coincidenza di termini che non è né formale nè occasionale, l'uno e l'altro essendo espressione della medesima realtà associativa delittuosa.

Sicomprende allora; nel contesto, la reale portata dell'esclamazione di Pazienza: "Soldi a disposizione ce ne sono quanti se ne vogliono"; dell'affermazione di Magrì: Musumeci era il vero "ufficiale pagatore" del Sismi, e della dichiarazione di Sanapo: bisognava "inventare" la fonte per proteggere il "grosso personaggio" che dirigeva la "rete spionistica".

Talché, sulla scorta delle risultanze probatorie, può tranquillamente affermarsi che, grazie al gen. Santovito, che poteva disporre, senza obbligo di rendiconto, dei fondi riservati del Sismi, e d'accordo con lui il gruppo Pazienza-Musumeci entrò in possesso dell'ingente somma di denaro e, travolgendo il vincolo originario della sua destinazione a fini istituzionali, si comportò rispetto alla medesima somma come se fosse il proprietario, parte incamerandola e parte utilizzandola nel compimento delle azioni "deviate" e delittuose della "struttura parallela", per il conseguimento; a vantaggio proprio ed altrui, di finalità antitetiche a quelle della cosa pubblica.

Da qui l'affermazione della penale responsabilità di Musumeci e Belmonte. Il concorso di quest'ultimo nel delitto si desume non solo dalle sue ammissioni di aver avuto, in ragione del proprio lavoro, la disponibilità materiale di lire 300 milioni, asseritamente impiegate, d'intesa con il capo dell'Ufficio controllo e sicurezza, per una causa che l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato inesistente, non solo dal fatto che era lo stretto collaboratore di Musumeci e suo "uomo di fiducia", per cui era perfettamente consapevole dei canali di "distribuzione" del denaro (294), ma dal ruolo importantissimo
 
 

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(293) Di Murro cit. p. 140.

(294) Sull'intenzione di Belmonte di acquistare vari lingotti d'oro, cfr. nota 229 a pag. 85.
 
 

che svolse nella dinamica di alcune tra le più gravi operazioni di devianza, il cui costo fu sostenuto con denaro appartenente all'Erario.

Trattasi di reato continuato. L'episodio di peculato di maggior consistenza ebbe per oggetto la somma di L. 180.000.000 come si evince dalla testimonianza di Di Murro. Sussiste conscguentemente l'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità.

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In conclusione, deve essere affermata la penale responsabilità:

di Pazienza, Musumeci e Belmonte in ordine al reato di cui al capo B;

di Pazienza e Musumeci in ordine al reato di cui al capo C, precisato come in dispositivo;

di Pazienza in ordine ai reati di cui ai capi D ed E;

di Pazienza in ordine al reato di cui al capo F relativamente all'episodio concernente Billy Carter;

di Musumeci e Belmonte in ordine ai reati di cui ai capi G ed I, assorbita in quest'ultima imputazione, per quanto conceme Musumeci, il fatto di cui al capo D.

Non può ravvisarsi unicità del disegno criminoso, per la contraddizione che non consente, tra l'intesa programmatica di perpetrare una serie indeterminata di reati, che sostanzia l'aspetto soggettivo dell'associazione per delinquere, e la determinazione dei reati-scopo, occorrendo per la configurazione del vincolo della continuazione che le singole condotte delittuose siano previste nei loro elementi essenziali ed individuanti (295).

Sussiste invece continuazione fra gli altri reati, riannodandosi tutti a una specifica preordinazione di fondo della quale rappresentano l'attuazione.

Avuto riguardo ai fatti nella loro concretezza, modalità di esecuzione ed effetti, ai motivi che li hanno determinati, alle circostanze che li hanno caratterizzati e alla personalità dei rei, non si scorge in loro favore alcuna attenuante generica.

E certamente non meritano un particolare trattamento di clemenza

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(295) Cass., Sez. I, ud. 11.6.83, dep. 15.10.83, imp. Romeo, in riv. Cass. Pen., 1985, p. 621.

né Pazienza, animatore di tante imprese delittuose né gli altri imputati, i quali, investiti di funzioni di grande responsabilità in un apparato statale di importanza essenziale per la difesa dello Stato democratico, hanno tradito la fiducia in loro riposta dalla collettività e l'ufficio che dovevano servire.

Tenuto conto degli elementi tutti indicati dagli artt. 133 e 133 bis C.P., stimasi equo determinare la pena nei confronti di

Pazienza, per il reato di cui al capo B in anni 4 di reclusione, di cui condonati anni 2 (pena base: anni 3 e mesi 6 di reclusione, aumentata per effetto della circostanza aggravante contestata); per gli altri reati riconosciuto colpevole, in anni 4 e mesi 6 di reclusione e L. 1.000.000 di multa (p.b. con riferimento al reato sub D, che è in concreto la violazione di legge più grave, 4 anni di reclusione; e L. 800.000 di multa, aumentata ai sensi dell'art. 81 cpv. C.P.);

Musumeci, per il reato di cui al capo B in anni 4 di reclusione, di cui condonati anni 2 (p.b.: anni 3 e mesi 6 di reclusione aumentata ai sensi dell'art. 61 n. 3 C.P.); per gli altri reati riconosciuto colpevole, in anni 5 di reclusione e L. 2.000.000 di multa (p.b., con riferimento al reato di cui al capo 1, e segnatamente all'episodio di peculato di L. 180.000.000 che costituisce in concreto la violazione di legge più grave: anni 4 di reclusione e L. 1.800.000 di multa, aumentata ad anni 4 e mesi 6 di reclusione e L. 1.900.000 di multa ai sensi dell'art. 61 n. 7 C.P., ulteriormente aumentata per effetto della continuazione);

Belmonte, per il reato di cui al capo B in anni 3 e mesi 8 di reclusione, di cui anni 2 condonati (p.b. anni 3 e mesi 3 di reclusione aumentata ai sensi dell'art. 61 n. 9 C.P.); per gli altri reati riconosciuto colpevole, in anni 4 di reclusione e L. 1.500.000 di multa (p.b. con riferimento all'episodio di peculato di L. 180.000.000 come sopra indicato: anni 3 e mesi 3 di reclusione e L. 1.200.000 di multa aumentata ad anni 3 e mesi 6 di reclusione e L. 1.400.000 di multa stante l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 C.P., ulteriormente aumentata per effetto della continuazione).

All'affermazione della penale responsabilità degli imputati consegue l'applicazione della pena accessoria di cui agli artt. 28, 314 C.P.; il loro obbligo di pagare le spese processuali e, per Musumeci e Belmonte, quelle di custodia cautelare; la loro condanna al risarcimento, in favore delle parti civili, dei danni cagionati dai reati (escluso il delitto di cui al capo E).

Poiché occorrono ulteriori acquisizioni per la quantificazione precisa del risarcimento con riferimento alle spettanze della Presidenza del Consiglio dei ministri (danneggiata dai reati in questione che costituiscono fatti di deviazione delle funzioni del Sismi) e del Ministero della Difesa (parte Offesa nei reati di peculato), la liquidazione, come richiesto, è rimessa in separata sede. Le Spese sostenute dalle P.C. vanno determinate come in dispositivo.

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Pazienza deve essere prosciolto dal reato previsto dagli artt. 326 e 110 C.P., così modificata l'imputazione sub A, perché il reato si è estinto per amnistia.

La medesima formula di proscioglimento va adottata per Musumeci e Belmonte con riferimento al reato di cui agli artt. 323 e 110 C.P., in tal senso modificata l'imputazione di cui al capo F riguardante gli "accertamenti" su Di Napoli.

Musumeci, D'Eliseo, Artinghelli, Pazienza e Belmonte devono essere assolti:

D'Eliseo, dal delitto di cui al capo C perché il fatto non costituisce reato;

Artinghelli, dal delitto di cui al capo C per non aver commesso il fatto;

i primi tre dal reato sub E per non aver commesso il fatto;

Musumeci, D'Eliseo, Artinghelli e Belmonte dal reato sub F in relazione alle "indagini" su Billy Carter per non aver commesso il fatto;

D'Eliseo, Artinghelli.e Pazienza del reato sub F in relazione agli "accertamenti", su Di Napoli per non aver commesso il fatto;

tutti, dal reato sub F in relazione agli "accertamenti" su Notarnicola perché il fatto non sussiste. Gli atti relativi a quest'ultima imputazione vanno trasmessi in copia al P.M. per quanto di competenza potendosi configurare a carico di Pazienza il delitto di calunnia.

Il fatto relativo al capo H è risultato diverso da quello enunciato nella richiesta e nel decreto di citazione. Deve pertanto trovare applicazione la norma dell'art. 477 2° comma C.P.P.

Copia degli atti va inoltre trasmessa al P.M. — come dallo stesso richiesto — per quanto di sua competenza in ordine all'accertamento di eventuali corresponsabilità o ulteriori responsabilità penali, avuto riguardo anche alle tracce evidenziate in sentenza.

D'Eliseo è stato menzionato nelle "memorie" quale componente del "direttorio" del Superesse, e da Sanapo, che ha fornito peraltro una incerta indicazione, quale aggregato al gruppo di Musumeci. Lo stesso imputato ha ammesso di aver partecipato ad alcune riunioni nelle quali si discussero "proposte" o iniziative del "consulente".

Il comportamento tenuto successivamente (296) dimostra che D'Eliseo si era reso conto dell'esistenza della "struttura parallela".

Tuttavia, nella carenza di elementi di conoscenza sugli apporti dati in particolare nel corso delle anzidette riunioni e in generale al sodalizio, ritiene la Corte che non sia stata raggiunta la prova che egli si sia unito ai coimputati con vincolo esteso consapevolmente a un generico programma delittuoso.

Lo stesso discorso vale per Adriana Avico e Valentino Artinghelli che devono essere assolti anch'essi dal reato sub B con formula piena.

Nei loro confronti non sono emersi validi elementi di accusa per sostenere che abbiano commesso il fatto di associazione o che, comunque, fossero coscienti di far parte di un sodalizio delittuoso, tanto più che l'attività dagli stessi svolta, "di collegamento e di rapida comunicazione fra gli associati" per la donna, di agevolazione degli spostamenti di Pazienza e del suo "entourage" per l'uomo, — attività di natura prettamente esecutiva — era tale da non richiedere necessariamente la consapevolezza del programma perseguito.

La "missione" dell'imputata a New York, per conto di Pazienza, attinente alla "Grande Italia" fa sorgere il sospetto che il ruolo da essa svolto si inserisse con consapevolezza nella dinamica del reato ma, tenuto conto del breve periodo in cui prestò i suoi servigi e dell'equivocità o vaghezza degli altri indizi, il giudizio di innocenza è doveroso.

Per quanto concerne Artinghelli rispetto alle altre imputazioni, si è visto che l'ufficiale è risultato estraneo alle vicende delittuose e che in ogni caso agì in buona fede, come da lui affermato e non smentito dalle risultanze dibattimentali.

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(296) Vedasi alle pagine 29-31.

P.Q.M.

Visto l'art. 479 C.P.P.

Dichiara

— non doversi procedere nel confronti di Pazienza Francesco in relazione al reato di cui agli artt. 326, 110 C.P., così modificata l'originaria imputazione di cui al capo A, perché il reato si è estinto per aministia, e revoca pertanto l'ordine di cattura emesso nei suoi confronti per il reato di rivelazione di segreto di Stato;

-- non doversi procedere nei confronti di Musumeci Pietro e Belmonte Giuseppe in relazione al reato di cui agli artt. 323, 110 C.P., così modificata l'originaria imputazione di cui al capo F concernente gli "accertamenti" su Di Napoli, perché il reato si è estinto per amnistia (art. 1 D.P.R. 1981 n. 744);

Assolve

Artinghelli Valentino, D'Eliseo Secondo ed Avico Adriana dal reato di cui al capo B, e l'Artinghelli inoltre dai reati di cui ai capi C, E ed F episodi Billy Carter e Di Napoli per non aver commesso il fatto;

il D'Eliseo dal reato di cui al capo C perché il fatto non costituisce reato;

Musumeci Pietro e il D'Eliseo dal reato di cui al capo E per non aver commesso il fatto;

Belmonte Giuseppe, il Musumeci e il D'Eliseo dal reato di cui al capo F episodio Billy Carter per non aver commesso il fatto;

Pazienza Francesco e il D'Eliseo dal reato di cui al capo F episodio Di Napoli per non aver commesso il fatto;

il Musumeci, il D'Eliseo, l'Artinghelli, il Belmonte e il Pazienza dal reato di cui al capo F episodio Notarnicola perché il fatto non sussiste;

Ordina

la immediata scarcerazione del predetto D'Eliseo se non detenuto per per altra causa e dichiara cessata la custodia cautelare nel proprio domicilio dell'Artinghelli;

Visto l'art. 477 ult. comma C.P.P.

Ordina

la trasmissione in copia degli atti concernenti il capo H dell'imputazione al P.M. perché il correlativo fatto risultato dal dibattimento è diverso da quello enunciato nella richiesta e nel decreto di citazione;

Visti gli artt. 483, 488 C.P.P.; 28 C.P., 6, 8 D.P.R. 1981 n. 744 Dichiara

Pazienza Francesco, Musumeci Pietro e Belmonte Giuseppe colpevoli del reato di cui al capo B;

i predetti Pazienza e Musumeci colpevoli del reato continuato di cui al capo C, precisata l'imputazione nel senso che dove si legge "non inferiore comunque a 150 passaggi" si legga invece "per un totale di ore di volo superiore alle 34" e con l'inserimento della locuzione "In esecuzione del medesimo disegno criminoso. Art. 81 cpv. C.P.";

il predetto Pazienza colpevole dei reati di cui ai capi D, precisata l'imputazione nel senso che dove è scritto "sino all'ottobre 1981" si deve invece leggere "nel primo semestre del 1981", E ed F relativamente al fatto concernente Billy Carter;

i predetti Musumeci e Belmonte colpevoli dei reati di cui ai capi G — come meglio contestato in udienza — ed I (assorbita in quest'ultima imputazione, per quanto coricerne Musumeci, il reato di cui al capo D);

e, unificati i reati di cui ai capi C, D, E, F, G ed I dal vincolo della continuazione.

Condanna

il Pazienza

per il reato sub B alla pena di anni 4 di reclusione, di cui 2 condonati;

per gli altri reati riconosciuto colpevole alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione e L. 1.000.000 di multa

e così complessivamente alla pena di anni 8, mesi 6 di reclusione (di cui anni 2 condonati) e L. 1.000.000 di multa;
 
 

il Musumeci

per il reato sub B alla pena di anni 4 di reclusione, di cui 2 condonati;

per gli altri reati riconosciuto colpevole alla pena di anni 5 di reclusione e L. 2.000.000 di multa

e così complessivamente alla pena di anni 9 di reclusione (di cui 2 condonati) e L. 2.000.000 di multa;

il Belmonte

per il reato sub B alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione;

per gli altri reati riconosciuto colpevole alla pena di anni 4 di reclusione e di L. 1.500.000 di multa;

e così complessivamente alla pena di anni 7 e mesi 8 di reclusione (di cui 2 anni condonati) e L. 1.500.000 di multa;

Dichiara

i predetti Pazienza, Musumeci e Belmonte interdetti in perpetuo dai pubblici uffici;

Dichiara

gli stessi obbligati in solido al pagamento delle spese processuali, e il Musumeci e il Belmonte, "pro capite", al pagamento delle spese di custodia cautelare;

Visto l'art. 489 C.P.P.

Condanna

i menzionati Pazienza, Musumeci e Belmonte al risarcimento dei danni — da liquidarsi in separata sede — in favore delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione a tutti i delitti per i quali sono stati condannati escluso il reato di cui al capo E, e in favore del Ministero della Difesa in persona del Ministro pro tempore in relazione ai reati di cui ai capi C, D ed I; nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle P.C.; che si liquidano per la prima in L. 1.800.000 di cui L. 400.000 per spese e per la seconda in L. 2.000.000 di cui L.500.000 per spese;

Dispone

che le documentazioni a firma di Pazienza Francesco riguardanti Notarnicola Pasquale siano trasmesse in copia al P.M. potendo configurarsi a carico del predetto imputato il delitto di calunnia;

Dispone

altresì che gli atti del dibattimento siano trasmessi, in copia, al P.M. per quanto di competenza in ordine all'accertamento di eventuali corresponsabilità o ulteriori responsabilità penali.

Roma 29.7.1985

F.to IL DIRETTORE DI SEZIONE F.to IL PRESIDENTE

Depositata in Cancelleria

il 4 SET 1985

F.to IL CANCELLIERE

INDICE


 
  Imputazioni .....................................................................
pag.
4
  Svolgimento del processo ...............................................
"
7
  Relazione del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza ................................................
"
7
-
Reato di cui al capo B. Associazione per delinquere aggravata ........................................................................
"
16
-
Reato di cui al capo A. Rivelazione di segreti di Stato ..
"
37
-
Reato di cui al capo C. Peculato. Aerei CAI ..................
"
41
-
Reato di cui al capo D. Peculato. Documenti del Banco di Roma ..........................................................................
"
44
-
Reato di cui al capo E. Favoreggiamento personale ......
"
45
-
Reato di cui al capo F. Interesse privato in atti di ufficio. "Operazione Billygate" .....................................
"
48
  La "Grande Italia" ..........................................................
"
51
  L'Ufficio Sismi a New York ...........................................
"
52
-
Reato di cui al capo F. "Inchiesta su Di Napoli" ...........
"
52
  Macchinazione nei confronti del gen. Ferrara e di altri ufficiali ...........................................................................
"
54
-
Reato di cui al capo F. "Episodio Notarnicola" .............
"
56
  La "struttura" di controinformazione .............................
"
57
  Episodio Mei e Cencelli .................................................
"
58
  Episodio Jucci ................................................................
"
59
  Falsificazione di un documento a firma Gelli e altri ......
"
60
  Macchinazione nei confronti del Presidente della Repubblica ......................................................................
"
60
  Caso Cirillo ....................................................................
"
61
  Progetto di scissione del P.C.I. .......................................
"
62
  "Operazione campi di addestramento" ..........................
"
63
  "Operazione Bisaglia" ...................................................
"
63
  "Operazione Il Borghese" ..............................................
"
64
-
Reato di cui al capo G. "Operazione terrore sui treni" ..
"
64
-
Reato di cui al capo H. Simulazione di reato .................
"
97
-
Reato di cui al capo I. Peculato ......................................
"
97
  Conclusioni .....................................................................
"
101
  Dispositivo .....................................................................
"
105